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di leggi nel 1340 (1), Ricardo da Saliceto (2) e in fine quell'Uberto da Bobbio, celebre giurisconsulto, il quale per la profonda sua dottrina fu consultato da Parigi alloraquando agitavasi la questione della reggenza di Bianca di Castiglia, madre del santo re Ludovico (3).

È però cosa notabile, che nel volume degli statuti di Vercelli stampati, i quali non hanno data, ma furono compilati a' tempi di Giovanni e di Luchino Visconti, epperciò dal 1340 al 1349, non trovisi alcuna menzione dello studio publico; sebbene vi sieno stati aggiunti statuti posteriori. Questo silenzio dei documenti potrebbe somministrare altrui ragionevole fondamento di credere, che verso la metà del secolo XIV cessasse in Vercelli l'università degli studi. Nondimeno il Durandi (4), non so a quale argomento appoggiato, afferma che essa si mantenne con decoro ed utilità sin verso l'anno 1400; nel qual tempo fu spenta per la crudelissima pestilenza, che disertò quella contrada.

(1) Vernazza ms. nella bibl. Balbo. - Tiraboschi, op. cit. vol. v, P. I, lib. II, p. 317.

(2) Papadopoli, Hist. gymn. patav. vol. I, op. cit. lib. 11, cap. LXXVI, p. 174.

206. p.

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Panziroli,

(3) Cum domina Blanca regina Francorum vellet esse tutrix filii sui impuberis et dedisset quosdam fideiussores, aliqui dicebant eam repellendam pro tanto regno. Dominus Hubertus De Bobio tunc legens in studio vercellensi consuluit eam non repellendam, sed sufficere fideiussores quos dare poterat; alioquin sequeretur quod similes principes carerent tutore. V. Iacobini, De sancto Georgio de feudis, 1533, fol. 1. Tiraboschi, op. cit. vol. IV, p. 297. (4) Dell'antica condizione del Vercellese, p. 48 e seg.

A questa sentenza del Durandi non oserei contraddire; tanto più che l'ordinamento del civico archivio di Vercelli non è finora stato condotto a segno, che tolga ogni speranza di potervi rinvenire qualche monumento sfuggito finora alle indagini dei dotti. Bensì parmi, che si possa con certezza affermare, che dopo il 1400 non siasi più riaperto lo studio; checchè ne pensino il Delexio nella sua Corografia (1) e il Degregory nella Storia della vercellese letteratura (2). Imperciocchè oltre alla pestilenza predetta, dovette naturalmente opporsi al fiorire dello studio vercellese l'erezione avvenuta verso quei tempi della università di Torino, e la cessione del Vercellese fatta poco di poi da Filippo Maria Visconti alla Reale Casa di Savoia.

Il Durandi (3) sulle traccie del Cusano (4) studiossi di determinare il sito dove fu l'università di Vercelli. E siccome al pari dello Zaccaria lesse nel documento summentovato quinquaginta hospitia in vece di quingenta, e interpretò quegli ospizi per case; così credette, che queste fossero fuori della città in Vezzolano, e che in quel luogo il quale ritiene tuttora il nome di Sapienza fossero in apposite case gli alloggi sì dei lettori, e sì

(1) Chorographia insignium locorum, qui maxima ex parte subiiciuntur tam cis quam ultra montes potentissimo Principi Sabaudo etc. Camberii, 1571, in 4.o picc. a fol. 27 e seg.

(2) Parte 1, p. 258.

(3) Loc. cit.

(4) Storia ms. di Vercelli, p. 48.

degli scolari. A questo proposito egli riferisce quanto narra il Cusano di un cotale Alessandri, nobile vercellese, il quale avendo fatto a' suoi tempi qualche escavazione nel luogo anzidetto, vi trovò, oltre a molte fondamenta di case, alcuni torsi di finissimo marmo ed altri avanzi di statue, e discoperse il principio di una spaziosa scala cogli scaglioni di marmo nero in bell'ordine disposti. Ma questa congettura del Durandi non ha alcuna probabilità. Imperciocchè Vezzolano è luogo molto esteriore; e le stesse parole della convenzione dei 4 aprile 1228 mostrano chiaramente, che per quingenta hospitia debbonsi intendere alloggio camere sparse per città presso diversi proprietari di case (1). Altrimenti non vedrei ragione, per cui si sieno eccettuate nella convenzione le case che sono nella via, in cui si sogliono albergare i forestieri, che si recano tutto l'anno al mercato, in Vercelli (2).

la

Ora che abbiamo provato sulla scorta di autentici documenti, che lo studio generale di Vercelli durò certamente oltre a cento quattordici anni, i quali corsero dal 1224 al 1338, e forse insino al secolo xv, alcuno per avventura ci domanderà a quale fama siasi alzato nel mondo, e quale sia

(1) Si essent plura hospitia in uno contestu apta scolaribus licet eiusdem hominis essent vel unum haberent introitum, non debent reputari pro uno hospitio, sed pro pluribus arbitrio praedictorum.

(2) Ita quod de istis quingentis hospitiis excipiantur domus quae sunt in strata, in quibus consueverunt recipi et recipiuntur hospites in nundinis Vercellarum, et albergantur per totum annum continue.

l'influenza, che esercitò sulle nostre contrade. Io sono ben lontano dal volere per vano orgoglio municipale magnificare soverchiamente i salutevoli effetti, prodotti da questa nobile istituzione del comune di Vercelli. So che ai generosi sforzi di una città o di una nazione intera sovente non rispondono i tempi; e so che talvolta a rendere gloriosa un'impresa basta solo l'averla tentata. Del resto il vedere come all'università di Vercelli fossero chiamati i più celebri maestri di quella età, e vi accorressero in buon numero gli scolari anche da lontani paesi, c'induce a credere, che non oscura ne fosse la fama in Italia e fuori. E quanto a quello che scrive il signor Lerminier (4), aver essa esercitato poca influenza, io stimo che debbasi intendere delle contrade straniere, non del Piemonte, il quale moltissimo si giovò dei lumi, che per mezzo di quella ci venivano d'altronde. Di fatto appunto dopo la fondazione dello studio vercellese, i Subalpini cominciarono a spogliarsi della rozzezza, che le infelici vicende d'Italia avevano ingenerato negli animi. I nostri villaggi poterono essere forniti più facilmente d'illuminati sacerdoti, che insegnando una religione d'amore, e cacciando le prave superstizioni dei secoli precedenti, infondessero nei popoli costumi più miti e gentili. Ad un ridicolo empirismo professato dai

(1) Introduction générale à l'histoire du droit par M. E. Lerminier docteur en droit etc. Bruxelles, 1830, in 8.0, p. 383.

furbi, dagli ignoranti, o da maliziose vecchiarde succedeva una medicina fondata sulla osservazione della natura e governata da un metodo ragionevole. I magistrati guidati dallo studio delle leggi e segnatamente del diritto romano, bandirono dai loro tribunali il capriccio e la rea usanza di chiamare giudizi di Dio ciò che era solo opera del caso, o prestigio dell'impostura, o effetto di una natura disumana e bestiale. Migliorossi l'amministrazione dei publici interessi, e si diffuse primamente negli abitanti delle città e dei borghi principali quella coltura, che puossi a buon diritto chiamare il seme dell'odierna civiltà piemontese. E frutto di questa coltura vuolsi dire il collegio che fin dal cominciamento del secolo XIV videsi fiorire in Asti, composto di sette medici, ai quali Enrico re dei Romani con diploma dei 10 di dicembre del 1310 (1) conferma l'esenzione che godevano dai carichi e dalle gravezze publiche', appunto per la profonda loro dottrina, e per le molte virtù onde erano adorni (2). Nè mancarono poi fra i nostri compaesani alcuni, la cui fama non si contenne entro i termini del Piemonte, e vennero chiamati a leggere nelle università straniere, o furono medici primari presso diverse corti (3). Tali sono un Tolommeo Asinari, citta

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(1) Statuta inclitae civitatis astensis, 1379, fol. 139.

(2) ..... Propter profunditatem sue scientie et multiplicia dona virtutum, quibus insigniti dignoscuntur.

(3) Bonino, Biogr. med. piem. vol. 1, p. 13, 24, 28.

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