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SU LA VITA E SU LE OPERE

DELL'ABATE

DOMENICO SCINÁ

I dotti, scriveva Erasmo, risguardar si devono da lunge, come le figure degli arazzi; giacchè le opinioni discrepanti dei contemporanei, ora dall'odio, or dall' amore suscitate, sì folta nebbia addensano attorno dei recentemente trapassati, che ben difficile riesce raffigurarne il loro vero sembiante. Alla voce delle nazioni che non si seducono, e alla giustizia dei secoli, che non si ponno corrompere, è conceduto il dileguare le illusioni, dopochè quelli più non sono, il dissipare la polvere alzata dalle gare e dalle passioni; mostrando agli occhi dei posteri sole e disvelate le opere dello ingegno; il bilanciare il merito degli scrittori, onde ad essi assegnare il giusto loro valore: dapoichè non altri che il tempo è il padre dei sapienti, lo imparziale giudice dei trapassati, che nel silenzio delle tombe a tutti assegna quel posto che lor si compete.

Siffatto pensiere mi ha tenuto in forse più giorni, e mi ha distolto dal compiangere altamente la perdita di DOMENICO SCINA', uno dei lumi primarii della italiana letteratura testè passato fra' più ; e dal discorrere degli scritti e delle gesta di lui. Se non che soverchiato dalla piena degli affetti, non ho potuto frenarmi dal rendere un tale omaggio allo splendido ingegno, e alla nobile anima di colui, che mi giovò coi suoi consigli, che mi strinse colla sua famigliarità, che mi legò colla amicizia sua non estinta per morte, e che coi suoi

beneficii rese indelebile nel mio cuore la memoria di lui. Ed eccomi a bagnarne di lagrime la tomba, e, tuttochè l'ingegno mio che sento esser brevissimo nol comportasse, ad onorarne di elogii la ricordanza. Parlerò io della vita scientifica e letteraria dello SCINA', parlerò della di lui vita sociale e domestica.

Nè in alcuno mai cada sospetto che io mi spinga a magnificare il defunto ed a gloriarlo oltre del giusto, chè ben mi guarderei dal fare ingiuria alla verità, cui è gravissimo oltraggio ogni comechè lieve alterazione. Molto più che son certo, essere questo elogio non un semplice tributo che all'amico si porge, ma piuttosto un servigio che alla patria si presta: conciossiachè gli onori che ai trapassati si rendono, e le lodi di cui commendasi la memoria dei valentuomini, nè toccar possono il loro cenere, nè recar loro diletto; e solo a noi son diretti ed alla patria: chè ben la patria è quella su cui sfolgora, riflette e va a concentrarsi la gloria di loro. E assai più che non le esortazioni e le massime valgono ad inspirar negli animi generosi lo amor della sapienza, i tributi d'onore che alle sovrane menti si rendono, sciolti dalle spoglie terrene, e nella luce avvolti dell'eterna verità; poichè gl'illustri esempii son l'incentivo più grande per formare imitatori e seguaci.

Palermo fu la patria di DOMENICO SCINA': egli ci nacque nell'ultimo giorno di febbraro 1765, e rimaso in breve orfano del genitore, cui la fortuna dei suoi favori non era stata larga gran fatto, venne agli studii avviato per le tenere cure della madre Rosaria Romano, presso i padri delle scuole pie, ed indirizzato alla chierisia. Ivi fu istituito nella gramatica e nelle umane lettere, e di là passò ad apprendere nell'accademia degli studii fondata in Palermo nell' antico collegio dei padri Gesuiti, dopochè costoro ne erano stati espulsi, la filosofia, la geometria e la fisica.

Apparve fino da quei primi anni la svegliatezza della mente sua; ma più d'ogn'altro mostrossi allorchè, non arrivato ancora al terzo lustro, andò per sua gran ventura, ad apparare in teologia presso il canonico Rosario Gregorio, nome illustre nei fasti di nostra cultura, che nel seminario dei chierici leggeva allora in divinità. Al quale l'amor dello studio, e il pronto ingegno tanto fecero entrar nell'animo

il novello allievo, che di lui concepì quelle speranze, che poi si compierono sì largamente; giacchè risguardollo come a novello lume, che era surto nella capitale a beneficio ed aumento della siciliana dottrina; e caro l'ebbe sopra di ogni altro, e fece disegno sopra di lui, e pose ogni opera perchè si avviasse alle lettere. Questi all'ingegno che da natura aveva ricevuto perspicacissimo, avendo aggiunto diligenza incredibile ed ostinazion di fatica, fece rapidi progressi, e chiaro rese ben presti come le premure di quel sommo fossero state con frutto

collocate.

Fu allora che il Gregorio gli pose in mano talune opere, fra le quali i Saggi di David Hume sullo intelletto umano, chè accomodato gli avessero in miglior modo la mente, e sviluppato nell'animo i preziosi semi di quella vera filosofia, che non si apprende già nelle scuole, ma che si fabbrica nei segreti penetrali del nostro intelletto. Non di rado, scriveva l'Ugoni (1), da un libro lello e meditato in gioventù si determinarono e presero qualità tutti gli studii di uno scrittore: come infatti lo SCINA' era caldo per la filosofia allor dominante tra noi, che era quella di Leibnitz e di Wolf, al legger l'Hume ben si avvide che era poco da fondare su quella maniera di studii; poichè tale filosofia in sostanza altro non fa che menarci in un circolo senza progredire giammai, circolo di cui una parte è occupata dallo scetticismo. E sin d'allora si propose di rivolgersi alle scienze fisiche e matematiche, le quali particolari oggetti presentano, utili e veri, che si veggono, si toccano, e si conoscono; e a camminar ci avvezzano nella via del sapere, alla luce delle osservazioni e delle sperienze; e su periore si rese ad ogni maniera di pregiudizii.

Stimolato intanto dal più vivo ardor di sapere, e sostenuto da una salute robusta, proseguiva i severi ecclesiastici studii, che coltivò con gran senno non per ostentazione d'ingegno, ma per conforto di sua religione, attendeva alla lingua greca, faceva compendii dei libri che leggeva, e spesso scriveva memorie e dissertazioni sopra varii soggetti di teologia dogmatica, di diritto canonico, e di storia della chiesa.

(1) Tom. 2, artic. 1, Vita di Gerdil pag. 6.

MORTILLARO vol. II.

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