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In punta di questa via è sulla dritta la

CHIESA E CONVENTO DI S. FRANCESCO DI ASSISI dei minori conventuali. I frati di questo istituto, che come credesi vennero in Sicilia ancor vivente il lor patriarca, dopo varie traversie loro accadute qui fabbricarono la loro chiesa, che col progresso dei tempi venne ingrandita. All'occidente ne è rivolta la facciata, e la porta maggiore è di pietre d'intaglio d'antico lavoro arabico con otto marmoree colonne, in una delle quali sono scolpite due iscrizioni in arabico; ciò che ha fatto sospettare ivi essere stato un qualche edificio o moschea dei Saracini, convertita poscia dai Normanni in tempio cristiano (1). In tre navi divisa è la chiesa, e avvi in ogni pilastro una statua di stucco lavoro di Paolo Serpotta.

Un famoso quadro dell'angelo Custode che guida l'anima pittura di Domenico Zampieri detto il Domenichini eravi nella terza cappella; ma trasportato questo nel 1797 in Napoli alla quadreria del re (2), vi fu sostituita un'esatta copia eseguita da Giuseppe Velasques. Ragguardevole inoltre pei suoi ornati è la cappella senatoria; e il quadrone che vi ha della Vergine Immacolata, a musaico lavorato in Roma nel 1772, costò cinquemila scudi.

Al ss. Crocifisso è dedicata la terza cappella, ei due bassi rilievi di marmo bianco alle pareti laterali sono lavoro d'Ignazio Marabitti palermitano, rappresentante uno la flagellazione, e l'altro il viaggio al Calvario.

Dalla chiesa passando nel convento, esso è vasto e di magnifica fabbrica, con regia scala e dormitoi maestosi.

È nella antesagrestia in fine osservabile, una eccellente statua di s. Giorgio a cavallo, in atto di ferire un dragone, opera del nostro più celebre scultore Antonio Gagini (3).

(1) Morso loc. cit. pag. 259.

(2) Real Museo Borbonico, vol. 1, tavola xxxшll, pag. 3.

(3) Antonio Gagini nacque in Palermo verso il 1480, fu in Messina studiò in Roma nella scuola di Raffaello, e cosi migliorò le forme e le ridusse alla perfetta eleganza, acquistando quella espressiva e nobile aria di teste del divino Urbinate. S'introdusse del pari nello studio di Mi chelangelo e imparò da lui il magistero dello scarpello. Ritornò in patria ed ebbe meritata rinomanza di celebre scultore. Ebbe tre figli Vincenzo, Giacomo e Fazio. Egli fu superiore al Montorsoli, al Bandinelli, all'Ammannato, nè solo riuscì nelle figure di tutto tondo, ma pari mente nei bassi rilievi e nel buon gusto de' rabbeschi a segno che lo stesso Michelangelo volle adoprare il di lui scarpello negli ornati del famoso sepolcro di Giulio secondo in Roma. Mori in Palermo d'anni 91 a 17 novembre 1571. Vedine l'elaborato elogio scrittone dal ch. Agostino Gallo.

Poco da questa chiesa distante è la

COMPAGNIA DI S. FRANCESCO nella chiesa di s. Lorenzo, nel cappellone della quale il quadro è una eccellente opera di Michelangelo da Caravaggio, in Palermo stesso dipinta: e in questa compagnia di pregio sono i sedili all'intorno; perchè di ebano intarsiati d'avorio e di madreperla. Gli stucchi son dei più belli che abbia fatti Giacomo Serpotta.

Nella volta del camerone in fine è a fresco dipinto Giacobbe che dà la benedizione ai figli, opera da tutti stimata per una delle migliori del Borromans.

Scendendo per la via rimpetto alla porta maggiore della chiesa di san Francesco; e volgendo sulla sinistra, può proseguirsi il cammino sino che si giunga alla

CHIESA DI S. CARLO, cenobio benedettino (1). Ellittica ne è la fi gura, e composto l'ordine dell'architettura; nella cappella seconda del lato sinistro il quadro della B. Vergine col Bambino di s. Benedetto, e di s. Luigi re è pittura del Novelli (2).

Sboccasi appresso nella Piazza della fieravecchia dalla quale entrando nella via che a sinistra si scorge, sulla manca si vede il Palazzo dei principi di Paternò fabbricato nel 1485.

Al finire di questo magnifico palazzo è una via, che conduce alla CHIESA E COMMENDA DELLA MAGIONE Sotto titolo della ss. Trinità, la cui casa fu fondata circa il 1150, e dal fondatore Matteo Ajello di Salerno gran cancelliere di Guglielmo I ai monaci cisterziensi donata; indi dall'imperatore Enrico VI nel 1193 concessa ai Teutonici; ed allora pigliò nome di Magione (3), ma nel 1787 fu aggregata all'ordine constantiniano di san Giorgio. Al cortile che sta avanti la chiesa dà l'ingresso una nobile porta ornata di due colonne di marmo bigio, e sopra alzanvisi in marmo le statue della fede e della speranza; ed evvi avanti le tre porte nella facciata della chiesa un moderno portico di ordine greco-sicolo. Gotica è l'architettura della chiesa, e un simulacro vi ha della Madonna della Pietà che è opera

(1) Fu questa chiesa aperta nel 1616, e nel 1633 ottennerla i Benedettini.

(2) La testa della madonna e quella del bambino col fondo sono pessimamente ristorate. (3) Fazello loc. cit. pag. 342.

MORTILLARO vol II.

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di Vincenzo Gagini. Come pure un bel quadro di s. Cecilia di Marchese. Fu questa chiesa ridotta a collegiata e i suoi componenti vestono insegne canonicali. È in questa chiesa pregevolissimo quadro del nostro cav. Giuseppe Patania (1) rappresentante la flagellazione di Gesù Cristo, quadro ottimamente composto, correttamente disegnato, vagamente dipinto, e di sublime espressione nella testa del Cristo che soffre nobilmente per amor del genere umano.

Ritornando per la via stessa e volgendoci a sinistra trovasi

PORTA DI TERMINI, così detta forse perchè rivolta verso la città di Termini. Essa ha molto dell'antica costruzione, e fu nel 1328 da Federico II ristorata e rinnovata ai tempi del Fazello (2).

Alla sinistra di questa porta è la nobile compagnia della Pace, il cui oratorio è assai ragguardevole; e alla dritta il Monte di s. Venera che a quella compagnia appartiene, e che è destinato alla pignorazione dei panni.

Presso questo Monte è il convento e la

CHIESA DEI PP. DI MONTE SANTO, nella quale ammirasi un bel quadro ad olio rappresentante s. Maria Maddalena dei Pazzi, opera del Novelli.

Ritornando nella piazza della Fieravecchia, ed entrando per uno

(1) Il cav. Giuseppe Patania nacque in Palermo nel gennajo del 1780. Fu introdotto nello studio del chiarissimo pittore Giuseppe Velasquez palermitano, ove si esercitò per lo spazio di anni due circa con felicissimo successo a disegnar di figura; ma mostrando forse intempestiva brama a voler copiare in colori un bozzetto del maestro, fu da costui minacciato in aspri modi, onde si allontanò dalla sua scuola, e cominciò con istraordinario coraggio a dipinger da se i cartelloni da teatro, e piccoli quadretti ad olio di sua invenzione.

Frequentò bensi lo studio della pubblica accademia del nudo, diretta dallo stesso Velasquez, e si formò valoroso disegnatore. Reduce intanto da Roma in Palermo Vincenzo Riolo si fe' seguace del nuovo stile, e della magia dei colori dello stesso, e dopo breve tempo da scolare divenne rivalo del Velasquez e del Riolo, e più volte fu messo in emulazione con essi per varii quadri d'ordine della real Corte, e di particolari non senza suo speciale onore. D'allora ha sempre progredito nell'arte, talchè di lui puossi dire che l'ultima sua tela è migliore della precedente. Egli è felicissimo nell'invenzione pittorica, come ne danno argomento i suoi moltissimi schizzi a penna sulla Mitologia, sul Telemaco, su Dante, e sull' Istoria di Sicilia.

Il suo disegno è ormai ridotto alla maggiore eleganza, e correzione. Armonioso, e direi fuso è il suo colorito, e l'effetto oltre ogni dire vero, ed aggradevole. Di una grazia singolare è nei putti, e nei volti delle donne. Riesce ancora nel paesaggio, e nella pittura di gencre, e si è distinto particolarmente come pittore di storia, e ne' ritratti per la massima verità, e somiglianza, incontrastabilmente è riconosciuto come il primo pittore in Sicilia.

(2) Fazello dec. 1, lib. vin, pag. 187, ediz. del 1560.

strettissimo vicolo, che quasi rimpetto si presenta; al finir di esso

sulla sinistra evvi il

R. TEATRO DI S. CECILIA (1), il quale tuttochè non grande, pure è con molto giudizio costruito. Ha desso sessantasette palchi in quattro ordini, e una platea capace di tre centinaia di persone: ellittica ne è la figura, e semplice l'architettura. Ammirevole poi è ivi il meccanismo col quale in occasione di veglioni, in meno di un quarto d'ora al finire della rappresentazione si abbassa il palco scenico al piano della platea, e dippiù accresconsi diciotto palchi.

Camminando quindi per lo vicolo che è a destra di questo teatro, e volgendo poi alla sinistra si sale per la così detta via della Calata dei Giudici, quivi in un vicolo a destra è la Confraternità dei Pollajuoli, ove nella volta è a fresco la nascita di Gesù Cristo dipintavi dal Novelli che annunzia il fare del Domenichini; e sempre diritto proseguendo il cammino si arriva ad un piano, ove sulla manca

è il

R. TEATRO CAROLINO (2) il quale oltre alla lunetta, contiene cinque ordini di palchi ognun dei quali ne conta diciassette; e la pianta del suo circolo auditorio è esattamente circolare: è questo il primario e più frequentato teatro.

Gli sono contigui la

CHIESA E MONASTERO DELLA MARTORANA, la quale chiesa, secondo crede il Pirri fu fondata nel 1113 dall'ammiraglio Giorgio antiocheno da cui fuvvi istituita una collegiata di otto canonici. Ma il chiarissimo professore abate Salvatore Morso (3) lo ha con solide ragioni confutato, e la crede piuttosto fabbricata nel 1143; essa è magnifica ma nell'antica maniera: il monastero che poscia vi si fondò nel 1194 è sotto la regola di s. Benedetto. È la chiesa col frontispizio rivolto ad occidente, ed ha tre porte, la maggiore delle quali è dentro un cortile e sotto un piccolo portico su cui alzasi un campanile di gotica struttura, ornato di colonnette.

(1) Fabbricato nel 1692.

(2) Aperto a 12 gennaro 1809 rifatto secondo il sistema moderno dall'architetto Nicolò Puglia palermitano.

(3) Morso loc. cit pag. 90.

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All' entrar nella chiesa vi è il coro sostenuto da otto colonne corintie, in due delle quali sonvi tre arabiche iscrizioni, le quali secondo ne scrisse il Morso (1), (che non ha guari fu il primo a interpretarle) sono lapidi cristiane che il tempio e il fondatore riguardano: è la figura della chiesa un paralellogrammo con nave centrale di architettura arabo normanno-sicula, sostenuta da otto colonne corintie di granito orientale. L'alto delle pareti è quasi tutto a musaico e il basso è ornato di porfido e di verde antico. L'altare maggiore e il tabernacolo sono di lapislazzuli con altre pietre dure ben lavorate e colonnette e statue di bronzo dorato; la volta del cappellone fu pinta da Antonio Grano che v'imitò lo stile del Novelli, e il quadro dell'altare maggiore rappresentante l'ascensione di G. C. è ottimo quadro di Vincenzo Anemolo, quadro che molto sente il fare di Raffaello, e alcuni vani nella volta furono dipinti da Guglielmo Borro. mans. Nella cappella del rosario vedesi al lato dell'epistola l'immagine a musaico della ss. Vergine all'impiedi volta al suo figlio che sta in alto tra nuvole, e le pende dalle mani una greca iscrizione, che il fondatore Giorgio riguarda, il quale sta sotto i piè della Vergine prostrato, riccamente vestito.

Dall' altro fianco rimpetto a questo è l'altare dei santi Simone e Giuda, e nel lato del vangelo si scorge a musaico il ritratto (2) del re Ruggieri, che riceve dalla destra di Gesù Cristo la corona e dalla sinistra lo scettro. Questi stupendi quadri a musaico degni sono di tutta l'attenzione come di sommo pregio per l'epoca in cui furono lavorati.

Hanno le monache poi un belvedere nel Cassaro, al quale vassi per

una sotterranea via.

Attaccata a questo monastero è la

POSTA DELLE LETTERE, edificio importantissimo pel suo oggetto e graziosamente costruito (3).

(1) Descrizione di Palermo antico, pag. 76.

(2) Cannizzaro De relig. pan. pag. 789.

(3) Il servizio epistolare in Sicilia resta diviso in quattro corse principali, che partono tutte da Palermo con vetture corriere, battendo la prima la strada consolare per Messina via delle Montagne, con le corse secondarie in vettura corriera eseguite da corrieri regii, da Manganaro a Gergenti, da S. Caterina a Noto, e da Catania a Noto che sono punti d' incontro della corsa principale da Palermo a Messina via delle montagne; la seconda battendo la via rotabile per

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