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le quali vi sarà dato di passare, v'interesseranno a vicenda in parti. colar modo. Arrivato in Gergenti l'idea che 1 luogo presenta s' ingrandisce a misura che si visitano le rovine, cui non bastarono ventidue secoli ad abbattere del tutto, e che alla mente si richiamano i fasti della già lussureggiante e popolosa Agrigento. Il suo dorico tempio della Concordia che sta sull'alto di una rupe, esso solo eretto già un mezzo secolo prima di Pericle, meriterebbe la pena di un viaggio e lo studio d'ogni antiquario. E pure oltre a questo evvi un tempio di Giunone Lucina, gli avanzi del magnifico tempio di Ercole, quelli del tempio di Vulcano, e di tanti altri ancora, la pretesa tomba di Terone, la così detta cappella di Falaride, la preziosa arca sepolcrale che si conserva nel Duomo ov'è destinata a fonte battesimale, e il celeberrimo tempio di Giove Olimpico descritto dal siculo Diodoro, oggetto d'interminabili disamine, e fin di scissure fra' dotti, del quale rimane oggi, sola e non intera la pianta.

Passerete poi a Sciacca, chè certo meritano una visita le rinomate Thermae Selinuntinorum: donde alla ferace di forti vini Castelvetrano presso cui giacciono le maestose rovine di Selinunte; su le quali gigantesche reliquie gettando uno sguardo andrete in estasi, e a forza vi dovrà sovvenire di quegli antichi Greci de' quali ogni azione era eroica, ogni impresa prodigiosa prodigiosa e colossale.

Non molte miglia si contano di là alla gentile e vagamente adorna Trapani, cui Virgilio scelse a scena del v. libro del suo poema, nel cui ricinto è l' Erice, quel monte tanto noto all'antichità, ove particolar culto ebbe la madre di Amore. Nel val di Trapani, e precisamente sur un monte lungi tre miglia a settentrione da Calatafimi, è Segesta, il cui tempio che ha fama per ogni dove, e 'l cui teatro non è guari totalmente scoperto degni sono d'altissima considerazione. In Morreale troverete la più magnifica cattedrale di Sicilia, opera stupenda dei tempi normanni anzi sorprendente; e presso Morreale non dimenticate il monastero di san Martino dei pp. Cassinesi; chè dovrete certo maravigliare in veder opera sì magnifica, posta in un sito ove non si crederebbe rinvenire che piccoli tuguri, e modesti casolari.

V'incanterà finalmente Palermo (della cui antichità se non facesser fede gli storici invano cercheremmo dimostrazione ne' suoi monumenti) capitale splendida dell'Isola colla regolarità degli edifizî, colla bel

MORTILLARO Vol. II

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lezza delle piazze, colla dirittura della sue strade, collo spirito dei suoi abitanti. Palermo vi mostrerà essere realmente magnifica nelle sue chiese, e ammirevole per mille preziosità che presenta e d'ogni genere e d'ogni età, e per tanti bellissimi stabilimenti: nè trascurate di visitar l'Ercta, il famoso monte Pellegrino sacro alla vergine Rosalia. E qui in tal guisa terminerete il piacevole viaggio, nell' accennarvi il quale così rapidamente ho avuto in animo d'invitarvi in realtà a venirci.

Nè crediate già che i costumi dei Siciliani sieno per nulla inferiori a quelli degli altri Italiani, checchè ne dicano i maligni: voi ve ne avvedrete ben presti nel trattarli. Non è poi mestieri che vi dica nulla esservi in Sicilia di più ammirabile che un suolo fertilissimo sotto il clima più bello.

Non vi lasciate lungamente attendere, chè tutti in Sicilia desiderano potervi testificare la loro altissima stima, e in ispezialità

Il vostro affezionatissimo

V. M.

LETTERA II.

SULLA LEGISLAZIONE DELL'Antico regno DI SICILIA.

Voi mi chiamate ad un bel tema, invitandomi a darvi una succinta, cronologica ed istorica notizia della legislazione dell'antico regno di Sicilia. Ed io ben volentieri corrispondendo al desiderio vostro che con sollecitudine volete adempiuto, m'affretto a cennarvi quel che io ne sappia, e così come la memoria mi suggerisce, chè sarebbe certamente cosa risibile voler fare vana pompa di sapere appo Voi che spiegate com'aquila i vanni.

Roma, se mal non mi avviso, sotto i Re in generale altra legge non conobbe che l'arbitrio regale; e abbenchè sotto il regno di Tarquinio il superbo ad istanza del Senato e del popolo siasi fatta da Sesto Papirio la collezione di tutte le leggi regie in un sol volume conosciuta col nome di Codice Papiriano, pure se ben si esamina tal libro altro non vi si trova che qualche legge riguardante la religione, e tutte le altre non mirano che alla guerra. Si sa da tutti che postasi poi sotto i Consoli, il popolo chiesela al Senato che per 5 anni s'oppose, sino a che al 300 della fondazione elesse Spurio Albo, Manlio Mulso, e Sulpizio Camerino, i quali condottisi in Grecia, e raccolte le leggi dei Lacedemoni, degli Ateniesi, e degli altri principali stati della Grecia ne riportarono dopo tre anni un grosso volume. Per accomodarle però a' bisogni, e agli usi romani, oltre ai tre, altri sette magistrati furono eletti Appio Claudio, T. Genusio, P. Sestio, T. Romilio, C. Giulio, T. Veturio, e P. Orazio, i quali ridottele quali stimaronle opportune, le fecero scolpire in dieci tavole di bronzo, e aggiuntevene

altre due furon solennemente pubblicate col nome di Leggi delle dodici tavole.

Tali leggi, voi ben lo sapete, non bastarono a governare il mondo romano; perciò molte e molte se ne aggiunser di poi. Sicchè nell'anno di Cristo 272 un tal Gregorio pensò tutte raccorle, e cominciando da Adriano imperatore e giungendo a Valeriano e Gallieno, formonne un Codice che Gregoriano venne appellato. Da quella sino all'epoca di Costantino un altro ne compilò Ermogene, che però nominossi Codice Ermogeniano.

Pervenuto Teodosio allo impero, fece costui nel 435 di G. C. raccogliere come è da tutti risaputo le imperiali costituzioni promulgate sino al suo tempo, e formatone un novello codice, questo fu detto Codice Teodosiano.

Di essi tre Codici e di altre costituzioni promulgate in seguito Giustiniano imperatore altro Codice riunir fece a Triboniano, e lo rese pubblico nel terzo anno del governo suo, 529 di G. C.

Molti volumi intanto trovavansi allora scritti da valenti giureconsulti che al numero ascendeano di duemila, oltre a trecento diecimila versi che conteneano sentenze di autorità gravissime: ordinò quindi l'imperatore suddetto a Triboniano nell'anno seguente 530 perchè insieme con Doroteo Menna, Costantino, Giovanni ed altri avessero raccolto ciò che v'era di meglio, e che fra lo spazio di tre anni fu riunito in più libri; e dessi per la varietà delle materie ebbero il nome di Pandette. Poscia perchè furono coordinati ad esempio degli editti da Giuliano giurisconsulto sotto Adriano digesti, anche Digesti vennero appellati.

e

Pria però di pubblicare le Pandette o sia il Digesto stimò Giustiniano comporre quattro libri di Elementi per comodo degli studiosi, che cavò dalle antiche istituzioni di Cajo, Ulpiano e Marciano queste istituzioni diè fuori il settimo anno dell'impero suo, appunto un mese prima di pubblicare i digesti, e propriamente nel dicembre 533. Indi pensò a correggere il Codice stesso, e un novello Codice riformato e corretto pubblicò l'anno appresso conosciuto col nome di Codex repetitae praelectionis ripartito in dodici libri ad imitazione appunto delle dodici tavole.

E poichè non tutti i casi erano stati in tali codici preveduti, po

steriori costituzioni stimò Giustiniano di pubblicare in maggior parte dettati nella greca favella che Novelle s'addimandarono, le quali sotto l'imperatore Giustino suo successore raccolte e in latino tradotte col nome di Codex Novellarum furono conosciute, e tale traduzione appel

lasi Autentica.

per

Furon queste le leggi che emanò Giustiniano imperatore; ma poichè le irruzioni dei Goti e de' Vandali molto diminuito trovavasi il suo impero in Italia, ove dell' intutto s'estinse per la nuova incursione dei Longobardi, che in Italia conservarono un lungo dominio; perciò le sopradette leggi o in nissun tempo vi furono osservate, o per le nuove dominazioni vi furono dell'intutto abolite. Sicchè per sette secoli circa perdessene la memoria, e i popoli in quel tempo e sino al 1130 o al 1148 vissero sotto le leggi dei Longobardi o sotto quelle particolari di ciascun luogo.

Mossero intanto i Pisani, ajutando Lotario imperatore, guerra agli Amalfitani, Scalenzi e Ravannesi, e n'ottennero la vittoria, e nel saccheggio di Amalti città marittima vicino a Salerno ritrovarono i soldati di Lotario i volumi archetipi delle Pandette Giustinianee, e furono da lui ai Pisani regalati, e perciò furono dette Pandette pisane; ma fattisi i Fiorentini padroni di Pisa nel 1406 impadronironsi di quelle Pandelte, e però Pandelte fiorentine cominciarono ad appellarsi. Allora Irnerio ed altri eruditi emendaronle, e supplironvi ciò che 'l tarlo ave

vane corroso.

Credono alcuni, nè Voi l'ignorate, che cominciando a conoscersi la perfezione di siffatte leggi esse vennero a poco a poco introdotte dall' uso, altri però suppongono che l'imperatore Lotario secondo avesse pubblicato editto per farle osservare.

O introdotte dall'uso o comandate da Lotario sono queste le leggi che furon fra noi chiamate comuni. Ad esse si aggiunsero le così dette Costituzioni municipali ch'ebber pure forza di legge, e che eran suddivise in Costituzioni, Capitoli, Prammatiche, Consuetudini, ed Istruzioni del Consolato di mare.

E per dir prima delle Costituzioni. È da sapere che avendo dato opera l'imperatore Federico a promulgare un codice in cui fosse il dritto nostro a miglior forma recato, v'inserì ancora le leggi dei re normanni, suoi predecessori, che volle conservate e mantenute. Fu tale

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