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lui la debolezza, il vomito, l'amore, e lo scorpione, e il veleno di esso, e i dolori del parto, e lo spavento, e il cane arrabbiato, e la malinconia, e il dolor colico, e l'emicrania, e le persecuzioni. E non allungherà il collo il serpente, e gioverà per l'ernia e per allontanare ogni cosa simile. E per indovinare l'ora, e non avrà povertà ec. ec.

LETTERA II.

AL PROF. FRANCESCO CASTAGNA

SUR

UN MANOSCRITTO DEL CORANO

Il Corano è un libro, cui la stoltezza dei Musulmani venerando sin da dodici secoli qual codice religioso e politico, crede scritto ab eterno sopra una tavola immensa, preziosa, bianchissima, lunga quanto è dal cielo alla terra larga quant'è dall'Oriente all'Occidente, depositata appo il trono di Dio sul settimo cielo, donde portolla l'arcangelo Gabriello a Maometto, copiato in carta adorna di seta e di gemme.

Siffatto libro è di una importanza meravigliosa, ove apprender profondamente si voglia l'arabo idioma. Sicchè giusta il sapiente ammaestramento di Erpenio ubi didiceris grammaticam, velim totum Alcoranum a capite ad calcem studiose et attente perlegi (1).

Or fra' varii manuscritti della mia particolar libreria è anche un antico manuscritto del Corano. Esso è in-8° grande, di carte 158 ossia di pag. 316: il carattere ne è arabo-africano, ma di assai rozza calligrafia. È al solito scritto colle mozioni, e queste son segnate in rosso come in rosso son pure i titoli delle sure (e non si trovano questi in tutte le sure) i quali per certo sono stati alquanto posteriormente soprapposti.

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Ha principio la prima pagina con la sura XVIII sino alla parola del versetto nono rabbanà, e trovasene il seguito, con la lacuna di tredici

versetti, a pag. 149 che comincia coll'ultima parola qalil del v. 23 della sura suddetta. Segue indi fino a pag. 154 r, che attacca colla pagina 2, e arriva alla sura ci, v. 3, e appunto sino alla parola amanà. Termina a pag. 147 r. la sura xcı, e comincia la xcii che segue a pag. 155 ricominciando colla formola bismillah alrahman alrachim, e leggonsi in due carte le sure xcii a XCVIII scritte di diverso carattere, e senza mozioni. Segue alla pag. 157 la sura cıv sino alla sura CXIV cioè sino all'ultima del Corano, cui segue nella pagina stessa (pag. 158 r.) la prima sura con cui chiudesi il manoscritto.

Esattissima si trova in questo manuscritto la parte ortografica, che fra' diversi studi di cui il Corano è l'oggetto forma una scienza spe

خط المصحف

ciale col nome di all bi pls cioè Scienza dell'ortografia del Corano. E siffatta scienza ha per oggetto speciale l'osservazione di certe regole che i primi compagni del profeta convennero di seguire nelle copie del Corano, allorchè Zeïd ben Jhalet le raccolse in un volume, per ordine di Abubekre, e di cui in seguito sotto il califfato di Othman lo stesso Zeïd fece copia autentica destinata a servir d'originale e di modello unico per tutte quelle che si sarebbero fatte in avvenire (1).

Riandando questo manoscritto ho riflettuto con maraviglia, come nel mentre in Italia lo studio dell'arabico progredì tant'oltre, nissuna versione italiana del medesimo si era potuto sino ad ora vantare; mentre tant'altre stupende traduzioni in diverse lingue sen contano. Ed è da darsene gran lode al signor Vincenzo Calza che ce ne ha fornito una tratta dal testo arabo, ma coll'ajuto di quella francese di Kasimirski, ch'è riputata la migliore (2).

Eravi, non è dubbio, un volgarizzamento del Corano di un tal Andrea Arrivabene pubblicato nel 1547 in Venezia; ma pur coloro che in nulla conoscono la letteratura orientale sanno che siffatto lavoro, tuttochè porti per titolo L'Alcorano di Maomello, nel quale si contiene

(1) v. De Sacy, tom. vili, n. 239.

(2) Il Corano versione italiana del cav. commend. Vincenzo Calza console generale Bastia dalla pontificio in Algeri, con commenti, ed una notizia biografica di Maometto. tipografia di Cesare Fabiani 1847, in-8.

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la dottrina, la vita, i costumi, e le leggi sue: tradollo nuovamente dall'arabo in lingua italiana, non ha il merito d'originalità; giacchè è volgarizzamento non dall' arabico, ma dalla traduzione latina fatta in Ispagna per le cure di Pietro abate di Cluny, e pubblicata da Teodoro Bibliander nel 1543. Ciò che fu osservato dal celebre Seldeno (1),

che fu detto dal sommo Giuseppe Scaligero (2), e che fu ad evidenza dimostrato dall' illustre barone Silvestro de Sacy (3), anco contro le deboli osservazioni del dotto professor di Parma Giambattista De' Rossi (4).

(1) Oper. t. 1, pag. 61, e t. 2, pag. 4.

(2) Epist. pag. 645 e 646.

(3) v. Notices et extraits des manuscrits de la bibliothèque impériale et autres bibliorhéques publiés par l'Istitut impérial de France etc., t. ix, pag. 103 e seg.

(4) Nella sua dissertazione De Corano arabico.

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