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pie percorrendo possono metter fuori decreti che le cose spirituali e l'amministrazione dei sagramenti riguardino.

Quanto allo stile ed alla lingua l'opera manca di ogni pregio.

Assai più lunghi studii, più continuati travagli, e più maturo giudizio era mestieri per imprendere un'opera di così grave importanza!

10 gennaro 1836.

LETTERA V.

AL CAV. FRANCESCO PAOLO MORTILLARO

SULLA

MEMORIA DEL PRINCIPE DI SCORDIA

DEGLI ARABI E DEL LORO SOGGIORNO IN SICILIA.

L'egregio principe di Scordia Pietro Lanza nel dettar questa sua scritta sugli Arabi e sul loro soggiorno in Sicilia, credè sventuratamente, e apertamente dichiarollo, che non istimava poter trarre alcun utile da tutti gli scrittori di quella stagione sieno arabi che bizantini o latini. E ciò perchè stanno essi tra loro in perpetua contradizione, e perchè in lavoro sì breve ch'ei compilava non credeva necessario approfondirsi troppo oltre nella materia (1). Si diè quindi a tessere il suo discorso sulle notizie pubblicate dallo Inveges e dallo Scrofani, che avean raffusolato alla peggio quel periodo oscurissimo di storia siciliana. Perlochè seguì i loro errori, e ripetè le favole stesse narrate e ripetute da tutti coloro che non conobbero le opere degli arabi scrittori.

E cominciando da ciò che riguarda la cronologia, ecco quanti errori nella sola narrazione della occupazione saracenica di Sicilia:

» Kairvau (egli scrive) città eretta sotto il califfato di Odman da Okba uno dei duci di lui, capitale di parte dell' Egitto, trovavasi al

(1) Pag. 20 e 21.

lora governata dalla famiglia degli Aglabiti. Ne era sovrano Ibraim figlio di Aglab l'emiro, che dal califfo Aaron Alraschid era stato inviato governatore e capitano in Egitto. Egli durante il califfato del grande Alcmanon l'anno ottocento ventisette di Cristo, ed il dugento e dodici dell'egira, tirando profitto della demenza dei Cesari di Oriente, l'animo rivolse alla conquista della nostra terra, ed incaricò per tale impresa Adelkam valoroso duce saraceno. Kairvan non era che a poche miglia da Cartagine antica, ed a breve distanza dal mare, Adelkam bastevoli forze riunisce, e salpando dalla spiaggia egiziana veleggia verso la Sicilia.... appena qui giunti i Saraceni il duce ordina l'incendio delle navi, mostrando così ai suoi che altro scampo non aveano che la vittoria; il quale stratagemma fu di novello iucitamento alla barbarie saracenica. In effetto, spinta l'armata dal più tremendo furore porta per ogni dove la strage, nè vi ha cosa che possa opporsi al suo impeto. Selinunte e Mazara furono le prime a sperimentare la saracenica rabbia, tutto cede a quell'immensa piena, il sangue allaga le nostre terre, il duolo ed il lutto abbattono le siciliane famiglie.... Di tal maniera si resero i Saraceni padroni dell'isola tutta, solo ad essi lungamente e valorosamente resistendo Siracusa, Taormina e Rametta, non essendosi arrese che dopo molti anni di stretto ed ostinato assedio, la prima cioè nell' ottocento settantotto, la seconda nel 908, e la terza nel 963 dell' Era nostra >>.

Facendo precisione che Kairvan non appartiene all'Egitto, che è una regione assolutamente diversa e lontana, ma alla Barbaria e propriamente alla provincia cirenaica di Africa (1); e che gli Aglabiti non già in Egitto ma furono nella Mauritania (2),

Che il califfo non Alcmanon, ma Al Mamoun si nominava; Che non dalla spiaggia egiziana salparono i Saraceni per venire in Sicilia, ma dal porto di Susa in Barbaria (3),

(1) v. Leone Africano, Descriptio Africae.

tom. 1, pag. 257.

Ramusio, vol. 1, pag. 69.
Rampoldi, Annali musulmani, vol. 3, n. 7.

(2) v. Ebn al Khattib, Cronaca presso Gregorio, Rerum Arab., pag. 93.

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Hunn., tom. 1, pag. 362. Martorana, Notizie storiche dei Saraceni siciliani. vol. 1, D. II.

Gravi e non pochi sono gli anacronismi che in così breve racconto si comprendono.

E primamente nell'anno 827, epoca della conquista saracenica di Sicilia, l'emiro di Kairvan non era più Ibraim ben al Aglab, che era già morto sin dall'anno 813, ma Ebn Mohammed Ziadet Allah, che fu terzo di quella dinastia e che governava sin dall'anno 817 (1).

E la venuta di Adelkam, che è una frottola riferita da Leone africano, il quale scrisse nell'anno 1526 dell'era nostra, e che fu seguita poi dal Fazello e dagli altri nostri scrittori, non è da alcuno riportata all' 827, ma alle scorrerie degli anni precedenti; essendosi da scrittori poco avveduti attribuite ad Adelkamo le gesta altrui, or attribuendosi l'incendio della propria flotta nel porto di Siracusa che fu disposto da Mohamed ben abì 'I Giauari, or l'espugnazion di Messina come supposero Uberto Golzio e Mario Majer (2), or la presa di Palermo, or la distruzion di Selinunte, che fu opera di Mohamed ben Abd allah primo wali di Sicilia.

Della venuta di Adelkam è scusabile il racconto d'Inveges, perchè lo Inveges fu tratto in errore dalla falsa traduzione del p. Mario Pace di una moneta arabo sicula segnata dal Paruta; ove quell'ignorante frate volea si leggesse il nome di Adelkam, e che il dottissimo Adler (3) primo fra tutti avvertì d'essere illegibile.

Della presa di Taormina e di quella di Rametta non sono ben posti a ragione gli anni dallo Scordia, che ha seguito l'errore dello Scrofani; segnando, secondo la Cronaca di Cambridge, nel 908 il primo avvenimento, nel mentre è desso per lo appunto successo nel 901, come ricavasi da scrittori assai più degni di fede che non sia la cronaca suddetta. Giovanni diacono infatti, che fu contemporaneo e testimonio di viso, riferisce essersi oprata la espugnazione di Taormina dal famoso Ibrahim principe di Libia alcun mese avanti ch'egli andasse sopra Cosenza di Calabria, dove fu colto dal fulmine. Or che il detto principe saraceno abbia perduta la vita nel 901 per quella

(1) v. Ebn al Khattib Novairo Abulfeda, che sono in ciò concordi nianza delle monete pubblicate dal Moeller, e da me.

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(2) v. Grevio, Tesoro di antichità ec., vol. 7, pag. 1117 e 1241, ediz. Lugduni 1723.

punizione della mano celeste lo attestano il Novairo, l'Abulfeda, e l'Ebn al Khattib scrittori arabi, cone pure le due cronache latine di Pietro salernitano, e Lupo protospata. Al che si aggiunge che Giorgio Cedreno riferisce l'occupazion saracena di Taormina come avvenuta poco prima di quella che fecero gli Africani dell'isola di Lemno, e che Lemno fu presa dai Saracini nel bel principio del 902 è consentito da tutti gli storici del tempo.

Riguardo poi a Rametta il Novairo e la cronaca di Cambridge non dicono affatto, che fu prima espugnazione quella fatta nel 963, ma solo raccontano, che dopo cacciata da Taormina l'armata bizantiua venutaci nel 957 sursero a ribellione contro il governo fatimidico anco gli abitanti di Rametta, i quali, non passò l'anno 963, e furono sottomessi dall'emiro Hassan, e da un certo Omar. Anzi è da credere che i Saracini l'abbiano invaso anche pria del 901, perciocchè Novairo, Elmacino e gli storici bizantini ci han voluto ricordare espressamente che di tutte le città siciliane l'ultima a cadere sotto al giogo dei Saracini, e colla quale ebbero queglino l'intero dominio dell'isola, fu Taormina (1).

Altri errori intorno all'ordine cronologico, relativamente agli Emiri rimarcansi nel discorso dello Scordia: «Gli Emiri adunque (son le parole del discorso) che dall'anno 827, epoca della conquista dei Saracini, sino al 1070, epoca della lor decadenza, ressero il governo di questa terra, furono esclusi non pochi governatori, diciannove, undici cioè Aglabiti, ed otto Fatemidi, e così scorsero 243 anni. »

L'autore intende parlare senza meno dei principi aglabidi e fatemidi al cui dominio appartenne la Sicilia. E in siffatta supposizione due cose gravissime vanno avvertite. Una è quella che i Fatimiti uon usarono il titolo di emiri, come accenna l'autore, ma quello di Califfi (2); l'altra che gli Aglabidi, i quali ebbero dominazione in Sicilia

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(1) v. Cedreno, Zonara, e Cuspiniano sotto l'imperio di Leone il filosofo Novairo presso Gregorio, loc. cit., pag. 18, il quale confonde la seconda presa di Taormina colla prima Elmacino, Storia saracenica, lib. xi e xix.

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(2) Lo Scordia cade in questo errore di credere, che i Fatemidi non si intitolassero califfi ma emiri alla pag. 29 del suo discorso, ove dice: « Quindi Al Mahadi assunse i titoli di Imam, di Sultano, e di Califfo, ma i successori suoi non furono che Emiri. »

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