Imágenes de páginas
PDF
EPUB

vizi di ogni genere, per cui i Bolognesi n'ebbero a soffrire vergogna e vituperio. Si narra che questo uomo innamoratosi di una gentildonna saggia e dabbene, e vedendo che colle offerte e coi preghi non poteva conseguire l'intento suo, passasse agli atti più violenti e minacciosi; per la qual cosa la gentil donna temendo per la sua onestà, angustiata dalle continue minaccie, palesò al marito quanto le accadeva in fatto del governatore. Questi uditone tale confessione, pieno di raccapriccio, con animo risoluto, vestito della sua autorità, si portò alla presenza dell'imperiale commissario, e dimostrandogli quanto fosse vile pel suo grado, il tentare all'onestà di saggia moglie, terminava col dirgli che avrebbe fatto ricorso all'Imperatore. Il governatore infuriatosi per tali detti, scagliò una guanciata al gentiluomo, dicendo che ad ogni costo avrebbe avuto la donna sua, e che lo avrebbe fatto appiccare per la gola. Il gentiluomo a tanto oltraggio più non si frenò, e scagliatoglisi furibondo sopra colla spada lo trafisse.

Sorse in Bologna grandissima inquietudine per tal fatto, e tutti temevano a ragione l'ira dell'imperatore: vieppiù accresceva l'angoscia dei cittadini il recente eccidio di Tessalonica in Macedonia,i quali non dubitando che egualmente divenisse della loro patria, onde tentare di spegnere lo sdegno dell' Imperatore per la morte del Greco, condannarono alla taglia colui che n' era stato

causa di tanta ruina che si era fuggito in bando, e spianarono dai fondamenti la sua casa, facendo solenni esequie allo scellerato governatore. Spedirono poi subito ambasciatori a Teodosio, a capo de' quali vi era il Vescovo s. Eusebio, ma per nulla potè rimovere colle sue parole il buon Vescovo il cuore del Monarea, nemmeno colle lagrime che prostrato chiedeva pietà, perchè Teodosio dopo pochi mesi nell' auno 396 venuto in Italia, ordinò a suoi soldati il saccheggio, e Bologna n'ebbe a soffrire tutti gli orrori del ferro e del fuoco. Qui si trova scritto, che nell'orrenda strage venissero uccisi cinquemila uomini, e diecimila fra donne e fanciulli. Teodosio se ne andò in Milano come in trionfo, ma colà fu umiliato da S. Ambrogio arcivescovo di quella città, perchè vestito della sua dignità episcopale, vietogli pubblicamente il passo all'entrata nel tempio. Il detto S. Ambrogio mandò uomini dotti ed ingegneri pratici pel ristauro di Bologna, per la qual cosa i Bolognesi grati pregarono il santo Vescovo che venisse a Bologna, il quale non potendo resistere alle dolci chiamate, venne e rallegrò di sua presenza la derelitta città.

Cosi Bologna ridotta com'era a mal partito, nulla si rileva che sia degno di menzione, se non che dopo la morte di s. Eusebio vescovo, successe S Eustasio, il quale morì dopo due anni, e venne nominato vescovo di Bologna Felice milanese di nascita, discepolo di S Ambrogio, essendo papa

Anastasio I. il quale fondò il monastero dei ss. Gervasio e Protasio, e riedificò la vecchia cattedrale dei ss. Naborre e Felice, aggiungendovi un collegio di Canonici. Morì pianto da tutti, il quattro decembre 429. Per tale perdita rimasero talmente sconsolati i cittadini, che più volte si radunarono per iscegliere chi potesse surrogare all'estinto vescovo, le cui rare virtù avevano lasciato tale impressione, che non ammetteva ai Bolognesi cosa sì facile a trovare un altro idoneo personaggio. Per la qual cosa dopo varie radunanze di popolo, deliberarono di dare la elezione del vescovo al sommo Pontefice Celestino I. spedendone ambasciatori.

Così fin da questo momento cessò la elezione dei vescovi per consiglio del popolo, lasciandone il pieno diritto al sommo Pontefice, che per tale riguardo si ebbe quasi sempre a nominare un concittadino. Nel tempo che gli ambasciatori bolognesi erano alle vicinanze di Roma, partiva da Costantinopoli una ambasciata al Papa, mandata da Teodosio II. per provvedere alla eresia di Nestorio, che per tutta Grecia ed altrove empiamente seminava, a capo della quale ambasciata eravi un certo Petronio, figlio di un altro Petronio Prefetto del Pretorio, di sangue imperiale, discendente di Costantino, della nobile famiglia Anicia, cognato dell' imperatore, essendo la di Jui sorella Eudosia moglie del monarca. Questi era un uomo di singolare bontà, molto dotto

nelle lettere greche e latine, di cui ne diede saggio, secondo Gennadio, allorchè scrisse le vite dei Santi Padri, che negli eremi e nelle solitudini dell' Egitto avevano santamente spesi i loro giorni. Avevano di già i nostri ambasciatori, pei primi arrivati a Roma, fatto la proposta al Papa pel nuovo vescovo, allorchè Celestino ebbe in sogno una visione di un tale personaggio, che venendo per mare, e sbarcando in Ostia, per nome Petronio, lo dovesse ungere vescovo di Bologna. Il sommo Pontefice riguardando il sogno come il volere di Dio, ansiosamente attendeva l'ambasciata greca che in brevi giorni dovea giungere a Roma, e sentendoue come capo di essa eravi un Petronio, radunò il suo consesso, e pieno di santa gioia per la verificata visione, accolse fra le sue braccia Petronio, ed alla presenza degli ambasciatori di Bologna, e di Costantinopoli, veduta e letta ad alta voce l'istanza dei primi, si volse a Petronio, e ponendogli le mani sul capo lo ordinò vescovo di Bologna. Petronio scusavasi nmilmente di assumere si alto incarico, adducendo di essere obbligato di ritornare dall'imperatore, ma il sommo Pontefice gli fece intendere non essere soltanto sua volonta, ma quella di Dio; locchè Petronio, sentendosi obbligato alla ubbidienza, accettò l'imposto carico, e fu vescovo di Bologna. Il Pontefice rimandò gli ambasciatori greci all' imperatore Teodosio II. i quali gli facessero noto che Nestorio verrebbe fra breve condannato da un Concilio

generale, come difatti avvenne in Efeso, dove concorsero più di trecento vescovi, dai quali fuFono le dottrine sue rigettate, e chiamate empie.

In questo frattempo subito gli ambasciatori scrissero a Bologna, come fosse stato eletto Vescovo il sommo Petronio, luminare di scienze e di virtù, cognato dell'imperatore, la cui fama suonava così altamente grande negli angoli dello impero. I Bolognesi a tale aununzio tripudiarono di gioia. Nella squallida Città, parea che per la prima volta, dopo tanta sventura, spirasse l'anelito della vita; parea che un popolo morto a qualunque ben essere della esistenza, fosse stato scosso da una voce di un profeta che rintuonando le orecchie avesse detto: Sorgi; diffatti ella sorgeva. I trivi, le piazze si popolavano, e si bisbigliava, si susurrava a crocchi dovunque. Dipinta si vedeva nei volti di tutti la speranza, l'ansia, e l'aspettata gioia. Suonava nelle bocche di ogni cittadino un nome solo: Era Petronio.

I Bolognesi non si ristettero a parole, ma coll'opera si studiarono a farne pomposo movimento. Correva l'anno 450. Tutte le vie da dove doveva passare il Vescovo novello, erano fregiate di verdeggianti rami d'alberi, di festoni di fiori, e di allori, che pendevano dai balconi delle case. Tappeti di freschi fiori, di panno, di arazzi coprivano le vie. Nei trivi, nei quadrivi già si vedevano altari eretti con carboni accesi, su cui bruciavano eletti incensi, i quali profumavano l'aria di gratissimi

« AnteriorContinuar »