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Dopo la metà del secolo XV le condizioni poco floride in cui versava il monastero di San Giusto, sia in riguardo alla disciplina che alle sostanze patrimoniali, consigliarono un cambiamento nel suo governo. Agli abbati regolari che fino allora vi avevano presieduto, fu sostituito, verso il 1457, un amministratore perpetuo nella persona di Guglielmo d' Estatouville; era bensi egli monaco benedettino della Congregazione di Cluni, avendo anche retto come priore il monastero di S. Martino a Parigi; ma innalzato assai presto alla dignità vescovile finì coll'essere creato arcivescovo di Rouen, insignito della porpora cardinalizia, e morì decano del sacro collegio l'anno 1483 (1). Egli, come di ragione, governava l'abbazia per mezzo d'un suo rappresentante, e questi era il nobile Giovanni de Caneriis: tra costui ed il priore di Montebenedetto, Guglielmo de' Conti di Tenda, risorse l'antica questione del tributo, delle decime e di altri pesi che pretendevansi per la tenuta di Panzone. Bisogna tuttavia riconoscere che se per una parte questi istituti monastici erano facili a questionarsi reciprocamente intorno alla loro temporalità, per altra parte essi, ben lungi dallo spingere le cose all'estremo, si accordavano facilmente nel rimettersi alla decisione d'uno o più arbitri scelti di comune consenso. In questa circostanza, per verità, si trovavano di fronte due personaggi di gran nome e d'alto lignaggio: Guglielmo d'Estatouville per mezzo della madre discendeva dalla potente stirpe dei Borboni (2). Il suo avversario il priore di Montebenedetto, Guglielmo, dell'antica e nobilissima casa dei Conti di Ventimiglia e di Tenda, vantava tra i suoi ascendenti i Lascaris, una delle famiglie che imperarono in Oriente dal 1205 al 1259 (3). Il priore Guglielmo resse la casa di Montebenedetto, per quanto consta dal cartario certosino, negli anni 1463, 64 e 65; passò quindi al governo della certosa di Pesio (4). I due

sia la permanenza della stessa persona nell'ufficio di priore claustrale per oltre cinquant'anni, mi accosto tuttavia al giudizio dell'illustre uomo, non ostante che egli si trovi in disaccordo coll'autorevole scrittore di cose patrie mons. Della Chiesa.

Quanto all'abbate Giacomo, sappiamo ancora che egli intervenne al concilio, o piuttosto conciliabolo di Basilea (1431-1443), e fu uno dei delegati per la nazione italiana ad eleggere un successore al legittimo pontefice Eugenio IV che l'assemblea aveva dichiarato decaduto dal trono papale (CIACONIO, t. II, col. 929, 930. Monsignor DELLA CHIESA, loc. cit., pag. 237-244). Una carta in cui contiensi una ricevuta di decime ci fa sapere che Giacomo Provana era ancora abbate di S. Giusto il 26 marzo 1449 (Archivio come sopra, mazzo 6). (1) CIACONIO, t. II, col. 913. SACCHETTI, Memorie di Susa, pag. 131. (2) CIACONIO, loc. cit.

(3) I Conti di Ventimiglia, un ramo degli Aleramidi, presero altresì il nome di Conti di Tenda verso il 1250. L'ava materna del priore Guglielmo, Eudossia, moglie del conte di Ventimiglia e di Tenda Guglielmo Pietro, era figlia di Teodoro duca di Vataccio, la cui madre Irene era figlia di Teodoro Lascaris, imperatore greco a Nicea dall'anno 1205 al 1223. Egli non lasciò figli maschi; e suo genero, Giovanni duca Vataccio, succedutogli nell' impero, lo trasmise l'anno 1255 al figlio Teodoro che prese il nome di Teodoro II Lascaris, in grazia della madre sua Irene Lascaris (Gioffredo, St. delle Alpi marittime, nei Mon. di St. Patria, Scriptorum II, col. 601, 602).

(4) Addì 2 luglio 1463 i certosini di Montebenedetto costituirono loro procuratore generale alle liti il priore di quel monastero Guglielmo, dei Conti di Tenda. « Instrumentum procure << generalis tam ad lites quam ad negotia facte per Conventum monasterii montis Benedicti << in personam D. Guillelmi ex Comitibus Tende Priorem dicti monasterii. Actum in mona<< sterio montis benedicti siti in finibus Villarii fulchardi... presentibus venerabili fratre Johanne << de Canalibus ex dominis Villarii fulchardi monaco ». (Regol. Certos, - Mombracco, ser. I, vol. 21). Il certosino Giovanni de' Canali era verosimilmente il Giovanni figlio di Roberto, segnati rispettivamente coi N. [57] e [52] nella genealogia dei Canalis. Vedi l'avvertenza alla

pag. 4.

Nel cartario della certosa di Pesio (Archivio di Stato - Torino - sezione I, mazzo 6), trovasi la quitanza seguente rilasciata dal priore di Montebenedetto, Guglielmo di Tenda, a Ste

illustri rappresentanti delle case religiose contendenti, non trovarono difficoltà ad avviare la vertenza verso un amichevole componimento: con atto del 6 luglio 1463 il procuratore del cardinale, ed il priore Guglielmo commisero a due arbitri, Amblardo di Fossonay, arcidiacono, poi decano di Valleria a Sion nel Vallese, dottore di sacri canoni, sotto conservatore del monastero Susino, e Guglielmo de Canis, dottore di leggi, arcidiacono della cattedrale di Torino, la soluzione del litigio (1). Col rappresentante del cardinale Rotomagense (2) stava anche frate Antonio Provana, monaco di San Giusto, curato d'Almese e S. Mauro, per sostenere le ragioni della sua chiesa. La questione volgeva, come dissi, sulle decime, sul riconoscimento di tenere Panzone ed altre possessioni vicine in semplice albergamento, sull'osservanza dell'atto di permuta del 14 ottobre 1344 (3). A tali pretese del nobile « de Caneriis» il priore Guglielmo opponeva i patti sanciti nell'atto d'albergamento ed in una permuta stipulata fra i due monasteri, ratificata dal curato

fano priore di Pesio, per 50 fiorini che costui gli sborsò a nome e per conto del fratello di Guglielmo, Onorato signore di Tenda (1465, 23 agosto. «Notum sit omnibus hoc publicum << scriptum inspecturis quod ego frater Guillelmus prior montis benedicti ordinis cartusiensis << in valle secusia diocesis thaurinensis confiteor habuisse et recepisse a venerabili patre do<< mino stephano priore vallis pisii florenos quinquaginta sabaudie ad vallorem solidorum << xlviij pro quolibet floreno quos mihi assignavit magnificus dominus honoratus dominus « Tende pro elemosina frater meus in quibus sibi tenebatur dictus prior pro grangia de « bainetis et ipsum priorem et conventum absolvo et quito de dictis florenis 1. (pactum fa« ciens) de ulterius non petendo nec alicui volenti petere consentire et hoc scriptum scripsi << manu propria in grangia turris prope cuneum sub anno domini m. iiij 1. xv. xxiij augusti <«<et sigillum meum consuetum sibi apposui in testimonium premissorum presentibus am<brosio de benzei de turre famulo eiusdem prioris et michelleto pechenino de iovaleto << famulo meo ».

Il passaggio di Guglielmo dalla certosa di Montebenedetto a quella di Pesio, nella valle omonima presso Cuneo, avvenne tra l'anno suddetto 1465 ed il 1475, sapendo noi dal Gioffredo (1. c., col. 1135) che il conte di Tenda Onorato, morto l'anno 1475, lasciò per testamento al fratel suo Guglielmo priore della certosa di Pesio, 100 fiorini. Prima di andare al governo del monastero di Montebenedetto, Guglielmo di Tenda era vissuto qualche tempo nella certosa di Mombracco ove, essendo priore, il monastero intentò una lite a persone di Saluzzo, terminata con una sentenza data da due delegati del marchese di Saluzzo il 28 ottobre 1454; il processo era cominciato l'anno prima, addi 24 giugno (Regolari, ecc., serie IV, vol. 18).

(1) Regol. Certos. - Mombracco, serie III, vol. 1o. Nel vol. 4o, pag. 1002 della Gallia Christiana si legge : « Canonici ecclesiae cathedralis Sedunensis » (Sion nel Vallese); « sunt < 24 ex quibus 12 sunt titulares et totidem residentiales ac praebendales. ..... Duabus ordi<< narie praesunt ecclesiis, videlicet cathedrali sedunensi et collegiatae Valleriae. Quadripar<< tita est capitularis dignitas; alius est enim decanus (cathedralis), alius decanus collegiatae « Valleriae ». Nel Reclus poi (Nouvelle Géographie universelle, 1878; vol. 3o, pag. 85), sta scritto: « Sion, l'ancienne capitale des Seduni, le,chef-lieu actuel du Valais, est une vieille cité Gallo-Romaine, dominée par deux ruines de châteaux, dont l'une, quoique datant du moyen âge, porte encore le nom romain de Valeria ». In alcuna delle carte che lo riguardano Amblardo di Fossonay è qualificato di professore residente a Torino. La qualità di << sotto Conservatore » del monastero Susino gli è attribuita in una memoria intorno alla lite che Montebenedetto ebbe a sostenere contro il cardinale d'Estatouville dall'anno 1463 al 1466. In tale qualità egli giudicava le cause riguardanti il monastero di S. Giusto (Vedi sopra a pag. 34).

Nell'appendice al Pedemontium sacrum del Meyranesio, il canonico Bosio (t. IV, Script. nei Mon. di St. Patria, col. 1787), tessendo la serie degli arcidiaconi della Chiesa Torinese, nomina Guglielmo Cacia o Quacia, o « de Caciis » di Novara, dottore d'ambe leggi, il quale avrebbe occupata quella dignità dall'anno 1457 al 1486. Nella carta a cui mi riferisco, il nome << de Canis » è scritto chiaramente: resta quindi a vedere quale sia la versione esatta. (2) Davasi il nome di Cardinale Rotomagense a Guglielmo d'Estatouville dalla sua qualità d'arcivescovo di Rouen.

(3) Vedi sopra alla pag. 44 e seguenti.

d'Almese, non che il possesso immemoriale (1); adduceva ancora il priore a sua difesa che all'istrumento di cambio del 14 ottobre 1344, era stato derogato con altri, ed ammettendo l'obbligo dell'annualità di 7 soldi portato dall'atto d'albergamento, aggiungeva che ciò mediante il monastero di S. Giusto doveva difendere Montebenedetto da ogni violenza ed ingiuria da cui fosse minacciata la tenuta di Panzone, cosa alla quale gli abbati susini, benchè richiesti, non avevano mai provveduto. Domandava inoltre il priore Guglielmo la restituzione di certe somme che il suo predecessore fra Sebastiano, aveva indebitamente pagate al « de Caneriis » (2). Senza che risulti del perchè, gli arbitri eletti fallirono al loro còmpito: la lite aveva ripreso il suo corso; quand'ecco che tre anni dopo, il 4 dicembre 1466, « mentre la causa pendeva davanti ad Amblardo di Fossonay» (3), un nuovo compromesso fu sti pulato fra Giovanni de Caneriis ed il priore di Montebenedetto, Ponzio Boneti, successore di Guglielmo dei Conti di Tenda: questa volta le parti si accordarono nella scelta d'un solo arbitro, e questi fu Antonio de Opeciis di Vigone, professore di canoni, precettore della casa di S. Antonio di Fossano (4). Consultatosi l'Opezzi con due giurisperiti indicati nell'atto stesso di compromesso, Gerolamo « de Burontio » e Cristoforo « de Nicellis », pronunziò la sua sentenza il 31 gennaio dell'anno seguente, 1467. Col suo verdetto, proferito << in loco iuris sancti Mauri, presentibus nobili stephano de vaschis de vigono castellano dicti castri (S. Mauri)..... », dichiarò il monastero certosino obbligato:

a riconoscere la tenuta di Panzone da S. Giusto, secondo la forma ed il tenore dell'albergamento in data 20 aprile 1230 e della sentenza arbitrale 31 gennaio 1320;

a pagare 14 scudi d'oro per le spese fatte dal « de Caneriis » in occasione della presente vertenza (5).

(1) La permuta, menzionata qui dal priore Guglielmo, dovrebbe essere quella del 12 settembre 1346, ratificata dal curato d'Almese l'11 dicembre 1349. Ma siccome la suddetta permuta è poi menzionata poco dopo, inclino a credere che, sotto il nome inesatto di permuta, il priore abbia voluto intendere la sentenza arbitrale pronunziata tra Montebenedetto e S. Gîusto il 31 gennaio 1320 circa varie ragioni riguardanti la tenuta di Panzone (Docum. 6), alla quale tenne dietro a modo di complemento l'altra sentenza arbitrale del 31 luglio stesso anno, tra Montebenedetto ed il curato d'Almese (Docum. 7).

(2) L'atto di compromesso del 6 luglio 1463, dal quale sono tolte le precedenti informazioni, fu stipulato « In viccidario grangie et ante grangiam Panzoni, presentibus ibidem... iuris utriusque doctore D. Catalano barbini de secuxia, magistro victore coe barbitonsore... Iohannes de Gatis de novaria... notarius. »

(3) Come si è detto, Amblardo era investito dell'uffizio di sottoconservatore, ossia di giudice speciale per conoscere e definire le cause del monastero di San Giusto.

(4) Regol. Certos. - Mombracco, serie III, vol. 1o. Gli Antoniani, monaci che avevano la casa principale dell'Ordine a Vienna nel Delfinato, davano il nome di « Precettore » al superiore della loro comunità, la quale prendeva il titolo di « Precettoria ». Una casa di questa congregazione esisteva a S. Antonio detto di « Rio Inverso » o « Ranverso », a poca distanza da Avigliana verso Rivoli. Le relazioni che essa ebbe con Montebenedetto mi daranno occasione di parlarne.

(5) Regol. Certos. Mombracco, serie III, vol. 10. Lo scudo d'oro valeva in quel tempo da 20 a 23 lire dei nostri giorni, all'incirca. — CIBRARIO, Economia del medio evo, vol. 2o, pag. 196.

Appartiene alle carte della lite tra Montebenedetto e l'abbate di S. Giusto un documento di qualche valore storico che mi fo lecito di inserire qui di seguito. È l'attestazione rilasciata ad un tale Felicino Morelli, causidico, da Ludovico Romagnano vescovo di Torino (1438

Dopo il Cardinale d'Estatouville, morto, come dissi, nel 1483, ebbe il governo del monastero Susino di S. Giusto Pietro De Foresta, il quale, per quanto rilevasi dalle carte di quel cenobio, occupò il suo ufficio dal 1483 al 1502 (1). Nei documenti che lo riguardano egli è chiamato abbate di S. Giusto senza altra qualificazione di commendatario o di amministratore perpetuo; però, al titolo d'abbate di S. Giusto egli aggiungeva questi altri: priore di Nantua e di Villetta (2), la qual cosa fa dubitare che egli fosse abbate claustrale: risiedeva qualche tempo nel monastero Susino come appare da una carta del 22 novembre 1483 (3). L'anno seguente l'abbate De Foresta si trovava nel castello

1469), da Giovanni suo fratello, precettore di S. Antonio di Ranverso (V. la nota precedente) e da Antonio Romagnano dei signori di S. Vittoria.

Il causidico Morelli rappresentava, per quel che sembra, Montebenedetto o l'abbate di San Giusto nella lite avanti Amblardo di Faussonay: essendo stato trattenuto al palazzo vescovile di Torino per il negozio indicato nel documento, chiese ed ottenne la dichiarazione di cui si tratta per scusare la sua assenza presso il detto Amblardo (Atti di lite tra Montebenedetto ed il cardinale d'Estatouville, dal 1463 al 1466. Regolari, ecc., serie III, vol. 7).

<< Nos ludovicus episcopus thaurinensis et Johannes preceptor Sancti Anthonii de ran

<< verso ac Anthonius ex marchionibus romagnani dominus sancte victorie.

<< Universis et singulis has litteras nostras inspecturis attestamur in verbo veritatis quod << die martis proximi preteriti que fuit quindecima presentis mensis octobris nos retraximus << in palatio novo episcopali in camera cubiculari pro concordia facienda inter generosum << dominum Anthonium de romagnano agentem ex una et magnificam dominam centalli << parte ex altera in quadam causa ardua valde. Nobiscum existentibus pro generoso domino «< Anthonio et pro suo interesse nobili catalano de gorena ac felixino morelli causidico pro << iure et interesse dicte magnifice domine centalli sine quo felixino morelli concordia fieri << non poterat ibique stetit ab hora xxii horologii usque ad xxiiii inclusive et ultra vacando « semper circa dictam concordiam nobiscum. Et in testimonium premissorum has litteras << nostras fieri iuximus quia a presentia nostra recedere non poterat. Datum Thaurini in palatio episcopali die xvii octobris m.iiii.lxv et in testimonium nos subscripsimus et sigillis nostris << sigillavimus.

Ita est ut supra lu(dovicus) episcopus taurinensis.

<< Ita est et sic attestor Ego Anthonius ex marchionibus Romagnani miles et do« minus » (?).

(Posteriormente) « Litera testimonialis morelli presentanda vener. domino Amblardo de

<< fausonai subconservatori et pro venerabili conventu montis benedicti ».

I Romagnani nominati in questa carta sono segnati nella relativa genealogia Ludovico col N. [10], Giovanni [8], Antonio, consignore di S. Vittoria [7], e l'altro Antonio [9] (V. l’Avvertenza alla pag. 4).

La signoria di Centallo, luogo cospicuo vicino a Cuneo, apparteneva, senza dubbio, alla famiglia Bolleri che ne era allora feudataria.

I sigilli apposti al documento recano lo stemma dei Romagnani, d'azzurro alla banda d'argento accostata da due filetti d'oro. Il sigillo di Ludovico è sormontato dalla mitra col pastorale accanto; ed attorno la leggenda «Ludovicus..... ». Nel sigillo di Antonio lo scudo è circondato da due rami sormontati dalle iniziali A. R. Mancano la sottoscrizione ed il sigillo del precettore Giovanni.

Del palazzo nuovo vescovile » verrà fatto un cenno in una delle « Memorie » che compariranno in un prossimo volume (V. l'Avvertenza alla pag. 4).

(1) Arch. di Stato, sez. I, Abbazia di S. Giusto; mazzo 9, carta del 22 nov. 1483, di cui infra. La prima memoria del suo successore, Pietro de la Beaume, è, salvo errore, del 4 novembre 1513; ivi mazzo 8.

(2) Nantua, abbazia di Benedettini nell'antica provincia del Bugey, oggi dipartimento francese dell'Ain.

Esiste in Tarantasia il Comune di Villette; non risulta però che vi fosse un monastero o priorato.

(3) Arch., ecc., sez. I, Abbazia di S. Giusto. In questa carta, citata nella nota precedente, si legge :

Actum Secusie In pallatio abbatiali In camera que appellatur camera paramenti. Presentibus ibidem venerando domino Vueto de Provanis preposito Vigoni et priore claustrali almi monasterii Sancti Justi de Secusia ac egregio Matheo de Dianis Testibus ad hoc vocatis et rogatis. Huius presentis... instrumenti serie cunctis appareat... quod ibidem ante presenciam Reverendi in christo patris domini petri de foresta dei et apostolice sedis gratia meritissimi abbatis inclyti monasterii Sancti Justi de Secusia ordinis Sancti Benedicti thaurinensis diocesis Romane ecclesie nullo medio pertinente Priorique prioratus sancti petri de Nantua, ecc. ».

di Reano, ove il 17 novembre nominò un commissario per ricevere i consegnamenti delle cose sulle quali il monastero Susino aveva il dominio diretto (1). Nessuna difficoltà, per quanto risulta dalle carte certosine, sorse ad incagliare il regolare adempimento del dovere che incombeva al monastero di Montebenedetto di riconoscere la sovranità dell'abbate di S. Giusto, Pietro De Foresta, sopra la tenuta di Panzone. Il consegnamento subì, è vero, un ritardo di quattro anni, ma ciò può essere stato cagionato da motivi indipendenti dalla volontà dei certosini. Addì 6 febbraio del 1488 « in aula nova loci << bande in quo loco erat maior et sanior pars ipsorum monachorum totum << capitulum facientium quorum quidem monachorum et sacerdotum ac con« versorum nomina sunt hec Philippus de copis de blandrate prior. Andreas << de scatiosis de blandrate procurator. benedictus de losis de orbazano vica<< rius. frater guillermus carbonexii de senis. frater Andreas boverii de Javeno << et frater perrinus moglacii de frassineriis conversi eiusdem monasterii >, vennero eletti i mandatari incaricati di fare il voluto consegnamento (2). Questo poi ebbe luogo il 6 dicembre successivo nelle mani del commissario abbaziale Stefano de Balbis ad Avigliana (3).

Merita d'essere rilevata l'indicazione del luogo ove fu stipulata la carta di procura or menzionata « in aula nova loci bande ». È questo il primo annunzio del prossimo abbandono da parte dei certosini di quel romito ed onorando monastero ove il loro Ordine aveva piamente vissuto per ben tre secoli, fatto segno alle onorificenze ed alle liberalità d'ogni classe di persone. Nel capitolo quarto di questa prima parte (4) descrissi brevemente il sito, nella regione di Banda, ove i certosini stabilirono una fattoria, alla quale verso il fine del XV secolo fu aggiunto il monastero del loro ordine; ma di ciò sarà parlato di proposito più innanzi.

Nella prefazione al presente volume mi intrattenni alquanto a discorrere delle chiese esistenti nel villaggio di S. Antonino in Val-Susa, delle quali una dedicata a S. Desiderio era governata dai monaci benedettini di S. Giusto di Susa per mezzo d'un prevosto del loro ordine; l'altra sotto l'invocazione di S. Antonino era uffiziata da canonici regolari, presiedendovi uno di loro col titolo similmente di prevosto (5). Come cura spirituale la prevostura dei benedettini cessò in epoca di cui non conosco la data precisa. Uno scritto da attribuirsi, apparentemente al secolo XVII, ci informa che la dote della prevostura di S. Desiderio in Sant'Antonino « membro dell'abbazia di S. Giusto

(1) Petrus de Foresta abbas Sancti Justi de Secusia priorque prioratum Nantuacii et Villete» nomina Stefano Balbi d'Avigliana, notaio, segretario ducale, di riconosciuta abilità nel distendere gli atti ducali e del monastero di S. Michele della Chiusa, commissario per ricevere le ricognizioni delle cose sopra le quali spetta al monastero di S. Giusto il dominio diretto :

<< Has nostras litteras concedentes... actas in castro Reani.

<< Et ego Stephanus de Balbis notarius. » (Regol. Certos. - Mombracco, serie, III, vol. 10). (2) Regol. Certos. Mombracco, serie III, vol. 1 e 10.

(3) Ivi.

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(4) Miscell., 1. c., pag. 100.

(5) V. alla pag. 5 e seg. del pres. vol.

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