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VITTORIO POGGI

L'ATTO DI FONDAZIONE

DEL

Monastero di S. Quintino

DI SPIGNO

(4 Maggio 991)

Il medico saluzzese, dott. Vincenzo Malacarne, che pubblicò pel primo l'atto di fondazione del Monastero di S. Quintino di Spigno (1), afferma di averne desunto il testo da un apografo favoritogli dall'ab. G. B. Vasco di Bastia, il quale, a sua volta, l'aveva tratto dall'Archivio comunale di Savona nell'aprile del 1786.

Più attendibili o almeno più circonstanziati particolari circa alla provenienza del documento in parola ci vengono forniti dal ch. G. B. Moriondo, a cui siamo debitori d'una seconda e migliore edizione del documento stesso nei « Monumenta Aquensia » (I, n. 7, col. 9).

Racconta egli, infatti, in una delle note che fanno seguito alla serie dei documenti (I, col. 629), come nel 1785 avendo avuto occasione di conoscere in Acqui mons. D. Belloro, vicario generale della Diocesi di Savona, ebbe da questi promessa che, capitandogli sott'occhio qualche documento che avesse attinenza colla cronotassi dei vescovi e degli abati acquensi, a cui egli allora attendeva, non avrebbe mancato di dargliene comunicazione; e come effettivamente, pochi mesi dopo, gli venisse trasmessa, da parte dello stesso mons. Belloro, copia d'una pergamena trovata dal fratello di costui, Gio. Tomaso (2), fra vecchie carte di famiglia, e da lui giudicata del secolo XIV; pergamena contenente, appunto, l'atto di fondazione del Monastero di S. Quintino di Spigno.

Ricorda in proposito il Moriondo che, non essendogli sfuggita la somma importanza dell'apografo pervenutogli dall'erudito savonese, si fece un dovere

(1) De' Liguri Statellati, lezioni accademiche, edite nella poligrafia Ozi letterarii, Torino. Stamperia Reale, MDCCLXXXVII, vol. II, pag. 230.

(2) Gio. Tomaso Belloro, savonese (1741-1821), fu letterato ed archeologo di polso, in rapporti di stima, d'amicizia e di studi coi migliori letterati ed eruditi dei suoi tempi, quali il Tiraboschi, il Parini, il Passeroni, il Cesarotti, il Bettinelli, il Bondi, il Roberti, il Solari, il Massucco (che ne dettò l'elogio, edito coi tipi di Felice Rossi in Savona), l'Oderico, i due Cordara, lo Żamagna, il Cunick, il Morcelli, il Vernazza, ecc. Il Tiraboschi ne fa onorevole menzione nella Storia della Letteratura italiana (VI, 311, 1382). Federico Alizeri scrive di lui che sono brevi cose e timide in apparenza le scritture onde illustrò la sua patria; ma tutte sostanza, e, quel che monta, tutte critica e verità (Notizie dei professori del disegno in Liguria, dalle origini al secolo xvI, I, p. 95. n.).

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di comunicarlo agli amici M. Cavalleri e ab. G. B. Vasco; e aggiunge che quest'ultimo, ritenendolo preziosissimo, sopratutto per lo studio delle origini dei marchesi di Monferrato e di altre famiglie marchionali del Piemonte e della Liguria, avrebbe vivamente desiderato di poter confrontare l'esemplare avuto in comunicazione dal Moriondo, vuoi coll'autografo, vuoi con altra pergamena antica, ma che ciò non gli era mai riuscito (1).

Ciò stante, dalle citate testimonianze - a prescindere, anche, dalle circostanze di fatto che verremo più sotto esponendo sarà lecito inferire con tutta

certezza che i due editori lavorarono su di uno stesso testo.

Se, infatti, il Malacarne, secondochè egli stesso dichiara, ebbe il testo dall'ab. Vasco; e se questi, come ce ne informa il Moriondo, non conobbe mai altro testo che quello comunicatogli dal Moriondo medesimo, è chiaro che tanto il testo edito dal Malacarne nel 1787 quanto quello che servì alla pubblicazione del Moriondo nel 1789 derivano, nonostante la diversità di lezione, da una stessa ed unica fonte: da una pergamena, cioè, esistente allora in Savona e di cui mons. Belloro avea trasmesso una copia all'autore dei << Monumenta Aquensia ». Che poi questa pergamena appartenesse all'Archivio comunale di Savona, come accenna il Malacarne, o non piuttosto alla famiglia Belloro, giusta l'asserto del Moriondo, è cosa di secondaria importanza; la quale trova, del resto, la sua spiegazione nel fatto che il Gio. Tomaso Belloro era appunto in quel tempo archivista del Comune, come lo fu dopo di lui l'avv. Gio. Battista suo figlio.

«

Pare che dopo la morte di G. T. Belloro, avvenuta nel 1821, la pergamena in discorso sia andata dispersa, poichè l'importantissimo documento in essa contenuto non figura punto nella silloge del conte di San Quintino, dove peraltro è citato più volte come atto d'indubbia fede (2), e nè tampoco nei volumi « Chartarum » dei « Monumenta Historiae Patriae » della nostra Deputazione; segno, questo, evidente che tanto l'autore delle « Osservazioni critiche » quanto gli editori dei volumi « Chartarum » ne fecero invano ricerca dove avrebbe dovuto trovarsi in base alle citate testimonianze, vuoi nell'Archivio comunale di Savona, vuoi presso la famiglia Belloro.

Fortunatamente il prezioso cimelio non andò molto distante: e i cultori delle patrie memorie apprenderanno oggi con piacere che il capitano marittimo cav. G. B. Minuto, solerte e benemerito indagatore delle antichità savonesi, ebbe qualche tempo addietro la fortuna di ritrovarlo a caso e acquistarlo in Cairo Montenotte, presso una famiglia di origine e provenienza savonese. Che la pergamena testè acquistata dal cap. cav. Minuto e oggetto della presente pubblicazione sia quella stessa d'onde vennero desunti i due esemplari di cui si servirono il Malacarne e il Moriondo, non può mettersi menomamente in forse.

Basta porre a confronto i tre testi per convincersi che quelli del Malacarne e del Moriondo sono esemplati su di uno stesso archetipo, che è quello,

(1)« Optasset autem vehementer meum quod ei dederam exemplum cum autographo, aut veteri aliqua membrana conferre, at nuspiam hoc sibi concessum fuisse, uti paucis abhinc diebus mihi narrabat » (Ibid.).

(2) GIULIO DEI CONTI DI S. QUINTINO, Osservazioni critiche sopra alcuni particolari della storia del Piemonte e della Liguria nell'undecimo e dodicesimo secolo, I, pag. 15, 17, ecc.

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