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Magnifici Signori, ec. A dì 3 di questo, in diluculo, da Chioggia vi scrissi io Rinaldo dipoi, lo dì medesimo, me ne venni qua; dove fumo insieme con questa illustre Signoria; che di tutto particularmente avisiamo e nostri magnifici Signori per una lettera che sarà con questa, perchè dalla loro Magnificenzia abbiamo sopra ciò la commissione, e sappiamo vedrete la lettera che per più presto spaccio del fatto, che veggiamo importa, non ve ne mandiamo copia, perchè più tosto parta il corriere. Ieri avemo le vostre de'dì 31 del passato e del primo di questo, e fumo alla Signoria; ma perchè era tardi, trovamo erano usciti di Palazo. E pertanto questa mattina vi siamo stati per lungo spazio: e in ultimo, sopra il fatto di Niccolò Fortebracci parlato quanto voi ce ne imponete, ci dierono risposta, prima praticatala tra loro Che per la venuta del Cardinale di Santa Croce, e del trattato s'ha a tenere della pace ec., non vorrebbono le brigate si partissono, per non parere si cominciassono a sfornire; che sarebbe allungare al Duca la volontà dell'accordo: ma che a loro pareva, che si togliessi Piero di Navarrino, che molto presto si poteva avere ; e che voleano concorrere alla metà delle spese ec. Noi replicamo con quelle ragioni che ci parveno migliori, mostrando massime, che per questa via non si poteva fare il fatto loro e vostro; nè era possibile avere Piero a tempo, considerato la fretta e il caso. In ultimo di nuovo si volleno ristringere insieme, e con dolci parole e benigne ci dissono, volere più tosto in questo e in ogn'altro caso seguire il parere vostro che il loro, e che eglino erano contenti voi gli pigliassi a vostra posta. Bene si ricordavano del conforto dato loro per vostra parte, secondo la commissione ch' io recai di qua, io Rinaldo, di fare buona guerra ec.: e che il detto conforto piaceva loro sommamente; e per questo fare, poi che voi pigliate e Bracceschi, cioè Niccolò Fortebracci con tutta sua compagnia, che a vostra posta potete mandare per loro; pare loro, che di nuovo si conduca Piero di Navarrino, o Bernardino dalla Carda, o messer Iacopuccio Caldoro, o quale di loro più piacessi alla vostra Signoria. Noi rispondemo, niente di ciò potere più, che scrivere alla Signoria vostra, e per parte della loro illustre Signoria pregarvene e confortarvene. E così facciamo, aspettando da voi la risposta che a loro abbiamo a fare. Dell'altre cose ci scrivete, seguiremo in sul fatto d'ubidire a'vostri comandamenti; aspettando la risposta vostra della mia, Marcello, de'dì 28 del passato. E con queste vi rimandiamo Salvadore, e ritegnamo l'Ungaro corrieri. E noi alla vostra Signoria ci raccomandiamo sempre. In Vinegia, a dì 7 di novembre 1426, a nona.

Servidori vostri
Rinaldo degli Albizi k., e
Marcello degli Strozi ec.

Una a messer Palla sopra' fatti del cavallo suo, di detto di; scrissi io propio. Mandate tutte per Salvadore corriere de' Dieci propio.

A dì 9 di novembre 1426 ricevemmo le infrascritte lettere per Monciatto corriere propio de' Dieci.

999] A tergo: Nobilibus et egregiis viris, domino Rainaldo de Albizis militi, et domino Marcello de Strozis, oratoribus nostris carissimis. Venetiis.

Intus vero:

Dilettissimi nostri. Noi ricevemo vostre lettere, per le quali ci avisate della venuta di messer Arrigo di Columbiera, ambasciadore dell'illustre signore Duca di Savoia, e come presto s'aspettava il reverendissimo signore Cardinale di Santa Croce: e non dubitiamo, per le parole del detto Cardinale, arete compreso dove la cosa abbia a riuscire; et egli è signore che non saprebbe parlare se non il vero. Quello che ha esposto messer Arrigo, abbiamo inteso; e ben che credessimo quel medesimo, pur c'è grato sentire la buona disposizione di quello Principe, e quanto è fervente all'onore et esaltazione della Lega e la ruina del nimico.

Messer Rinaldo venne bene informato della nostra intenzione intorno a ogni parte, sì che non è bisogno altrimente alcuna cosa specificarvi. E perchè abbiate per cui scrivere, vi mandiamo questo fante; confortandovi allo spesso scriverci, e avisarci d'ogni cosa che occorre. Data Florentie, die 3 novembris 1426.

Decem officiales balie Comunis Florentie.

1000] (1) A tergo: Nobilibus et egregiis viris, domino Raynaldo de Albizis militi, et domino Marcello de Strozis, oratoribus nostris carissimis. Venetiis.

Intus vero:

Carissimi nostri. Noi vi scrivemo a dì primo di questo, a ore quattro, con la copia di quanto a dì 31 del passato v'abbiavamo scritto; sollicitandovi al confortare, richiedere e pregare cotesta Signoria al mandare Niccolò Fortebracci in Riviera ; mostrandovi l'utilità cognosciavamo doverne seguire, e il frutto prestissimo che ne speravamo. E così ancora di nuovo vogliamo seguitiate. E se prima ci pareva utile, al presente ci pare necessario, veduto il parlare ha fatto prima messer Piero e dipoi messer Arrigo di Colombiera. Et ancora da voi non comprendiamo la Signoria, intorno a' fatti di Genova, mostrino quella constanzia che ci pare richiedrebbe l'ardentissima volontà che dimostrarono a principio, del rimanere Genova in sua libertà. E noi nelle nostre domande, come cosa utilissima e alla Signoria di Vinegia e a noi, per la più principale la ponemmo; sì per lo frutto ne speravamo, come ancora per piacere alla Signoria, e per renderla all'altre nostre domande più favorevole; perchè forse essendosi domandato per loro, e vogliendo, Brescia e il Bresciano, sarebbe paruto troppo escessiva la loro chiesta. E per ogni rispetto e cagione desideriamo, il Duca in Genova niuna superiorità o grado abbia, perchè veggiamo più con Genova può offendere e danneggiare i Viniziani, che con quello possiede in terra; e a noi ancora il simile, e per la vicinità. E però vegnendo alle pratiche et esamine della pace, v'ingegnate con ogni instanzia, come avete per le nostre domande, rimanga libera nella forma sta el capitolo; e sopra ciò fate ogni insistenzia possibile. E noi speriamo la Signoria di Vinegia, benchè nulla ne diciate, dovrà esser constantissima in voler questo medesimo; e assai chiaro, per lo parlare hanno fatto per lo passato la Signoria costì e i loro ambasciadori a Ferrara quando di pace si ragionò, e

(1) Collazionata sul Registro de' Dieci.

ancora qui quelli ci sono stati, il proposito della Signoria sia, che Genova sia liberata dal Duca. Ma pure, questo non ostante, quando vedessi il Duca stare ostinato, più tosto perseverare nella guerra che quella lasciare, per non perdere la pace, in ultimo vi recate a consentirlo; ma con più limitazioni si può. E in questo abbiate buona considerazione e avvertenzia; però che più tosto consentiamo avere pace, e Genova rimanga al Duca, che stare in guerra; non ostante qualunque cosa per lo passato vi sia stata commessa o scritta: ma se possibile fosse ottenere che la lasciasse, come v'è stato per lo passato detto, ci sarebbe gratissimo.

Parci assai chiaro vedere, per le parole usate per messer Arrigo, tutte conformi o in gran parte a quello vi disse sopra le vostre domande la Signoria, innanzi che a quello esamine voi messer Marcello fossi chiamato, fra loro avessono praticato e conchiuso quanto vi fu detto. Voi sapete la commissione che v'abbiamo dato per venire alla conclusione della pace; e sanza aspettare da noi più risposte, con quel modo vedete essere utile v'ingegnate quanto più presto si può si venga all'effetto: e delle nostre domande, in quello v'è possibile, vi sforzate ottenere. Ma innanzi vi conduciate alla presenzia degli ambasciadori del Duca, o del reverendissimo signore Cardinale di Santa Croce, rimanetene in buona concordia colla Signoria e cogli ambasciadori del Duca di Savoia; sì che a quella dieno, nello esamine che s'avesse a fare, favore come si richiede, e non abbiano cagione o materia da tirarsi indietro doppo le domande fatte; sì che per voi non si domandi quello che essi vi negassono; perchè, non sperando frutto, sarebbe di mancamento il chiedere.

De' fatti delle nostre terre e de' nostri accomandati, assai ve n'abbiamo detto, e quello cognosciamo e parci ragionevole e onesto: e benchè si dica il Papa le tiene, è noto come, e anche il fine; posto che al presente, a nostro giudizio, si finga altro colore, e chiaro si vede e con le parole ancora a' nostri ambasciadori il Papa disse sempre, tutte volerle restituire; ma allora allegava, il Duca avere in Romagna sue genti. E crediamo dicessi il vero, chè vi sono de' castellani nelle forteze, e altri che vi misse il Duca; onde si può assai chiaro vedere quale fu la intenzione del Papa, o dello Legato, quando prese dette terre e luoghi et ancora dimostra chiaro, per quello allo 'mbasciadore di cotesta Signoria ha detto, volerle rendere: e introduce il fatto d'Oriuolo. E quanto n'avessi a seguire vi dicemmo: pure a quello pensiamo, chi sarà per lo Papa, rimarrà contento. E perchè il reverendissimo signore Cardinale di Santa Croce sarà costà, e con lui in su queste pratiche si converrà venire, e non dubitiamo dal santo Padre debba intorno a ciò avere singulare commissione, siamo contenti e vogliamo a lui diciate de' fatti d'Oriuolo quanto vi dicemmo. Et esso è signore sì prudente e discreto, che ben terrà secreto, e saprà dar modo per se medesimo, o col Papa, che con nostro onore, e sanza quello maculare, avrà il santo. Padre la sua intenzione, e a noi sarà fatto il debito.

In caso che Genova avesse a rimanere sotto il Duca (che assai ci dispiacerebbe, e contra alla volontà e intenzione de' nostri Signori, nostra, e di qualunque nostro cittadino sarebbe), venite allora a farvi forti e ottenere per ogni modo possibile, che noi siamo liberi del conducere in su qualunque navilii le robe e mercatanzie di Fiandra e d'Inghilterra, sanza alcuno pagamento o vessazione di doane o altre; non ostanti alcuni contratti o oblighi fatti per lo passato in qualunque tempo. Posto che di ragione noi possiamo in su legni nostri; pure, vogliendo levare ciascuna cosa onde potesse nascere scandalo (perchè la natura ci dà vivere in pace con ciascuno), v'ingegnate per ogni via questa liberazione si faccia pienamente, chè giusta contradizione non c'è alcuna, e voi cognoscete quanto questo fatto a onore e contentamento e

commodo di tutta la nostra Comunità venga. Appresso, voi dovete sapere come quelli signori Nobili dal Fiesco sono nella nostra protezione e accomandigia ricevuti in perpetuo, e conviensi il debito e onore nostro conservare: sì che, seguitando il caso predetto, provedete che contro a loro il Duca o i Genovesi non si possano intromettere, nè contra alle lor cose in alcuna forma; e che tutti i lor beni, ragioni e azioni siano loro conservati, e nominatamente (perchè così siamo obligati) i crediti de' luoghi, ove diciamo Il Monte, colle loro rendite e a levare scandali, ci pare che essi debbano esser fuori d'ogni iurisdizione del Duca e di Genova. E se per alcuno tempo si dicesse, loro contrafare alla pace per alcun rispetto (chè siamo certi, rimagnendo a questo modo, ciascun dì saranno molte cose fraudulentemente cercate contro a loro), che lo illustre principe Duca di Savoia e la Signoria di Vinegia abbia a terminare e diffinire verso loro degli escessi o cose che per loro si volesse dire esser commesse, nè alcuno altro se ne possa intromettere. E potendosi adattare in alcun modo, che l'accomandigia loro a questo atto fosse in tutta la Lega, ci parrebbe che più sicuramente potrebbono attendere a' fatti loro, e non presummerebbe così facilmente ciascuno fare contro a loro. Et il simile diciamo di quelli da Campofregoso. Et a ottenere questo, alcuna difficultà non pensiamo vi sarà; perchè per la vostra lettera assai chiaro veggiamo, per la conclusione fate, esservi consentito che de' nostri accomandati e delle lor cose, in qualunque luogo, il Duca non se ne possa intromettere ma pregate la Signoria e cotesti ambasciadori del Duca di Savoia, che a queste cose vogliano avere buono riguardo, intorno a lasciare Genova al Duca: chè per certo, oltre agli altri molti inconvenienti che si possono chiaro vedere, che ne seguiranno; noi veggiamo manifestamente per questo solo dal Fiesco e da Campofregoso, per parzialità contrarie, ogni dì ne nasceranno: et alla loro salveza e alla conservazione della pace si vuol pigliare tutte le vie e modi che produchino questi effetti. E non meno debbano la Signoria e cotesti ambasciadori di Savoia a questo riguardare e provedere, che noi medesimi; perchè di tutta la Lega è universale interesse perchè essendo i predetti offesi o ingiuriati, ne seguiterebbe la violazione e rottura della pace, come è manifesto. Et abbiendo la commodità e l'attitudine del tempo, è necessario utilmente e bene provedervi, sì che dietro al fatto non s'abbi a fare nuove interpetrazioni, o procurare de' rimedii. E voi siete prudentissimi, e tutto dovete bene intendere e cognoscere, e a levare questi inconvenienti esser prontissimi e ferventi. Noi siamo desiderosi della pace, e così che quella conclusa, abbia fermeza e duri etterna. E dobbiamo sperare ciascuno essere di tale disposizione; e perchè tale effetto segua, fare ogni cosa possibile. E così vogliate la Signoria e gli ambasciadori di Savoia confortare.

Quanto hanno diliberato e conchiuso sopra la risposta che s'abbi a fare allo 'mbasciadore del Marchese di Monferrato abbiamo inteso; e poi che così è fatto, si dee per noi e per ciascuno commendare e lodare. E perchè noi consideriamo che, nollo inchiudendo la Lega nella pace per la sua parte, il Duca di Milano per la sua lo inchiuderà, e per questo ne verrebbe a acquistare, et in qualunque grado Genova rimane, confinando il Marchese come fa, ci pare utile sia inchiuso per la Lega nella pace; e così v'ingegnate fare. E la prorogazione de'due mesi siamo contenti facciate; chè in voi, messer Marcello, sanza nuovo mandato tegnamo sia l'autorità sufficiente; e onesta è la via introdotta, se contro per la parte del Duca o per altri si volesse allegare. Se si facesse difficultà di quelli da Campofregoso, consentite che solo messer Tommaso rimanga, che è il principale e in lui dice l'accomandigia. Voi, messer Marcello, di quanto ci avete risposto e fatto intorno a ciascuna parte, e noi avisato,

vi commendiamo; e così seguite e fate per l'avenire, rendendoci spesso avisati di ciascuna cosa. Data Florentie, die 3 novembris 1426, hora III noctis.

Decem officiales balie Comunis Florentie.

1001] A tergo: Egregio militi domino Rainaldo de Albizis, oratori Comunis Florentie Venetiis, fratri karissimo.

Intus vero:

Magnifice Miles, ut frater karissime. Lasciando gli esordi, vi scrivo per ricordarvi alcuna cosa intorno a' fatti della pace, acciò che dalla nostra parte non resti, nondimeno adoperando quanto si può per gli fatti del Comune nostro, come che certo sono non bisogna. La cagione per che mi sono mosso a scrivervi si è, che per molti si cognosce, e così credo si faccia costì, che troppo gran vantaggio piglia il Duca di questo trattato publicato della pace, se conchiuder non dovesse. E però pare molto utile, che tosto si vegga el sì o no; perchè lo stato suo è in più pericolo levando la pratica, non venendosi alle conclusioni. E così credo sia utile aiutare la materia. Qui non ha altro di nuovo. Noi speriamo e Priori nuovi utili a' fatti del Comune, per quanto insino a qui possiamo vedere ; e credo di loro seguirà buon governo. Così piaccia a Dio, el quale voi conservi in stato felice. In Firenze, a dì 3 di novembre 1426.

Vostro Niccolò da Uzano.

1002]

Dominis Decem.

Magnifici Signori, ec. A dì 7, a nona, per Salvadore vostro corriere, vi scrivemmo l'ultima; e con essa un'altra a'nostri magnifici Signori ; bench'egli soprastessi al partire insino a stamani innanzi dì, per fortuna di mare.

Questa illustre Signoria mandò stamani per noi; e prima ci fece noto, come il Cardinale di Santa Croce veniva oggi in Vinegia; pregandoci che noi tornassimo, dietro a mangiare, prestamente là per montare con loro in mare, per andargli allo 'ncontro. E così facemo. Messer lo Doge con tutta la Signoria e molti legni armati, e noi con loro, per insino presso a Malamoco gli andamo incontro, e accompagnamolo insino a San Giorgio: e quivi lo lasciamo. E noi piglieremo tempo d'essere con la sua Signoria; e con le lettere di credenza ch' io Rinaldo recai, cercheremo di fare quanto c'è commesso, con buona sollecitudine e fede.

Degli ambasciadori del Duca di Milano, niente ce n'è: e questo signore Cardinale pensava che fossono oramai arrivati qua. Il cavallaro di costoro, che portò là il salvocondotto, non è ancora tornato; e la Signoria ha lettere da Verona de'dì 7, e niuno sentore n'era là. Come altro ne sentiremo, subito ne sarete avisati.

Come questa illustre Signoria c'ebbe dato l'aviso, questa mattina, della venuta del Cardinale, come di sopra si dice; ella ci fece leggere una lettera che venia da Brescia della quale vi mandiamo la copia d'uno capitulo, sopra lo quale feceno grandissima doglienza. E prima dicendo, che queste parole del vostro bisogno di pace, era molto dannoso a onore e utilità della Lega; e massime spandendolo a Brescia, come si fa ma che colla loro Signoria, e in segreto, hanno carissimo tutto si dica. Oltre a ciò, si dolfono assai del volere voi diminuire le genti che voi avete a Brescia, secondo le parole di Giovanni Betti; dicendo, questo non è il conforto dato loro di

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