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geva quella della Scienza, a Lui che visse lavorando, amando e credendo, gli scolari rivolgono il saluto, espressione di affetto e di riconoscenza.

Nella scuola dove Egli seminò il frutto del sapere, e raccolse il fiore della gratitudine Egli vivrà ancora non nella mente soltanto degli scolari che impararono da Lui il metodo al lavoro con coscienza e con modestia, ma nell'animo di tutti che lo videro sempre sincero, e nello scatto talvolta aspro del rimprovero che redimeva, e nella parola di lode per gli altri che era per Lui causa di propria letizia. Il suo insegnamento non era utile soltanto per l'importanza della dottrina, che Egli, primo in Italia, sollevò a dignità scientifica, ma per l'effetto morale di quella parola detta con fede, di quell'amore al lavoro, di quel sentimento al dovere, di quella idealità alla Scienza, che non s'insegna, ma s'ispira con il proprio esempio.

L'opera sua scientifica è coronata di una gloria modesta e pura per quella vita consacrata alla preparazione della Storia d'Italia nel silenzio degli archivi con la pazienza feconda, con la serenità di chi lavora per un ideale, con l'amore della Patria, con la coscienza che indistruttibile è in noi l'anima degli Avi.

Quell'opera non la raccolgano i biografi del Paoli solo in ciò che Egli scrisse, ma nei lavori migliori della sua scuola che Egli consigliò, aiutò, corresse con affetto e con dottrina. Ma per quella scuola, per quel lavoro Egli tormentò le sue forze fisiche, e mori per esso come sul proprio campo di battaglia. È l'eroismo modesto che pone Lui

tra i martiri del dovere e del lavoro.

A quell' angelica Signora, a quei figli che allietarono la vita del Maestro, che piansero dei suoi dolori, che gemono sotto l'angoscia della sua fine, noi giovani e vecchi scolari del Paoli dall' uno estremo all'altro d'Italia, per quella parentela intellettuale che ci univa al Maestro, a quelle buone ed infelici creature ci sentiamo ora e sempre legati di un sacro vincolo di dolore. Nella nostra famiglia, nella nostra scuola porteremo il ricordo del Maestro buono, l'amore alla famiglia infelice. E noi ravviveremo i fiori della Sua tomba, e tramanderemo la memoria del Maestro con la fiamma pura dell'affetto.

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I " GIUSTIZIATI, A FIRENZE

(dal Secolo XV al Secolo XVIII)

I.

Le « Giustizie a Roma » di A. Ademollo, e cioè le condanne capitali eseguite a Roma nei secoli XVII e XVIII, desunte dal Diario dell'abate Ghezzi, che può definirsi la Cronaca del patibolo, e dalle annotazioni del carnefice Bugatti, più che moneta spicciola della storia, come le chiamò modestamente l'autore, riuscirono un libro, com' ebbe a dire il Nencioni, che ne pigliava argomento per uno de' suoi geniali articoli, « di una singolare importanza per lo studio « della storia e dei costumi romani » (1).

Ora a me, capitando fra mano un codice cartaceo di scrittura del secol passato, nel quale « si comincia a tenere << memoria di tutti quei rei condannati a morte, che furono << seppelliti in S. Candida fuori di Porta a Pinti, e d'altri « ancora », venne in pensiero di porgere un modesto avviamento ed un contributo a studiare le « Giustizie e i Giu<< stiziati » in Firenze. Questo codicetto (2) fu quindi il

(1) Roma, Forzani e Comp. 1882. Ved. NENCIONI, Fanfulla della Domenica, 25 Giugno 1882.

(2) Il Codicetto, di carte 86, è cartaceo, di scrittura del secolo passato, e forse copia di un manoscritto più antico appartenente alla Compagnia di S. Urbano presso la Chiesa parrocchiale de' SS. Iacopo e Lucia, retta dai Domenicani in S. Miniato al Tedesco. Nella Compagnia di S. Urbano si raccoglieva la Confraternita sanminiatese di S. Giovanni decollato, affigliata a quella di Firenze, per l'assistenza dei condannati a morte. Copiò questo Codicetto, ora presso di me, Niccolò Gagliardi di S. Miniato, il quale visse dal 1777 al 3 gennaio 1856, ed è quello stesso, del quale pubblicai certi ricordi col titolo: Un cronista popolano dei tempi della Rivoluzione francese. Ved. Arch. stor. it., To. X, Anno 1892. Il sig. Antonio Vensi, pure di S. Miniato, mi comunicava il Codicetto.

ARCH. STOR. Ir., 5.a Serie.

- XXVIII.

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principio e l'occasione di una serie d'indagini su varie carte e documenti superstiti della Compagnia di S. Maria della Croce al Tempio, la quale in Firenze assisteva i condannati a morte, e sugli elenchi e notizie di questi, che si posseggono in copia. Nè soltanto fui mosso dalla brama di tesoreggiare documenti inediti o trascurati fino a qui, ma dal bisogno d'interrogare sempre nuovi documenti umani, soprattutto di quelli che gli storici contemporanei ed i posteri più neglessero, o guardarono con ribrezzo pietoso o con isdegno. Ogni qual volta la storia scende premurosa nelle prigioni e le studia con amore diligente del vero е del giusto, come i castelli, i palagi e le regge, quando essa, nelle sue pagine, che formano il gran libro delle espiazioni e delle ricompense, non oblia scrupolosa neppur la voce dei più spregiati ed abbietti, allora fa sempre un nuovo passo sulla via del progresso. Pur troppo condanne, carnefici e patiboli son viva e non piccola parte della storia della umanità! Ma v'è di più. Oggi che non si vuole dai penalisti studiare soltanto la figura del reato in sè stessa, come una entità categorica, ma si rivolgono ansiose e minute le indagini sulle persone de' delinquenti, analizzandoli e cercando di rilevarne i caratteri e le modificazioni ed anomalie fisiche, psichiche e morali, questi documenti umani, colti sul vivo de'fatti, e senza preconcetti di sistema, formano un materiale di studio, che può servire a rettificare o completare osservazioni e giudizi. Se a molti penalisti i proverbi sulla fisonomia del cosidetto delinquente nato, i canti popolari, le superstizioni ed il tatuaggio offrono oggetto di esame; anche le più vecchie cronache del patibolo, qual'è dato raccogliere negli Archivi e nelle Biblioteche, forniranno dati abbondanti e preziosi, raffronti utilissimi; saranno elemento indispensabile per le induzioni e le statistiche meglio positive.

Frattanto qui si rievocano molte figure di condannati, fra le quali alcune d'innocenti, se ne accennano certe azioni e circostanze del delitto o della condanna; i detti

ed i fatti nelle ultime ore spaventevoli che precedono il supplizio; qualche particolare biografico, psichico, atavistico; certi effetti che la pena di morte, prodigata senza ritegno, produceva sul consorzio. Sono note ed appunti che potreb bero invogliare altri a svolgere e completare l'importante argomento.

II.

La Compagnia di S. Maria della Croce al Tempio, Compagnia Grande del Tempio, ebbe la sua prima origine nel 1343 da alcuni giovinetti e poverini che si adunavano presso S. Giuseppe per adorare un'immagine della Vergine dipinta in un tabernacolo, facendo festa con lumi e cantando laudi. Rimase costituita definitivamente nel 1356, dal quale anno datavano i suoi più antichi Statuti, ora periti. Ospitava i viandanti ed i pellegrini, confortava i reclusi nelle Stinche, visitava gl'infermi, sovveniva ai bisogni delle partorienti miserabili, dotava fanciulle; ma poi suo principale ufficio rimase l'assistenza dei condannati alla pena capitale, dando loro benignamente sepoltura e preghiere per salute delle anime nostre et di quei miseri << abandonati et a morte condemnati per la justizia.... aiu<< tandoli in vita e doppo saranno morti, che ne doni Idio << gratia di essere quali si conviene a opra di tale impor<<< tanza ». Il sigillo della Compagnia portò in lettere rosse su campo azzurro e bianco la scritta: Societatis S. Marie de Cruce ad Templum Florentie; lo stemma era una croce rossa in campo d'argento; il monogramma Jesus Maria. Altro emblema pare che fosse un incappucciato vestito di grigio ai piedi di un Santo (forse S. Giovanni); ma in seguito i fratelli andaron vestiti di nero con cappa e cappuccio che nascondeva loro la faccia, e furono perciò detti anche i Neri, mentre d'estate portavano cappelli neri di paglia. Il 28 Aprile del 1356 si vuole ch'essi per la prima volta accompagnassero un condannato a morte; eppoi ne

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