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attorno a sè maggior luce. A taluno sembra gettata la fatica che molti studiosi spendono nella critica severa, alle volte sin troppo minuta e meticolosa, di certi documenti storici; ma bastino i due volumi che ora abbiamo esaminato per provare, se è necessario, ancora una volta quanto frutto per la storia si possa ricavare dall'attenta critica di un documento in tutti i suoi vari aspetti. Basta leggere, per persuadersene sempre meglio, le acute osservazioni paleografiche e storiche che il C. fa esaminando il rotolo contenente il Chronicon e le nuove ipotesi che ne trae sulla composizione dello stesso e sul suo autore.

Dinanzi ad un lavoro cosi coscienzioso qual'è quello ora esaminato, ci resta solo di augurare alla storia d'Italia molti cultori attenti ed acuti come l'illustre professore dell'Università di Torino, i quali, seguendo le sue orme, illustrino i documenti dei numerosi monasteri italiani, la cui storia, nell'alto medioevo specialmente, riflette spesso le vicende non solo di una regione soltanto ma dell'intera penisola.

Cambiano.

PIETRO GRIBAUDI.

Codice Diplomatico Barese, vol. III. Le pergamene della cattedrale di Terlizzi (971-1300). - Bari, 1899, pp. LV-400 in-4o.

Questo volume, del quale il Direttore dell'Archivio ha voluto che io scrivessi, per conservare la continuità di recensione di tutta l'opera intrapresa a pubblicare dalla benemerita Commissione provinciale di Bari, contiene il ricco materiale diplomatico, che un oscuro comunello rurale di Puglia ha avuto la rara fortuna di veder sopravvivere fino ad oggi. Le antiche carte terlizzesi, considerate in sè medesime, non hanno veramente molta importanza, la quale invece deriva loro, non solo dalla penuria o iattura, che ha colpiti gli archivi capitolari delle città vicine, fin d'allora assai più notevoli di Terlizzi, come Giovinazzo, Bitonto, Ruvo, Molfetta, Bisceglie, delle quali anzi parecchie carte si sono salvate nell'archivio terlizzese; ma ancora dall'essere esempio quasi unico di materiale diplomatico di un comune interno della regione pugliese. A far rilevare questa speciale importanza, e ad un tempo, valendosi del cumulo di documenti pugliesi finora editi, compiere il « primo tentativo di venire « a conclusioni e risultati generali su tutta la storia dell'Apulia, << indicando i criteri e la via da seguire », s'è fatto precedere il volume da una non breve Introduzione. In essa, dimostrata innanzi tutto la falsità delle notizie create di sana pianta su Terlizzi prima

del secolo X, si segue, passo passo, co'documenti alla mano, l'irradiarsi della popolazione agricola della città di Giovinazzo nel suo territorio, con la fondazione di piccole chiese e de'casali Trelicio, Balena, Mapassano, S. Giuliano, ecc. Un lungo paragrafo è consacrato ai Buoni Uomini, di cui son pieni i documenti, ed all'origine del Comune in Puglia nel secolo XI; altri alla conquista normanna, opera del conte Amico, fondatore del castello di Terlizzi, che fu poi riunito alla contea di Conversano, ed al diffondersi del feudalismo, sotto gli Altavilla e gli Hohenstaufen. Un capitolo speciale è dedicato all'età di Federico II ed alla lotta fra lo Stato e la Chiesa, che trovò eco anche nelle città di Puglia. Del resto, la storia religiosa ed ecclesiastica di questa regione nell'alto Medio Evo è assai poco nota, onde col sussidio de' nuovi documenti si cerca di apportarvi un po' di luce, come si fa pure per la storia artistica de' suoi monumenti. Infine, l'ultimo paragrafo dell' Introduzione s'intrattiene sulla vita giuridica e civile del popolo pugliese, in cui occupa il primo posto il giure longobardo, pur distinto ne' due rivoli dell'usus e della lex, mentre importanti documenti, come corredi dotali e simili, presentano un ricco materiale per la storia dei costumi e del commercio, specie nei rapporti della Puglia con la costiera d'Amalfi e con la Francia.

Le pergamene pubblicate in questo volume sono, fra tutte, 310, e vanno dal 971 al 1300; in massima parte, carte private ed atti notarili. Al periodo greco (971-1078), pur non essendo alcuna redatta in greco, ne appartengono 19; al normanno (1080-1194) 146, sebbene qualcuna, come ad es. la CLXIII, del 1193, è data solo in copia legale del 1232, dovuta all'applicazione della costituzione melfitana, per la quale Federico II, considerando i normanni succeduti a Guglielmo II quali invasori ed usurpatori del regno, ne volle cancellare dai documenti persino il nome. Al periodo svevo (1195-1266) ne appartengono 117, ed a quello angioino, fermandosi però al 1300, dopo il quale anno le pergamene conservate nell' archivio capitolare di Terlizzi perdono quasi ogni importanza, sole 28, di cui cinque (1266-1271) sono date in largo transunto. Fra quelle del primo periodo è notevole una carta dell'ottobre 1041 (n. IV) di Giovinazzo, in cui Grifone imperiale turmarca, con altri sortefici della stessa città, ordina rettore a vita della chiesa di S. Maria di Cisano, << ecclesia ipsa vetere qui cecidebat, unde surrexit Umfreida << ex genere Normannorum, qui dirrupavit et laboravit illam seu << reconciliavit a novo pro mercedis [anim]e s[ue] et facit in ipsa << sancta ecclesia modo multa bonitate, et de causa sua pro anima << sua repromittit multa bonitate facere et dare ». Ecco un piccolo saggio del parlare pugliese del secolo XI! Notevole è pure la sen

tenza del gennaio 1068 (n. XI) emanata da' Buoni Uomini di Terlizzi (<«< Nos autem bonis hominibus ut sumus de loco Tillizo qualiter << intus in eodem loco cum resideremus cum Pantaleo turmarcha, tunc << ante nostras presentias venit » ecc.), nella lite fra Radeprando di Vandone e Dumnello di Pascale da una parte e Radelgiso e Adelgiso figli di Leone dall'altra, per beni stabili ereditati da comuni parenti; come notevole è il diploma di donazione del settembre 1074 (n. XVI) fatta dal conte Amico normanno alla chiesa di S. Michele, la futura cattedrale di Terlizzi, carta compresa in questo periodo, giacchè ancora altre successive continuano per la data ad avere l'intitolazione degl' imperatori d' Oriente, pur essendone tramontato il dominio. È poi degno di nota il fatto, che anche per un intero decennio successivo (1090-1100) in carte di Terlizzi, Giovinazzo e Melfi, la quale non è altro che la città nascente di Molfetta, è conservata nel protocollo l'intitolazione dell' Imperatore Alessio I, come per una vana protesta e rivendicazione di diritti contro l' effettivo dominio del duca Ruggiero normanno; mentre, per circa un quarantennio (1107-1143), le 23 carte, eccettochè una del gennaio 1111, nella quale ricompare Alessio I, non portano intitolazione dinastica di alcuna specie.

Bisogna arrivare al 1144 per incontrare la prima intitolazione di re Ruggiero II: così anche questi dati diplomatici concorrono a provare l'esistenza politica del Comune in Puglia negli ultimi decenni del secolo XI e ne' primi del XII. Tra le altre dell'età normanna, è importante la carta del maggio 1167 (n. CI), in cui Anucio, maestro baiulo del conte Riccardo Mulisano, che aveva scritto ad Angelo catepano di Terlizzi, « ut de terris dominicis a foris muris... << pro domibus edificandis.. distribueret ut ipsa civitas augmentando < vigeret», concede a questo scopo a Giovanni di Geronimo 21 piedi di terra. Del periodo svevo ricordo una sola, 19 luglio 1262 (n. CCLXXVIII), per cui « Gualterus magister comacenus habitator << civitatis Trani, filius Riccardi de Fogia », emancipa il figlio Paolo, divenuto anche lui maestro comacino, e gli assegna per ciò, in causa benedictionis, 12 oncie d'oro di tari di Sicilia.

L'ultima carta, trascritta per intero in questo volume, è un breve dell'aprile 1271 (n. CCLXXXVII), indirizzato dal penitenziere di papa Gregorio X al vescovo di Giovinazzo, col quale si ordina che, previo giuramento di non far mai più nulla a favore dei nemici della Chiesa, si assolvano Maio ed altri 7 suddiaconi terlizzesi dalla scomunica, in cui erano caduti, per avere seguito la causa di Corradino di Svevia.

Bari.

FRANCESCO CARABELLESE,

BRUSCOLI GAETANO, Lo Spedale di S. M. degl' Innocenti di Firenze

dalla sua fondazione ai giorni nostri. Firenze, Ariani, 1900.

Sebbene intorno allo Spedale di S. M. degl' Innocenti abbiano discorso due eruditi fiorentini, cioè il Bruni e il Passerini, pure al signor B. è sembrato bene di rifarsi a scriverne un'altra volta la storia, perchè il primo de' detti autori trascurò di studiarne i documenti relativi e il secondo li vide molto affrettatamente, nè li sottopose a una critica troppo severa.

Egli ha diviso pertanto il suo lavoro in tre parti. Nella prima, dopo un rapido cenno sui due Spedali che ricevevano gli esposti in Firenze, fino dai primi anni del sec. XIII, ha tessuto la storia dello Spedale di Santa Maria degli Innocenti dalla sua fondazione fino al 1887, nel qual anno s' iniziò (come egli dice) il periodo moderno della vita dell'istituto, col suo nuovo statuto organico. Nella seconda tratta dell'ordinamento attuale, comprese le riforme avvenute dopo il 1887; e senza entrare in particolari troppo minuti cerca di dare una chiara idea di ciò che sia oggi questo Stabilimento. Nella terza ha raccolto alcuni di quei documenti che gli sono parsi più importanti e diverse statistiche. Il sig. B. ha procurato particolarmente di rischiarare le origini del detto Spedale ed a questo scopo ha tratto partito, non solo dalle collezioni di documenti pubblicati in questi ultimi anni, ma anche dalle vecchie carte tuttora esistenti nell' Archivio degli Innocenti. Citeremo ad esempio un inventario in volgare di possessioni dello Spedale di S. M. a S. Gallo che, sebbene per la forma del carattere in cui è scritto si possa giudicare del sec. XIV, pure egli crede che sia copia di altro più antico e che si riporta per intero tra i documenti: due Provvisioni della Repubblica fiorentina relative ai privilegi concessi in favore dello Spedale degl' Innocenti negli anni 1421 e 1484; un frammento degli Statuti dettati dall' Arte di Por Santa Maria per il medesimo nel 1452; una relazione dei Nove Deputati a rivedere le cose di quell'Istituto nel 1579 e vari altri documenti posteriori. In complesso, questo lavoro del sig. B. fa buona impressione e, sebbene facendo più ampie ricerche negli Archivi di Stato egli avrebbe forse risoluto qualche punto rimastogli ancora oscuro, tuttavia si può dire con sicurezza che questa sua storia è la migliore di quante ne furono scritte sull'argomento.

Firenze.

A. GIORGETTI.

ARCH. STOR. Ir., 5. Serie. XXVIII.

25

GIUSEPPE BIADEGO, Dante e gli Scaligeri. Venezia, Visentini, 1899. Estratto dal Nuovo Archivio Veneto, to. XVIII. Discorso letto nell' adunanza solenne della R. Deputazione veneta di storia patria, il giorno 5 novembre 1899. Un opusc. in 8.o di pp. 31.

Eccellente lavoro di sintesi in un campo, nel quale già si esercitarono ampiamente la discussione critica e l'indagine erudita.

Dei rapporti di Dante con gli Scaligeri e della dimora che il sommo poeta fece in Verona, « suo primo rifugio e primo ostello », nell'amara via dell'esilio, parla il B. con profonda conoscenza dell'argomento e con si viva rappresentazione del luogo, del tempo e dei personaggi, che il lettore ne ha limpida e luminosa visione come in un quadro di provetto artista.

Perchè mai Dante volse tosto il suo pensiero e i suoi passi alle rive lontane dell'Adige, quando l'ingrata Firenze gli tolse << ogni <cosa diletta più caramente »? Dobbiamo maravigliarci di questo fatto, o credere, come vollero alcuni interpreti, che il primo rifugio non fosse tale in ordine cronologico?

Basta pensare alla fama che Verona godeva tra il declinare del decimoterzo e il principio del decimoquarto secolo, alla ricca fioritura artistica e letteraria, onde fu allora produttrice e custode, alla sua importanza commerciale e politica, per comprendere e spiegare la preferenza a lei data dal fuggiasco poeta. Tale è, per così dire, l'argomentazione storica del B., abbastanza nota nelle sue linee generali, ma resa qui più evidente da una geniale disposizione dei fatti dimostrativi, che sono opportunamente lumeggiati coi risultamenti degli ultimi studi e rievocati con parola calda e colorita.

Lo splendore della corte scaligera, ove altri esuli prima di Dante avevano trovato asilo, è in brevi ed efficacissimi tratti rappresentato. Bartolomeo, il gran Lombardo, che fu l'ospite primo, cortese e generoso, e Cangrande, l'ospite magnifico, nel quale vide il poeta un ideale di principe e forse il Veltro destinato a cacciare la lupa (1), rivivono in queste poche pagine con la loro vera fisonomia storica in mezzo alle varie figure dei loro contemporanei, guerrieri e poeti, pittori e filosofi, mercanti trovatori e giullari.

(1) L'A. accoglie l'opinione del CIAN (Sulle orme del Veltro, Messina, 1897) che Dante, pur pensando ad un liberatore in forma astratta e indeterminata, potesse a seconda degli eventi illudersi di vederlo nell'uno o nell'altro degli uomini più illustri del suo tempo, e che tale liberatore nel concetto dantesco fosse certamente un principe laico.

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