Imágenes de páginas
PDF
EPUB

vagità di certa gente pronta in ogni occasione a pescare nel torbido, sparsero e fecero credere le più sciagurate e pazze novelle.

Nello scartafaccio di Fatti Tragici, del quale più copie circolarono, è narrato che la granduchessa voleva avvelenare il cardinale con una torta, se non che, accortasi che invece avea per isbaglio dato il veleno a Francesco, lo prese anch'essa. Certi diari fiorentini, ed un registro dei primi del secolo XVIII aggiungono: « Si ha per tra<dizione del Borbottino Vecchio, che fu speziale di Corte », che il cardinale l'obbligò a prendere anch'essa il veleno.

<< Quest' accusa, dice l'A. e cioè dell'avvelenamento della Bianca, << sebbene non possa rigettarsi sorridendo, come la novella della << torta avvelenata », dato il mal animo del cardinale verso di lei, e il costume invalso fra i grandi, « pure abbiamo fede che, innanzi « all'autorità dei documenti sincroni, abbia a cadere disfatta da sè ». E qui, sulla scorta dei più autorevoli documenti, ripete e chiarisce quello che aveva esposto magistralmente nell' ultimo capitolo delle Tragedie Medicee. I disordini e l'eccentricità del regime di Francesco erano tali da fare ammalare qualsiasi uomo più robusto; la Cappello avea guasta la salute da un pezzo, ond'essi, in conclusione, morirono di febbre succontinua intermittente e senza veruno indizio di veleno, come dalla relazione dei medici, che fecero le necroscopie, chiaramente risulta. E si noti che Ferdinando volle che il cadavere della Bianca fosse aperto con pubblicità, ed alla presenza della figliuola e del genero. La pessima Bianca fu per ordine del cardinale sepolta nella chiesa inferiore di S. Lorenzo separatamente, ed infatti, sino alla metà del secolo ora decorso si leggeva su di un cartellino di marmo nel sotterraneo Blancha Capello. Tolta dalle nebbie fantastiche della leggenda, questa figura di donna, mercè l'opera dell'A., viene riposta sul piedistallo che più le conveniva.

<< Forse affidata alla custodia d'amorosi e provvidi genitori, e gui« data prima da un men tristo compagno, la Bianca Cappello avrebbe « fatto sè ed altri felicissimi; ma sedotta dall' ambizione, affasci << nata dall'orgoglio, corrotta dai mali esempi, volle rifarsi de' primi << mali passi e vincer la fortuna, e non badò alla via, fosse pur << quella della colpa ;... esempio vivo e proficuo alla donna di ogni << condizione e di ogni tempo, che i pregi squisiti della bellezza, << dell' amabilità e dell'ingegno non fanno la gloria e la fortuna << vera della vita, se non congiunti alla virtù ed all' onoratezza ». Oramai la storia dei Medici, dopo questi studi, conferma il fatto, che è quasi una legge storica, e cioè che, come agli uomini più benemeriti e grandi per imprese civili e guerresche, quali appunto

Alessandro, Carlo Magno, Napoleone, il Garibaldi, si attribuiscono gesta anche maggiori, e di loro si narrano leggende ed aneddoti e motti che quasi li trasumanano, in simil guisa a certi tiranni, a certi viziosi colpevoli, come i Borgia, la Bianca ed il nostro Francesco, popolo e scrittori, oltre alle vere, si compiacciono e si ostinano ad aggiungere altre colpe presunte, credendoli capaci di tutto, il che del resto è una specie di espiazione umana pe' delitti dei potenti rimasti impuniti nel mondo.

Però nessun miglior servigio può rendersi alla storia, che è giustizia suprema per tutti, di quello di rimetter le cose al debito posto, e tale servigio non poteva esser reso nè più opportunamente, nè in modo più degno, di quello che ha fatto il nostro A. per rispetto a quei Medicei, de' quali pur tanto si è parlato e discusso sino a qui senza vera e piena cognizione di causa. Che se a taluno può esser parso l'A. nelle sue Tragedie Medicee, un po' troppo benigno a quei signori (1), dovrà convenire che nel volume del quale abbiam fatta la recensione, ei palesa franco e sincero tutte le brutture; ně attenua cosa alcuna senza ragione. Il vero si è ch'egli ha proceduto sempre in modo obiettivo, e quando ha creduto di trovare ragione di scusare e difendere, ha difeso, e quando no, ha manifestato, come fa appunto in questo volume, la terribile verità senz'enfasi inutile, ma procurando che i fatti parlassero da sè stessi colla loro insuperabile eloquenza. Firenze. GIUSEPPE RONDONI.

(1) Un dotto ed acuto cultore di storia fiorentina, l'Avv. O. G. Corazzini, pubblicando di recente l'importante Diario del Lapini (Firenze, Sansoni, 1900), in una lunga nota a p. 136, a proposito del Saltini e delle morti di Don Giovanni e di Don Garzia, conclude: « che su quelli avvenimenti << non fu ancora detta l'ultima parola e se non bisogna correre a cre<< dere il fatto, molto meno devesi correre a negarlo ». Però, nonostante le ingegnose obbiezioni, a me pare che il non avere Don Garzia ottenuto splendore di esequie perchè minorenne, come osserva il Saltini, non sia argomento sufficiente ai sospetti, anche se Don Filippo le ottenne ed onorevolissime. Don Filippo, si badi, era il principe ereditario. Don Giovanni pur l'ebbe perchè un cardinale doveva essere allora onorato assai più di un amraglio. Del resto la tragedia di Don Garzia sarebbe stata così immane, che qualcosa di più e di meglio di quel che si legge, dovea trapelarne, anche in documenti ineccepibili, ciò che avvenne infatti delle altre e terribilmente vere tragedie medicee. Cosimo infine, come risulta dal complesso delle sue azioni, poteva uccidere un infedel cortigiano, Sforza Almeni; ma non era un Nerone nè un pazzo, da volere aggiungere al fratricidio, forse involontario, o almeno tale da meritare le attenuanti (perchè in rissa e con provocazione, o che so io), un inaudito parricidio.

ALFREDO POGGIOLINI, Ammiratori e giudici della rivoluzione fran

cese.

Firenze, Seeber, 1901.

Il prof. Poggiolini ha avuta la felice idea di scrivere un libro in cui fossero riassunte le varie opinioni dei principali storici della rivoluzione francese, e lo ha fatto, diciamolo subito, con grande imparzialità, con esattezza e chiarezza ammirabile, con eleganza di forma, purtroppo non comune nei giovani nostri scrittori. È superfluo insistere sull' utilità del lavoro, il cui titolo però non è forse troppo esatto, giacchè non solo vi si parla degli ammiratori e dei giudici imparziali, ma anche degli avversari della rivoluzione. E naturalmente questi ultimi non potevano essere, nè furono, dimenticati. L'A. incomincia coll'accennare all' opera del Thiers, anche oggi fra le migliori quanto all' esposizione e al valore artistico, quella da cui incomincia, può dirsi, la leggenda della rivoluzione; poscia, in due capitoli, espone le opinioni del Michelet, il vero poeta del grande avvenimento, e del Blanc. Seguono quindi, in due altri capitoli, le opinioni contrarie del Sybel e del Taine, e infine, in altri due, i giudizi equanimi del Tocqueville e del Sorel. Nè la scelta è stata fatta male: il Michelet e il Blanc ben rappresentano gli apologisti, come il Sybel e il Taine gli avversari e il Tocqueville e il Sorel gli storici più imparziali del gran fatto con cui si chiuse il secolo XVIII. Nella conclusione l'A. riassume le varie opinioni distesamente esposte nei capitoli precedenti, accenna di volo ed altri scrittori, riporta, pienamente approvandolo, un brano dell' opuscolo celebre che il Burke scrisse nel 1790 contro i moti francesi, esponendo sopra di essi opinioni profonde e assennate che furono poi accettate dagli storici posteriori più equanimi, e conchiude con queste parole che ci piace riferire per intiero: «.... Non diremo recisamente col Bonfadini che la Rivoluzione fran<< cese è stata « fatale alla causa della libertà », nè col Lombroso « che essa è un gran delitto politico, che servi ad aumentare una « triste serie di comuni delitti ». Non è equo davvero dimenticare «<e disconoscere quella parte di bene che può aver recato al mondo, « ma se riflettiamo per altro che invece di apportarvi l'èra invocata << di pace e di tranquillità, lo ha lasciato più diviso ed eccitato di « prima, fra il pericolo di guerre o di rivolte spaventevoli e sotto il < peso dei grandi armamenti militari, non crediamo fuor di luogo il trascrivere, a guisa di conclusione, l'assioma di Giuseppe Mazzini: << Il progresso dei popoli sta oggi nell' emanciparsi dalla Francia. Il << progresso della Francia sta nel suo emanciparsi dal XVIII secolo

<< e dalla vecchia rivoluzione ». Come ognun vede, queste parole, che abbisognerebbero di una dimostrazione non breve, non sono tali da poter essere accolte da tutti incondizionatamente; anzi molti forse vi saranno che non si sentiranno disposti ad approvarle.

Non è però qui il luogo nè il momento di poterle discutere; e perciò passiamo oltre su queste e su altre considerazioni d'indole generale, che ci porterebbero forse alquanto fuori del campo puramente storico. Per conto nostro, noi che ci siamo occupati per molto tempo della storia d'Italia durante la rivoluzione e l'impero, siamo convinti che, se dobbiamo emanciparci dalla Francia nel senso s'intende a cui alludeva ai suoi tempi il Mazzini -, non dobbiamo dimenticare che l'uragano rivoluzionario attraversando la penisola vi lasciò quei semi fecondi che dovevano produrre e produssero l'indipendenza, la libertà e l'unità della patria nostra. Ed ora un'altra osservazione, che l'A. vorrà, osiamo sperare, perdonarci. Egli che ha dato prova di conoscere così bene la rivoluzione francese e la sua letteratura avrebbe forse potuto fare una critica più completa e più profonda delle varie opinioni degli avversari e degli apologisti. Ciò lo avrebbe utilmente condotto ad accennare anche ad altri scrittori, per es. al Lamartine, la cui opera, sebbene, ne conveniamo, più romanzo che storia, qualche importanza deve avere senza dubbio, non fosse altro, per l'influenza esercitata su altri scrittori, e come segno delle tendenze dell' età in cui fu scritta. Cosi pure non sarebbe stato male che l'A. si fosse un po' più a lungo soffermato sull'opera del Carlyle, il quale, mentre ha qualche punto di somiglianza col Michelet, d'altra parte espone qua e là parecchie idee che col Taine acquisteranno poi carattere di dimostrazione scientifica. Uno studio critico delle varie opinioni sulla rivoluzione francese ha incominciato a fare il signor G. Lombardo Radice in un articolo pubblicato nel 1900, negli Studi storici del Crivellucci (Vol. IX, Fasc. I, pp. 21-59), articolo che al prof. Poggiolini sembra essere sfuggito. Nè intendiamo noi in verità togliergli con questo il merito della precedenza, giacchè sappiamo bene che egli ha già da qualche anno terminato il lavoro che soltanto adesso vede la luce; abbiamo solo voluto riferire la cosa per dovere d'imparzialità, fiduciosi che allo stesso prof. Poggiolini ciò non sarà discaro.

Concludendo, non possiamo che lodare l'idea del prof. Poggiolini ; ammiriamo la sua eccellente opera di analisi e di sintesi storica, la sua imparzialità scrupolosa in quistioni che tanto davvicino toccano la nostra vita presente, la correttezza ed eleganza con cui sa esprimere idee lucidamente concepite, e, senza condividere in tutto

le sue conclusioni, ci auguriamo che egli ci possa dar presto qualche altro saggio di questi studi, ai quali mostra di avere attitudine davvero non comune.

Firenze.

FRANCESCO LEMMI.

GIUSEPPE BIADEGO, La dominazione austriaca e il sentimento pubblico a Verona dal 1814 al 1847. Roma, Soc. ed. Dante Alighieri, 1899. Un vol. in 16.o, pp. 190.

Quest'opera del prof. Biadego bene risponde agli intenti della Biblioteca storica del Risorgimento italiano, di cui fa parte. « Tutto « ciò che non abbia attinenza diretta ai fatti », scrivevano il Casini e il Fiorini nel programma di questa Biblioteca da lor diretta, « ne sarà da noi escluso: vi accoglieremo invece, di preferenza, docu« menti personali, racconti di cose vedute, lettere o memorie che << narrino le fuggitive impressioni, o le condizioni dell'animo di << spettatori e di attori, o atti e scritture uscite nel momento << dell'azione o che di per sè costituiscano l'azione stessa ». Il B. si valse per la sua narrazione appunto di memorie di contemporanei inedite in tutto o in parte (come quelle importantissime di Francesco Cavazzocca (1)), dei carteggi, pure inediti, d'Ippolito Pindemonte e di Alessandro Torri (2), di documenti che si conservano nell' Archivio comunale di Verona e nell'Archivio di Stato di Venezia, d'articoli di giornali del tempo e di pubblicazioni d'occasione, oltre che delle raccolte di documenti già consegnate alla stampa, delle monografie del Cantù, del D'Ancona, del De Castro, del Morsolini, del Segala e di altri, e d'importanti pubblicazioni che furono fatte nella Rivista storica del Risorgimento italiano.

Si vede bene che il B. possedeva tutta la preparazione necessaria al suo soggetto, al quale egli ha atteso con diligenza di critico e con amore di cittadino.

Il sentimento pubblico a Verona prima del 1848, e anche durante e dopo quest' anno memorabile, non fu bene inteso, talvolta

(1) Le Memorie del Cavazzocca furono pubblicate solo in parte e senza esattezza; perciò il B. si valse del manoscritto originale, che si conserva in Verona presso la nob. famiglia Cavazzocca.

(2) Si conservano entrambi inediti nella Biblioteca comunale di Verona.

« AnteriorContinuar »