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italiane. Carlomagno e Lodovico il Pio la promossero assai; e nel secolo IX essa era già diffusissima nel regno di Francia (che comprendeva ancora la Borgogna) e in quello d'Italia. Quindi il vedere che gli atti che ricordano capitoli cattedrali nel sud del regno borgundico non sono anteriori alla seconda metà del secolo X, non è buona ragione per negare che quei capitoli potessero esistere fin da venti o trent'anni prima, come esistevano in altre parti di quel medesimo regno. Se mancano notizie che in un certo tempo sia avvenuto un fatto in taluni luoghi, non perciò si potrà affermare che quel fatto non fu, massime quando lo vediamo in altri luoghi a quelli prossimi e che si trovavano in eguali condizioni di cose. Non è punto probabile che il solo mezzogiorno della Borgogna fosse restato privo di un'istituzione divenuta generale da parecchio tempo; e però la carta del vescovo Anselmo, dimostrando che essa già esisteva fin dal 923 anche in quella parte della Borgogna, somministra la prova d'un fatto tanto verisimile, quanto sarebbe strano e quasi incredibile il contrario. Del resto, tornano anche qui molto a proposito le parole del Troya, il quale, per ammonire coloro che sogliono << sentenziare che la tale o tale altra cosa non si faceva, o la tal << parola non si diceva in un dato secolo » ricordava come << il Muratori << negasse che nel regno longobardico si fosse usata la voce marca ; << ma dopo la sua morte uscirono le nuove leggi cavensi di Rachi a con<< traddirgli ». Inoltre vuolsi pure considerare che Aosta non appartenne sempre al regno di Borgogna; e quindi per giudicare rettamente di ciò che la riguarda, non basta tener presente quello che avveniva nella prossima Borgogna, ma anche quello che avveniva nella non meno prossima Italia. Nella seconda metà del secolo IX il vescovo di Aosta comparisce come suffraganeo dell'arcivescovo di Milano; ed è noto che in questa arcidiocesi l'istituzione dei capitoli cattedrali era in gran fiore. Aggiungeremo infine che il Gal (1), in seguito a molte ricerche da lui fatte, potè stabilire che tra il 585 e il 590, essendo stato intruso nella chiesa d'Aosta un tal Ploceano, S. Orso si ritirò da quella cattedrale insieme con un corpo di canonici da essa provenienti. Ed abbiamo dallo stesso Gal che, secondo le antiche cronache di Aosta, nel 936 la sede

(1) Loc. cit.

episcopale di Sion nel Vallese era occupata da Amedeo, stato canonico di S. Orso (1); la qual cosa mentre conferma che nella prima metà del secolo X già esisteva la comunità dei canonici di S. Orso, dimostra pure che egualmente esisteva fin da allora il capitolo cattedrale di Aosta, da cui i primi canonici di S. Orso erano derivati.

Mi pare adunque di poter fondatamente concludere che nessuna delle tre obbiezioni che abbiamo esaminato possa efficacemente contraddire alla data del documento, e far accagionare o di mendacia o di errore l'uomo dotto ed onesto che la vide scritta in tutte lettere nello stesso atto originale da lui esaminato, e che la trovò, com'è infatti, perfettamente concorde ad un' altra nota cronologica dell' atto medesimo, e a un fatto ricordato nella. carta e storicamente accertato, cioè alla presenza del re Rodolfo II nella città di Aosta, appunto in quell' anno 923.

Roma.

FRANCESCO LABRUZZI.

(1) GAL, loc. cit., il quale cita anche il BRIQUET, Vallesia christiana.

LA CASA PISANA E I SUOI ANNESSI

NEL MEDIO EVO (*)

X.

Cammini e camminetti, acquai ed altre comodità nell'interno della casa.

1. Dopo lo studio dei focolari e dei cammini nelle case e botteghe di Pompei, fatto dall' ing. Fulvio (2), non è più da domandare se gli antichi avessero o no focolari muniti di sfogo per il fumo e se e quando si usassero nel Medio Evo. Posto ormai in sodo che le invenzioni e le usanze utili del tempo classico si mantennero anche dopo, non c'è altro che da cercare fra i romani i mezzi, che adoperarono per cucinare i cibi e per scaldarsi, e applicarli nella sostanza all' Evo medio, pur tenendo conto di ciò che le memorie, i documenti e i monumenti superstiti ci fanno conoscere di diverso usato nell' Evo stesso.

Giova adunque sapere in primo luogo che nelle case di Pompei si vedono tuttora focolari (foci) in muratura in forma di parallelepipedo appoggiato a un muro o a due, alti ordinariamente cm. 80, profondi 70 e di lunghezza varia secondo le circostanze locali. Sul davanti, o sono pieni o hanno un vuoto ad arco rotondo o scemo o acuto, o terminato da architrave di legno o in altra forma svariata, che non importa indicare qui partitamente. Il fumo era lasciato libero di vagare per la stanza, o attirato verso una

(*) Continuaz., ved. fasc. 222, to. XXVII, p. 264.

(2) FULVIO LUIGI, Delle fornaci e dei forni Pompeiani, in Pompei e la regione sotterrata dal Vesuvio nell'anno LXXIX ec., Napoli, 1879, p. 273 e con 2 tav.

BS.,

ARCH. STOR. Ir., 5. Serie. XXVIII.

finestrella a strombo interno praticata al disopra del focolare, o incanalato in un tubo fittile fatto talora di vasi rotti e collocato orizzontalmente a traverso il muro. Ma in ogni caso il fumo è condotto fuori sulla strada per la via più corta.

2. Nel Medio Evo, oltre a questi ultimi modi antichi e ad altri che tralascio per non andare più in lungo, si ricorda quello di far fuoco in mezzo d' una stanza, col doppio vantaggio di cuocervi cibi e di riscaldare le persone che gli facevano cerchio (1), lasciando al fumo l'uscita a traverso un'apertura del tetto; modo, che meno d'un mezzo secolo fa si usava anche nelle case dei più abbienti in alcuni luoghi della montagna pistoiese e che forse si usa anche a' nostri giorni.

Ma per restringerci a Pisa, noi abbiamo testimonianze esplicite di focolari e canali pel fumo, sia della cucina, sia della sala, e per quest'ultima sussiste anche, come si vedrà fra poco, un avanzo reale. Una testimonianza scritta di più focolari e cammini l'abbiamo nell'atto di accollo della casa Mosca del 1303 p. (2); quella di un chaminus ignis al primo piano d' un' altra casa privata, del 1317 p., è riferita dal Simoneschi (3). Una del 1300 l'ho incontrata io (4). Non sono, è vero, molto antiche; ma poichè i Pisani non ebbero bisogno d' inventare i cammini e, come fecero le case sul modello romano, così ragion vuole che copiassero anche questo particolare indispensabile, salvo a preferire una forma più dell' altra o anche a modificarla e perfezionarla in progresso di tempo, si deve facilmente concedere che ne usassero anche nei secoli anteriori, sebbene non ne resti o non se ne sia ancora trovata memoria. Ciò dimostra esagerata, se non del tutto falsa, l' af

(1) Cronaca di Giovanni de Mussis ed altri citati dal MURATORI in Dissertazioni d'antichità italiane, 25. Napoli, 1752, I, p. 306 (Cfr. ROHAULt, Lettres cit., II, p. 186, nota 4).

Non so dire quale differenza passasse fra i cammini di cucina italiani e quelli francieschi» venuti in uso dopo, dei quali si parla nel Carteggio d'artisti del GAYE (Cfr. ROHAULT, Lettres e p. cit., nota 1).

(2) BONAINI, Stat. cit., III, p. 185, nota 1.

(3) Vita cit., p. 53.

(4) Si stanziano 24 soldi « pro pesis sex calcine ad opus fumicaioli << domus ubi morantur Antiani et solarii » (Com. cit., Provv., 2, c. 21). Altro esempio posteriore, ma relativo come quello del Simoneschi alla casa d'un facoltoso, è riferito sotto, a p. 67, nota 2,

fermazione del Montaigne (1) che in Italia non si usassero nemmeno nel Cinquecento nè cammini, nè impannate, e forse si ha da intendere che non ve ne fosse uno per quasi ogni stanza, come si pratica per necessità di clima ne' paesi settentrionali.

3. Si chiamava focolare, e in latino medioevale focolarium, il focus classico, cioè la parte su cui si mettevano le legna e i vasi per cuocere le vivande (2), e sembra che, a differenza di quelli romani e de' moderni, fosse poco alto da terra, come sono quelli raffigurati in Viollet-le-Duc in più luoghi della sua opera e come se ne vedono in buon numero nelle case di benestanti campagnuoli e in tutte quelle dei contadini. Le figure nel Viollet-leDuc ci presentano sopra il focolare anche un padiglione, che noi diciamo cappa (3), e una cappa è da supporre sopra i migliori focolari pisani. Credo anzi che dovessero servire alle mensole di una cappa i due subbielli e altro legname adoperato in camino del Capitano (4). Più tardi però fu cosa comune fare le mensole, e forse anche l'architrave, di pietra (5).

4. La gola era detta fumicaiolum, fummicaiolum o fom

(1) Voyage en Italie citato dal ROHAULT, Lettres cit., I, 113, nota 2. (2) << Pro reactatione focolarii dicti palatii » (del Conservatore) e altri lavori, lire 19 e soldi 6. (Com. Provv. cit., 41, c. 35 t.).

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Item, in tegule 60 per conciare lo focolare e lo canale ». (Opera e Ricordi cit., 17, c. 62 t., 1361 p.).

Usci, finestre, camino, necessario e fogolaio, aquaio et sollaio e «< tecto » in una casa de' frati di S. Michele degli Scalzi (Spedali, S. Michele predetto, reg. 1699, c. 140 t., anno 1489). Questa ortografia corrisponde alla pronunzia d'un frate non toscano.

« Focolare » o « focholarium » si chiamava anche un utensile di ferro, forse una specie di scaldavivande (Sped. e Contr. cit., 58, c. 10 t., 1401 p. e 52, c. 201, 1403 p.).

(3) Può giovare per questo particolare un confronto col camminetto del Palazzo del Potestà a Firenze (ROHAULT, La Tosc. cit., I, tav. X) e con quello tratto da un ms. della Minerva in Lettres cit., I, 384, come pure colle forme varie di altre cappe e le relative miniature citate dal RoHAULT, ivi, II, 188.

(4) Soldi 22 « pro subbiellis duobus castanei » e di altro legname. (Com. e Provv. cit., 6, c. 46, 1317 p.).

(5) « Una pietra e un paio di becchatelli da chamino per la sala del« l'ostaria » (Opera cit., reg. 447, c. 37, 1495 p.).

La pietra di questo esempio però potè essere per il piano del focolare o per quello che noi diciamo frontone.

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