Gun. Sif. Gun. Sif. sull'onore, che tutto e' seppe vincere Presto, spicciamoci. SCENA SECONDA Siffredo entra coi suoi Dodici compagni. O re Gundéro di Borgogna, io porgo che a te venga Siffredo. Ei viene, e cerca, Per quel ch'egli ha nessun, fra noi, contende. di tutti i cavalieri i più valenti qui adunarsi, si forti che la folgore Sigismondo, il re, del trono avito già discende una città: ed un tratto, anche il più piccolo, Dan. cosi? A re fu mai chi parli Sif. Dan. Sif. Ag. Sif. Gun. Ad un re? No, parla il cavaliero al cavaliero. Chi possiede al mondo, se provarci non sa d'averne il dritto? Chi soffoca di plebe il mormorio, se il più forte de' vivi e' non calpesta sotto a' piè? Non sei tu forse il più forte? M'inganno? Dillo. Di chi temi? Ed io, anzi che te, lui chiamerò alla punta di questo ferro. Non sai dirne il nome, tu pur? Nol credo, solo che nel volto Cotanto della pugna desio ti avvampa il petto, Ser Siffredo, il nome mio (Volchero intanto tocca il violino) Una parola tu non dirai prima che il re favelli. Sif. Gun. Sif. Gun. Sif. Che se tu temi che, alla pelle scabra, scendiamo: e quella selce, a tutti e due Benvenuto sii tu fra noi, signor di Nederlanda. Grazioso e dolce parli cosi? Ten prego, al vecchio padre di ammonirmi ebbe il dritto. Ma pur lasciami, come i teneri bimbi che non smettono le bizze a un tratto, lasciami scommettere chi vinca! Dopo, si può fare il brindisi. Sia pur, messer Siffredo. (A Danguardo) Quanto a te nel braccio che non hai t'ho dato il pizzico, e non fa male! U. Cr. (A tutti) Com'entrai qua dentro orror mi colse mai sentito; un brivido, empia gli occhi di lagrime. Sentivo nella mente un tramestio, più non volevo dal cavallo scendere........ or non mi fate risalir, per Dio! (Tutti escono) SCENA TERZA Uda e Crimilde. Il falcone, è un marito. Madre mia, cessa, se meglio il sogno non rischiari. U. Cr. U. Cr. U. Udii già che l'amor breve il contento e då lungo il travaglio; e in te lo scorgo, Fanciulla, e il puoi tu dire? Al fine, anche l'amore, so ben, porta il dolore; innanzi all'altro l'un deve morire; e quanto pesi in me tu lo vedrai. Ma quelle amare lagrime ch'io piango le comprò un bacio, il primo che il tuo padre. pensava a consolarmi. Chè s'io posso vantarmi lieta madre di prodi, e al sen ti serro, è l'opera di amore. I canti de' poeti non ti turbino; lunga la gioia e breve fu il dolore. Meglio che il perder, non aver giammai ma sono stata un giorno pari a te, Cr. (Si ritira) Ma che usanza corre adesso tra noi che, in questa corte, giunga un ospite ignoto, e le novelle U. tanto, e perchè? Cr. U. Cr. U. Cr. U. Cr. U. Cr. U. Furïosa Dïanzi, alla finestra, gettar volli lo sguardo agli orsacchiotti, si azzuffano in un modo si piacevole: E il cavaliere non lascia che il tuo giuro arrivi al termine. (S'accosta ella pure alla finestra) Ora capisco: chi lo sta a guardare, pensa e ripensa prima di giurare. Del mio fratello che m'importan gli ospiti, Questa volta godo al veder che d'ira sol s'accende, la vista, da gran tempo ha moglie e un figlio. Si. Che nome porta? Il nome non lo so, ma ben conosco A te dei miei sogni, l'ultimo, o madre, t'ho scoperto. |