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come persone sui iuris, non altrimenti che potevano col peculio castrense e quasi castrense. La riserva usufruttuaria a favore del padre (abbrevio) distingueva i bona materna dai peculia, quindi, se il figlio voleva disporne, doveva rivolgersi, pel consenso, al padre.

Dicono i miei amici benevoli ed intimi che in fatto di ortodossia romanistica io sono peggio di un orecchiante; però mi di- / fenderò con quel poco che so.

Anzitutto, quella quasi parificazione da Lei fatta dei peculia con i bona materna non corrisponde alla verità storica (BRUGI Istituzioni di dir. giust. II § 119). Ed è inutile ch'io insista su questo punto. Giustiniano, o per dir meglio i compilatori delle Istituzioni, notano ex professo le innovazioni introdotte nell'antico diritto (Inst. II, 9 § 1) ed è ben netto l'accenno a quella constitutio generalis o Novella (C. I. VI, 61, 6) ond'è germogliata anche l'altra (ib. c. 8) che c'interessa. L'inciso exceptis-castrensibus peculiis dimostra la diversa natura degli altri beni, che i figli una volta parentibus adquirebant sine ulla distinctione. Consideri bene le cose: in virtù della costituzione 8a citata (C. I. VI, 61) il padre dà il consenso al figlio che vende i beni materni, ed il figlio consente al padre che inizii liti concernenti i beni stessi. È la capacità giuridica del figlio che viene come liberandosi dalle vecchie pastoie; ma è tutta una rivoluzione nelle antiche idee. È assolutamente certo che di fronte ai bona materna, il figlio ha dei diritti, ma questi non lo pongono davanti ai terzi come un sui iuris mercè il consenso paterno. Questo, anche largito, non renderebbe valido un testamento del figlio per ciò che riguarda quei beni. Nuovo è poi il fatto che il figlio consenta al padre, sotto la potestà del quale si trova! Ella dice che anche nell'età costantiniana poteva accadere lo stesso: sarà naturalissimo; ma non c'è in tutto l'ammasso delle leggi romane un minuscolo accenno ad una tale possibilità. Tutto ricorda, perfino nel diritto giustinianeo, scrive esattamente il Brugi, piuttosto la precedente proprietà paterna ora abolita. Di questo punto si ragionava un giorno con un insigne romanista, e mi pare che non mi desse torto.

In quanto alla legge visigota da me citata, Ella stessa vede in quali intimi rapporti si trovi col diritto teodosiano: infatti la Lex Romana Visigothorum (Cod. Th. VIII T. 9) che accolse le leggi riguardanti i bona materna, reagi a suo tempo sul diritto. nazionale de' Visigoti.

Mi fo lecito di pensare anche un'altra cosa: res filiorum patribus alienare non liceat dice secca, secca l'Interpretatio (HAENEL L. R. V. p. 162). Ebbene, non poteva, prima di Giustiniano, essere ritenuto pericoloso quel consenso paterno dato al figlio alienante? Non poteva essere considerato come una gherminella del padre, per profittare dell'inesperienza del figlio, e vederci sotto un mezzo per frodare la legge? Questa voleva la conservazione dei beni, anche contro la volontà del padre, non già l'alienazione fatta col consenso, dirò meglio, con la spinta del padre stesso, anche se ciò apparentemente fosse voluto pure dal figlio. Se ci fosse stata l'assoluta equiparazione fra i peculia ed i bona materna, ed avessi scritto quello che ho scritto, confesserei che l'errore mio e piuttosto grosso: ma rebus sic stantibus non mi pare d'avere sbagliato. Mi si trovi un passo, che richiami la disposizione giustinianea nel diritto teodosiano, e non parlerò più dell'atto del padre di Stavila.

Circa, poi, il diritto giustinianeo osservato da un Ostrogoto in Italia non c'è nulla di sorprendente: vuol dire che almeno in questo punto i nostri Goti vivevano secondo le leggi, promulgate dopo la conquista bizantina.

Ella passa a studiare il valore e l'estensione del c. 367 di Rotari, su cui siamo d'accordo. A parte ciò ch'Ella crede di Saraceno e che io ho già confutato, vorrei dire due parole sull'altro documento del 745 (TROYA IV N. 552). Il monastero di S. Maria in Cingla, e per questo, Gisel perto frate, voleva comperare (uso le sue parole precise) da Deusdedit abate di S. Giovanni la cella di S. Croce con varie terre, che Deusdedit alla sua volta aveva comperato per 600 soldi (una sommetta... discreta !) da prete Anastasio advena homo (guargango autentico!); però Pietro gastaldo del duca aveva affermato che essendo Anastasio straniero, questi non avrebbe potuto vendere le sue sostanze a Deusdedit. E, sog

giunge il duca, quod nos cum lege potueramus tollere. Pregato, anzi importunato, da Giselberto, il duca conchiude: dedimus licentiam Deusdedit ipsum locum venundari et precium tollere sicut inter eos convenerat, quod exsescentos solidos eidem Giselpert dedimus ad ipsum locum emendi pro animae nostrae salutem unde firmamus atque concedimus etc. Come si vede più generoso di così non avrebbe potuto essere Gisulfo II! Ma c'è di più, il pio signore si lascia indurre ad un'altra concessione: sed et postea - monachi emere visi sunt, ita ut si quodvis tempore ostensum fuerit quod de illis hominibus emisse qui potestatem venundandi non habuerunt, nos ex nostro dono - concedimus. Che cosa prova il documento? Che a comperare da stranieri era un affare serio e pericoloso, per via dei diritti della corte regia. Sta bene che Gisulfo abbia concesso una sanatoria per l'avvenire; ma le conferme cosi ricercate dei privilegi dimostrano che Gisulfo II poteva pensarla in un modo e (per esempio) Arechi II in un altro.

Mi riservo, per ultimo, il colpo di grazia... al documento. Questa carta è stark verderbt scrive il CHROUST, Unters. über die Lang. k. u. herz. Urk. Graz 1888; p. 199. Io direi per metà falsa, senz'altro. Mediti un poco, mio ottimo Maestro, la condotta di Gisulfo II che, non solo chiude un occhio sullo strappo a' suoi diritti ducali, ma paga del suo seicento solidi a Gisel perto, perchè questi comperi quei tali beni da Deusdedit, ad ipsum locum emendi, come se non bastasse la perdita della sostanza, che sarebbe ricaduta a lui cum lege. Un fatto insolito nelle nostre carte! Cosi migliore fortuna non poteva capitare ai frati di quella di comperare de illis hominibus qui potestatem venundandi non habuerunt!! Sicchè s'Ella vuole, mettiamo a dormire anche questo documento e non se ne parli più.

Nel resto del suo brioso capitoletto, Ella tenta di trovare nel documento bresciano del 769 le tracce o le prove della condizione di Stavila, che Ella ritiene sempre straniero.

Invece nel mio scritto, fermai l'attenzione sulla forma speciale della diplomatica, osservabile nella predetta carta del 769. Due notari (il dictator, e l'estensore); testimoni altolocati ecc. ecc. E tutto ciò per concludere che Stavila doveva appartenere alla nobiltà bresciana.

Ella mi osserva giustamente: bada che questa gente può essersi incomodata non pel tuo Stavila, ma per la regale badessa di Brescia; e mi ricorda i documenti N. 899, 943 in TROYA V, nei quali si nota lo stesso fatto. Le faccio però osservare che nel doc. N. 899 chi vende è Natalia figlia di Gisulfo stratore e moglie di Adelperto antepor domnam regine; chi compera è il messo (nemmeno nominato!) di Anselberga; nel N. 943 la permuta avviene direttamente fra questa ed un Andrea clerico. Nel caso di Stavila, Anselberga non compare personalmente ma c'è chi paga ex sacculo monasterii'; può darsi, quindi, che la diplomatica speciale riguardi e l'una e l'altra parte contraente. Ella tuttavia non ha considerato, sicut meruerat (direbbe un notaro delle carte nostre) un altro fatterello punto insignificante. L'autore (mi esprimo diplomaticamente) della carta è Stavila : è proprio lui che si dà il lusso di ordinare a notar Lorenzo: quam vero carlam venditionis Laurentio nolario scribendum rogavi. E l'altro notaio Atto per ipsius dictatum scripsit'. Guardi pure gli altri documenti, e vedrà la differenza fra quelli ed il nostro.

Stavila, come emittente, si servi di due notari, come un pezzo grosso del regno longobardo; anche se per es. nei doc. citati (TROYA V N. 899, 943) si trovano quali testimoni alti personaggi, la forma caratteristica della carta bresciana non la si trova. Cosi il doc. N. 943 si chiude con le parole: Ego Ansoald notarius scripsi etc. rogatus ad suprascriptus Andreas clericus etc. l'altro N. 899 Ego Martinus clericus et notarius etc. Vegga invece le formule dei diplomi regi (C. D. L. N. 42, 47, 59 ecc.) e vedrå se non ho un briciolo di ragione.

Che poi il macescarius dni regis, un personaggio che resta in molta penombra nella storia delle istituzioni longobarde, stia li, per dare l'assenso regio all'atto di Stavila, duro fatica. a crederlo. Non c'è un esempio, in tutto il nostro cartame, che un gasindio, o alto o basso, possa compiere una simile funzione. Dio buono! perchè quel terribile macescarius non ha soggiunto nulla alla sua dichiarazione consueta di teste all'atto?

Non omnia sunt explosa: perchè Ella movendo dal documento beneventano del 745 (TROYA IV N. 582) si lascia andare a supporre che, una volta per sempre, i Re longobardi avessero concesso al monastero della rispettiva loro figlia e sorella una

absolutio generale di comperare beni anche dai guargangi. Non so cosa rispondere. Aspettiamo che venga fuori il documento. Quello ch' Ella cita (TROYA V N. 747) è una delle solite conferme regali dei privilegi dei monasteri, che trova un riscontro in migliaia di carte cousimili, com' Ella avrà veduto nei raffronti che ho già fatto e che potrebbero essere continuati all'infinito.

La Sua correzione potuerit' invece di potuerimus' o 'potuimus è certa e l'approvo di gran cuore, non perchè viene a darmi ragione, ma perchè risponde a ciò che ho dianzi notato.

Dato che Stavila sia quel che io voglio (Ella ripiglia con la sua cara e gentile vivacità) come va che l'atto ch'egli compie sa di diritto giustinianeo?

Questa influenza sul diritto gotico, sicuro che è posteriore... a Giustiniano. Un popolo già coartato dai loro re a rispettare la veteris iuris sanctimonia, non distrutto dopo i trionfi di Narsete, abbastanza diffuso nelle varie regioni d'Italia, non è da stupire. che fino ad un certo punto segnisse il nuovo diritto bizantino, per amore o per forza. Fino a che punto la territorialità della legge nuova s'imponesse non saprei dirLe. Noto solo una cosa curiosa: nel c. 23 della Sanctio pragmatica pro petitione Vigilii si parla di Romani e di Romana persona. Romanus, ci capisce, è sinonimo di privato in opposizione a militare. Ebbene i Goti rimasti e sono rimasti in Italia certamente sono diventati anch'essi Romani? E quella professione legis Gothorum non poteva accennare alla loro condizione speciale, anche per quel che sappiamo dell'origine sua? Possiamo noi credere che il diritto romano ultimo non abbia lasciato nemmeno l'ombra delle consuetudini germaniche, dopo le rivelazioni del Mitteis e più ancora dei papiri egiziani, che ci svelano un diritto provinciale o volgare che fa ai pugni col Corpus iuris?

Ella segue poi il Neumayer lå ove nota che il documento del 769 si può spiegare anche col diritto longobardo. Ma qui, mi scusi, Ella ha messo il piede in fallo. Quand' Ella ha provato che il documento bresciano è a diritto longobardo, la sua tesi principale cade tutta. Stavila è uno straniero che vive secondo la propria legge visigota, e fa redigere un atto a... diritto lon

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