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alla imboccatura di una strada, che vi mettea. (MS. del p.Aprile conservati dal Dr. Messina). Nei primi anni del secolo xvii era stato quel tempio a spese della città abbellito di bassi, e pieni rilievi in bianca pietra da valente scalpello, che l'Aprile testimonio di veduta, credea essere dei figli, ed allievi del celebratissimo Gagini, del quale si hanno molte opere di gran pregio, in questa città, e si terrà altrove più ampia parola. Nel tetto di legno scolpito, ornato di pitture rappresentanti molti avvenimenti della storia santa, erano effigiate le insegne delle nobili famiglie Alagona, Moncada, Santapau, e Branciforti, che ne' tempi andati abitavano in questa città; le quali, a danaro loro, edificato aveano l'altissimo campanile, di pietre a vario colore, e di logge a colonne ornato, in cima al quale era un'aquila di smisurata grandezza vôlta al mezzo-giorno con le ali spiegate, e con uno stinco di osso gigantesco fra gli artigli del piè destro, antica insegna della città.

Fra le cose sepolte dal terremoto del 1693 era molto pregevole la statua del Cristo alla colonna di eccellente scalpello, della quale non rimase che un torso, un quadro dell'Assunzione opera di Giovanni Matta spagnuolo, e la così detta Cena maggiore, consistente in dodici bellissime statuette di legno rappresentanti gli apostoli, e in più quadri cioè uno di Maria degli Angeli, uno di S. Giacomo Maggiore, quattro delle quattro Vergini del canone, ed uno del Gesù con la croce su le spalle, tutti pennello di Bennardino Negro detto il Greco Calatagironese. La pittura di questo ultimo quadro da si maestrevole mano eseguita, piacque talmente al Vicerè Giovan Francesco Paceco Duca di Uzeda, di siffatte cose intendentissimo, che per mezzo di Michele Bonanno barone di Poggidiano, uno dei senatori della città, per trarsene copia, gli fu recato in Palermo. Oltre al mausoleo del Burgio, di Gualtieri, e di molti altri nobili uomini calatagironesi, eravi pur quello di Monsignor Giacomo Umana notese; Vescovo di Scutari morto in questa città, nel 1512, e l'altro di Monsignor Paolo di Faraone Vescovo di Siracusa quivi pur morto nel 1029.

(39) Nel 1642 Filippo IV per una segnalata vittoria, che dicea aver ottenuto, mercè del patrocinio di Maria Vergine, alla quale era altamente divoto, ordinò, che in tutte le città, e terre, al suo dominio soggette, questa Beatissima per Patrona sia eletta sotto il titolo quivi il più prodigioso. In Calatagirone proposte nel consiglio municipale le immagini di Santa Maria di Gesù, egregia scultura in marmo del Gagini, di Santa Maria del Ponte, ritratta dall'apparsa in mezzo alle acque, della Conadomini, fu sotto a questo titolo eletta a patrona della città la Vergine per pubblica acclamazione. (T. 2. privil. Calat. fol. 479.— Rosso

Grimaldi Oraz. accad. MS.). Sopra tavola è l'antichissimo dipinto, che rappresenta Maria seduta, ed ammantata di un velo stellato, e stelle di oro ancor per la veste, avente in braccio il figlio vestito. la carnagione dei quali è bruna, anzichè nò. A quello sta rincontro un altro quadro di eguale dimenzione esprimente un Gesù appassionato poco men bruno, ma di più castigato, e più recente pennello. Sono queste immagini in elegante, e pomposa macchina di argento, lavorata con colonne, statuette, e bassi rilievi di bene intesa architettura, e nei soli casi di gravissima calamità si espongono alla pubblica venerazione.

PARTE SECONDA

Poesie varie di AMELIA CALANI.

La promessa.

SONETTO

GIOVANILE

Verrò, dicesti, e la gentil promessa
Lieto raccolse sorridendo Amore,
E per i sensi penetrando al core
Risorger fe' la mia speranza oppressa.

Da quel momento non è più depressa
L'alma, da crudi sdegni, e dal dolore,
Ma ravvivata da più novello ardore
Si pasce del piacer, che già si appressa.

Pari a languente e pallida viola
Cui la brina spruzzò l'arido stelo,
Or mi conforto nella tua parola.

Ah! se il patto ricordi, o mio diletto,
Quanto è gioja purissima nel cielo
Ritrovare saprem nel nostro affetto.

AL NOBIL UOMO L'AVVOCATO S. B. C.

L' Amor sensuale.

SONETTO

No, che amore non è ria fiamma impura,
Che dell'uomo scorrendo entro le vene
In sozzo fango come bruto il tiene,
E lo spirto intristisce, e al vïzio indura.

A virtude, al saper gli omaggi fura
Turpe tendenza a basse voglie oscene,
Ed è scoglio al desir del vero bene,
Che de' sublimi cuori è nobil cura.

Nella fogna del senso immerso e stanco
Neghittoso il pensier non ha scintilla
Di ragion, sì che al retto oprar vien manco,

Finchè oppresso, e sfinito il debil frale
Nelle umane sventure si distilla,

E l'alma a Dio non sa rivolger l'ale.

L' Amor platonico.

SONETTO

M'ascolta amico: dall'eccelse sfere
Scende lo spirto a ben sentire eletto,
E nel terreno manto avvolto e stretto
Geme solingo, spera, brama, e chere.

Un arcano desir forte lo fere

Di un amor ch'è per lui celeste obbietto, E vago del sognato almo diletto

All'ardor più sublime erge il pensiere.

Ma ahimè! che indarno cerca in suo cammino
Spirto, che egual sentir abbia concesso,
E a lui s'unisca con egual destino;

Chè de' mortali chiusi in fragil velo

Mal si congiungon l'alme in casto amplesso, Nè si può ben amar, se non in cielo.

Risposta di A. P. B. C. alla chiariss. AMELIA CALANI pel suo adottato Platonismo.

SONETTO

Sublime donna! nel leggiadro aspetto
Riveli un'alma angelica celeste,
Onde conforme l'amoroso affetto
In te si desta, e d'onestà si veste.

Natura ti largì vasto intelletto

Del core ad affrenar le rie tempeste,
Plato fu il mastro, e a tal sovrano obbietto
Tutte volgesti le virtù modeste.

Oh! perchè vai di tai dottrine altera
Senza lenire un cor da te conquiso,
Mostrandoti tiranna, o pur severa!

Co' dolci amplessi, e col soave riso
Se tu fossi men dotta o meno austera
Schiuderesti qui in terra un paradiso!

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