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S. Edisto od Oreste e compagni martiri

di Laurento

di P. FEDELE SAVIO S. I.

§ 1. Culto antico di S. Edisto

a Roma e nell' agro laurentino.

I devastamenti, cui soggiacquero le regioni circostanti a Roma pel succedersi di nemiche invasioni, a cominciare dai Visigoti sul principio del secolo V, e venendo giù ai Vandali, agli Eruli, agli Ostrogoti, ai Longobardi ed ai Saraceni, furono si frequenti e cosi disastrosi, che alcune città antiche ed insigni scomparvero siffattamente, che tra gli eruditi si disputa sul luogo preciso, dov'esse so: gevano. Così, tra le altre, accadde alle due città di Laurento e di Lavinia, poste alla distanza di 16 miglia a mezzogiorno da Roma, verso Ostia.

Laurento era città antichissima, e dicevasi che vi fosse approdato Enea venendo da Troia, acco!to prima con sospetto, poi amichevolmente, da Latino re degli Aborigeni, il quale gli diè sua figlia Lavinia in isposa ed un luogo per dimorare, dov' egli fabbricò una città, che in onore della moglie denominò Lavinia (ora Pratica di mare). Quivi egli lasciò gli Dei penati, che seco aveva portato da Troia, e che furono poi sempre oggetto di speciale culto pei Romani, i quali stabilirono per legge che i consoli, i pretori e i dittatori al primo entrare in carica dovessero recarsi in pellegrinaggio a Lavinia per venerarli (1).

Le due città di Laurento e di Lavinia nel periodo dell' impero formarono un solo municipio, come apparisce dalle iscrizioni, in cui si fa menzione del popolo laurentino-lavinate. E poichè spesso questi nomi si scrivevano abbreviati laur. lavin., è probabile che da

(1) Cosi dice Macrobio, citato dal NIBBY, Analisi della carta dei dintorni di Roma, Roma, 1837, vol. 2o, pag. 229

tale abbreviazione venisse l'idea, che si trova in alcuni scrittori posteriori all'età classica ma antichi per noi, e in molti moderni, che anche materialmente gli abitanti delle due città si unissero in una sola città, detta Lauro-Lavinia (1). È ora accertato che città

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siffatta non esistette mai, si bene un solo municipio dei due popoli, il laurentino ed il lavinate, di cui il primo, per l'inclemenza dell'aria, avrebbe abbandonata la città propria e si sarebbe recato ad abitare Lavinia. Secondo il Lanciani (2) l'abbandono di Laurento sarebbe avvenuto negli ultimi anni della repubblica, e di poi alla città sarebbe succeduta una villa imperiale.

(1) Acta SS., tomo Auctarium di ottobre pag. 111.

(2) Le antichità del territorio laurentino nella R. tenuta di Castel Porziano, nel vol. XIII dei Monumenti antichi pubblicati per cura della R. Accademia dei Lincei, puntata 1a (1903), Milano, Hoepli, pag. 144.

L'ultima memoria certa di Laurento e di Lavinia trovasi in una lettera di Simmaco, il celebre retore, che sulla fine del secolo IV difese la causa del paganesimo moribondo contro S. Ambrogio suo parente. Scrivendo nel 391 a Celsino Tiziano, Simmaco gli raccomanda Ceciliano difensore dei Laurentini-Lavinati, ch'egli loda siccome cittadini molto religiosi, vale a dire ostinati nel culto antico degli Dei (1).

Dopo quest' elogio di Simmaco non v'è più memoria alcuna certa (2) nè di Laurento nè di Lavinia, e poichè dalla descrizione che ne fa Procopio si rileva, che al tempo della guerra gotica (536-553) tutta la parte dell'agro romano, che si estende da Ostia a Roma, lungo la riva sinistra del Tevere, già era ridotta alla condizione, in cui poscia rimase sino al presente, deserta di abitatori, bisognerà ascrivere la ruina di Laurento, di Lavinia e di altre città, vici e ville, che vi fiorirono sotto l'impero, a qualcuna delle invasioni del secolo V. Le probabilità maggiori parmi siano pei Vandali, di cui sappiamo con certezza che percorsero queste regioni, quando nel 455 vennero dall'Africa ad Ostia e quindi a Roma, e poi ancora nel ritorno da Roma ad Ostia; mentre tanta sicurezza non abbiamo nè pei Visigoti di Alarico, nè per gli Eruli e gli Ostrogoti. Ma non essendo mia intenzione di trattare delle antichità profane di Laurento, basti il poco che ne dissi, e vengo subito e discorrere dell'unica memoria cristiana, giunta sino a noi, di questa antichissima città (o villa) del Lazio, cioè di un martire, che ottenne con altri la palma del martirio nel territorio laurentino.

È questi il martire Edisto, il cui nome variamente scritto e variamente pronunciato fin dai tempi più antichi, si trasformò finalmente in quello di Oreste, che è il nome sotto il quale è tuttora

(1), Caecilianum virum honestum Laurentium Lavinatium defensorem susceptum commendat officium. Ama ergo hominem placitum mihi et religiosae civitatis commodis obsequentem" NIBBY, II, 228.

(2) II NIBBY, II, 229 cita un altro difensore dei Lauro-Lavinati, certo Valerio Frumenzio; ma non sa se sia successore o antecessore di Ceciliano. Egli inoltre sembra credere, che al tempo di Macrobio (ossia verso il 420) i consoli, pretori, dittatori facessero ancora il pellegrinaggio a Lavinia per inaugurare le loro magistrature; ma è assai difficile ammettere, che al principio del secolo V durasse un uso così prettamente pagano. Evidentemente Macrobio parla dell'uso antico, indicato pure dalla carica dei dittatori, non più in uso sotto l'impero.

da lui denominato un villaggio posto sul monte Soratte, dove, mentre tutt'altrove perdevasi il suo ricordo ed il culto, egli continuò ad essere venerato sotto il nome suo primitivo di S. Edisto.

La scomparsa delle chiese e di altri monumenti, che noi ora vedremo essere esistiti anticamente in onore di S. Edisto, la scomparsa in certo modo dei suoi Atti, che essendo conservati in un solo codice, posseduto da un monastero di Francia (1), si poterono considerare come ignoti fino alla loro pubblicazione, fattane dai Bollandisti nel 1869, furono cagione che gli stessi pochi agiografi, i quali si occuparono del nostro Santo, non si trovassero daccordo tra loro, credendo alcuni ch' egli fosse un martire di Ravenna, ed altri un martire di Roma, ossia dell'agro romano e di Laurento.

L'origine prima di tale dissenso provenne dai codici più antichi del martirologio geronimiano, composto, com'è noto, verso l'anno 450, poichè mentre l'epternacese, ch'è il più antico di tutti (fu scritto verso il 690), porta: Romae, Edisti; gli altri due, il bernese e il wissemburgese portano: Ravennae, via laurentina, natalis S. Edisti.

La lezione dell'epternacese fu seguita nel secolo IX da Rabano Mauro nel suo martirologio, ma Floro e dopo di lui Wandelberto, Adone (si nel martirologio piccolo che nel grande), e Usuardo, i cui martirologi, e specialmente i due ultimi, ebbero più seguito, copiarono la lezione del bernese e del wissemburgese, e fecero di S. Edisto un martire ravennate (2).

Il Baronio, postosi all' impresa di correggere ed illustrare il martirologio romano, che era in sostanza il martirologio d'Usuardo, segui la lezione di lui, che vide confermata dai martirologi di Adone e di Wandelberto, ossia dal numero maggiore dei martirologi antichi allora noti; onde non gli si può ascrivere a colpa di non aver ba

(1) Il codice 461 del monastero di S. Germano di Parigi, scritto alla fine del secolo XI. Sta ora nella bibliot. nazionale di Parigi, sotto il n. 11753. Si veda Catalogus Codd. hagiograph. bibl. Paris., Bruxelles, 1893, tomo III, pag. 55. Ivi sono riportate le poche parole, che, non si sa perchè, furono tralasciate dal bollandista, che pubblicò gli Atti nell'Auctarium Octobris. Sono le seguenti: A pag. 112*, col. 1a, al n.1: „quia in quemdam locum occulte Deo sacrificia offerebat. Et hesitans Hedestus cepit eum frequenter inquirere curiose“.

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Al n. 2: Haec autem Victuria. Dixit ei Hedestus: Voca mihi patrem tuum, ut fruar d sideriis cordis mei".

(2) Notkero, avendo davanti a sè le due lezioni, le ammise tutte due, registrando due S. Edisti, uno a Roma, l'altro a Ravenna.

dato alle memorie comprovanti il culto antico di S. Edisto in Roma e particolarmente ad una donazione di beni fatta da S. Gregorio Magno, dove il nome del Santo trovasi sotto la forma cambiata dj Aristo.

Il bollandista Cornelio Byeo, trattando di S. Edisto al suo giorno proprio del 12 ottobre, nel tomo VI di ottobre, stampato nel 1794, mosso egli pure dall'autorità dei martirologi, si attenne all'opinione del Baronio, sebbene vedesse tutta l'insufficienza dell' argomento, allegato da alcuni scrittori ravennati per attribuirsi S. Edisto, cioè che la via antica da Ravenna a Classe (che consta essersi detta caesarea) fosse la via Laurentina del martirologio geronimiano, pretendendo inoltre, e del tutto arbitrariamente, che nel testo originale del geronimiano si dovesse correggere laurentinam in lauretinam, ch'essi poi dicevano così denominata dagli alberi di alloro che la fiancheggiavano (1). Di più il Byeo non credette meritevoli di attenzione gli Atti del Santo, che così chiaramente lo dicono martire di Laurento, e pel disprezzo in che li aveva, tralasciò di pubblicarli.

Tutt' al contrario giudicò l'anonimo bollandista, che nell'uctarium Octobris, stampato nel 1869, pubblicò ed illustrò gli Atti suddetti. Sebbene egli forse eccedesse alquanto nello stimarli, tuttavia giustamente li credette meritevoli di fede, là dove essi presentano Edisto come martire di Laurento, tanto più essendo questa loro affermazione corroborata dalla testimonianza del martirologio geronimiano, che colloca il martirio del Santo sulla via Laurentina, via notissima agli scrittori classici, che univa Roma a Laurento, e che non esistette mai a Ravenna, fuorchè nella supposizione, del tutto arbitraria, di qualche scrittore ravennate. Egli ebbe pure a notare l'assenza a Ravenna d'ogni prova di culto antico a S. Edisto, di guisa che gli si presentò ovvia alla mente la congettura che i Ravennati cominciassero a volersi attribuire S. Edisto e farne memoria liturgica

(1) Tomo III di ottobre, pag. 22. Gerolamo Rossi, lo storico più accurato di Ravenna, si riferisce alle opinioni di scrittori di così poco conto, che non li nomina neppure: " Ravennae Edistius quarto Idus Octobr. interficitur; sepultus in via Laurentina, quae ad Classem tendit. Nuncupatam autem Lauretinam, non Laurentinam, viam illam tradunt, a nemore lauris consito, quod ibi aderat“; Historiarum Ravennatum libri decem, Venezia, Franceschi, 1590, pag. 44.

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