Imágenes de páginas
PDF
EPUB

1

la chiesa di s. Maria insieme coll' attigua abitazione pei canonici. Questa chiesa, sotto cui era posta l'altra dedicata a s. Stefano, insieme colla mirabile e prossima basilica di s. Donato, costituiva la Cattedrale Aretina, il Domus, o vogliam dire l'Episcopium sancti Donati.

Nel 1203, pei motivi che più sotto accennerò, la Cattedrale venne traslocata intra moenia nella chiesa benedettina di s. Pietro Maggiore, posta nella parte alta della città. Perciò i due ricordati edifici furono abbandonati e trascurati: la incuria e le intemperie ne cominciarono presto la rovina; e finalmente nel 1561 Cosimo I decretò fossero rasi al suolo per ragioni militari. Alla barbara demolizione, per cui abbiamo perduto esempi principalissimi di architettura romanica del secolo XI, fu dato principio, con sommo rincrescimento degli aretini, il dì 21 d'ottobre. Ci resta unicamente qualche ricordo in pitture posteriori, fatte rozzamente e a memoria, dalle quali ho tolto il disegno, che qui mi piace riprodurre.

[graphic][ocr errors]

documenti per servire alla storia di Arezzo nel medioevo. Dette lezioni furono stampate la prima. volta dal BONAMICI, Discorso sulla Vita di s. Donato, pag. 38; indi dal BURALI, Vite de' Vesc. Aretini, 37, dal DRAGONI, Monumenti della Chiesa primitiva d' Arezzo, 71, e in ultimo dal CAPPELLETTI, Le Chiese d' Italia, XVIII, 93.

1 Cronaca de' Custodi sotto citata. La dedicazione si commemorava nei primi di aprile.

Il Vasari ne fa una breve descrizione nel Proemio alle sue Vite e nella vita di Spinello,

vol. 1, 227; II, 680 (ediz. Milanesi).

3 Vedasi la Pianta inserita a pag. 62.

Oggi sul dosso della collina vedesi una semplice chiesuola, eretta nel 1610, che cuopre il luogo della confessione e la cripta del tempio di s. Donato. Si ritiene che questa sia una parte

La Chiesa Aretina, se dalla sua istituzione venne in fama per gli innumerevoli miracoli che seguivano alla tomba di s. Donato, non per questo potè presto acquistare ricchezza. Essa restò a lungo in povera condizione, e forse avrà sofferto durante le funeste lotte tra Greci e Goti (535-553) e poi per le devastazioni dei Normanni (825 circa) e dei Saraceni (840); nè si vide sorgere che quando gl' imperatori franchi' e gli stessi vescovi le fecero offerte di terreni e di rendite. Di una prima donazione imperiale fa ricordo una lapide marmorea incisa nel 1340. Nella parte sinistra reca la iscrizione di un marmo ritrovato nel 1338 sopra il sepolcro del beato Marcello presso la chiesa di s. Stefano. Disgraziatamente il titolo, che pare fosse longobardo del secolo VI, fu dato a spiegare a un frate domenicano, il quale non sapendovi leggere, fece trascrivere alla peggio delle parole che lo compendiassero, guastando il senso coll' aggiungere ciò che desunse da qualche altra epigrafe più antica. Al sesto verso si legge: Qui sanctus Marcellus fuit vicarius generalis invictissimi imperatoris Tehodosii, qui Tehodosius dotavit ecclesiam sancti Donati et sancti Marcelli. Come giustamente osserva il De-Rossi, qui l'inesperto interpetre lesse vicarius generalis ov'erano le sigle V. C. (vir clarissimus) e il nome di Teodosio (il Magno, 346-395, o il Iuniore, 400-450) nella nota del consolato. E poichè non si conosce per niuna memoria ch' esistesse la chiesa dedicata a s. Marcello, la riferita notizia di donazione teodosiana, derivata dall' erronea lettura di vetuste iscrizioni illeggibili o inintelligibili nel secolo XIV, non è a parer mio da tenersi in conto.

del sepolcreto cristiano, ora ripieno e distrutto: consiste in un loculo sotterraneo, il quale misura in pianta m. 3, 90×2, 70; a destra e a sinistra sono incastrate in un vano fatto nel masso e coperte con grosse e rozze lastre di pietra due grandi casse monolitiche contenenti ancora una quantità di ossa umane. Nella parete di fondo sta addossato un altare, vòlto a oriente, secondo l'antico rito, creato in parte nello scoglio stesso: da ambo i lati apparisce una stretta apertura, ora ostruita, che doveva condurre nella catacomba.

2

Precetto di Carlo il Calvo dell' 887 (n. 45).

Vedasene il facsimile nel libro di A. e U. PASQUI, La Cattedrale Aretina e i suoi Monumenti, 115.

"Et die duodecimo dicti mensis (octobris) invente fuerunt reliquie beati Marcelli et aliorum sanctorum prope Domum extra civitatem; et inventus quidam saxus marmoreus in ipso monumento sic scriptus, et expositas istas literas habuimus a quodam fratre s. Dominici; que litere sic incipiunt:...

....

et inventa sunt xi monumenta lapidea,,. Annales Aretini in MURATORI, Rer. ital. script. XXIV, 878. * Inscript. christianae septimi saeculi antiquiores, II, 312.

Comunque sia noi troviamo che al tempo dei Romani e di Narsete' la Chiesa di s. Donato possedeva diversi oratorî nel territorio di Siena fino alle vicinanze della città. Naturalmente tale estensione della nostra diocesi non poteva sopportarsi in pace dal vescovo senese, che da ciò vedeva ristretta la propria, e in conseguenza menomate le rendite episcopali. Onde cominciarono a nascere delle questioni fin dal secolo VII, e si replicarono più e più volte per lungo tempo, e talvolta divennero così clamorose e violenti, che si usarono le armi per ritorgliersi a vicenda il possesso delle parrocchie. Intervenne sempre l'autorità dei pontefici e anche di re ed imperatori; nonostante qualche vittoria della parte avversa, l' Episcopato Aretino serbò la proprietà delle pievi contrastate, e pur oggi la conserva, ad eccezione di alcune ch' entrarono nei recenti vescovadi di Montalcino, di Pienza e Montepulciano.

Per quali ragioni quelle vetuste pievi, fondate tutte nel territorio di Siena e perciò spettanti di diritto alla giurisdizione del suo vescovo, appartennero in così remoto tempo al nostro episcopato? Sussiste una carta apocrifa, comparsa nei primi del mille, che dimostra essere state le medesime costruite da Zenobio tribuno romano nei proprî terreni, e da costui concesse a s. Donato, che avealo convertito e baltezzato. Forse la carta raccoglie tradizioni alterate coll' andar del tempo, e può avere qualche fondamento di sincerità nel fatto che qualche magistrato abbia veramente ceduta in dono quella regione a un dei primi vescovi di Arezzo. Ma la opinione più attendibile mi sembra questa: che sia stato spinto fin là il limite della diocesi aretina nel IV o V secolo, quando non si era ancora fondata la Chiesa di Siena, o almeno non aveva essa conseguita che ben poca importanza.

[ocr errors]

Tutti quanti i documenti riferentisi alla suddetta questione, durata oltre cinque secoli, sono riuniti nel presente Codice Diplomatico; ed importantissimi sono quelli raccolti in questo primo volume, cominciando dai longobardi e terminando con una lunga serie di testimonianze (che offrono delle notizie veramente singolari) ricevute nel 1177-1180 da Laborante cardinale, incaricato da papa Alessandro II di formulare il processo per definire la prolungata controversia, che da dieci anni era con grande rumore risorta tra il vescovo aretino Eliotto e Gunteramo vescovo di Siena. La sentenza uscì favorevole al primo. La lite però si

[blocks in formation]

3 In un atto del 714 si asserisce, che la occupazione del territorio conteso era avvenuta al tempo dei Longobardi quando "senense civitate menime episcopus fuisset ordinatus,, e che al tempo di Rotari "primum ordinatus est in civitate senense episcopus nomine Maurus,, (pag. 7).

b

volle non molto dopo rinnovare, ma Onorio III con bolla del 27 maggio 1220 impose alla parte querelante un perpetuo silenzio.

I documenti qui prodotti daranno materiale a sufficienza per uno studio storico-giuridico sulla lite diocesana senese-aretina. Ma io mi astengo di discorrerne di più, poichè una prefazione non presta luogo a trattazioni, che si soffermino ad illustrare estesamente gli argomenti di storia medioevale che possono trarsi da raccolte di documenti com'è questa. Quindi conviene lasciare libero il campo allo studioso, sia che esso ne prenda le notizie per la storia italiana o della regione o della città, o sivvero vi studi le consuetudini giuridiche del tempo, e gli usi e le costumanze, i riti, e le condizioni sociali e della proprietà territoriale, la topografia, la lingua, la genealogia ecc. Per la medesima ragione non conviene parlare a lungo della Chiesa Aretina, della sua vita, delle sue vicende, o di trattare in particolare della origine, dello sviluppo, delle gesta del Comune. Mi limiterò ad esporre soltanto, come in uno schema, come in un brevissimo sunto, i dati principali che rilevansi da ciascuno dei tre volumi, i quali conterranno il Codice Diplomatico (an. 650?-1385) e le Lettere storico-politiche (1234-1386) '.

Per quanto concerne le prime notizie della Canonica Aretina e la sua nuova restaurazione fatta per cura del pio vescovo Elemperto, è da consultare la preziosa e ben nota Cronaca dei Custodi, narrazione assai veridica, scritta pochi anni avanti il mille. Il collegio dei Canonici venne istituito, anche prima che in Firenze, circa l' 840 dal vescovo Pietro I. Stette riunito a vita comune e sotto disciplina monastica per breve tempo; chè per la dissidenza dei proprî pastori, per la negligenza dei canonici stessi e la cupidigia degli uomini andarono dispersi i beni della Chiesa, e la congregazione canonicale si disciolse. Così la Chiesa "permansit pene mortua usque ad Elperti digni pastoris religiosam providentiam,,. E risorse veramente per lo zelo di Elemperto: egli poco avanti il 1009 riedificò la chiesa di s. Maria e l'abitazione dei canonici, che raccolse "aliquando precibus, aliquando minis,, riducendoli in fraterna società, cioè a vita

Farà seguito un quarto volume, che pubblicherò a conto mio, e conterrà le Cronache Aretine edite ed inedite (sec. XI-XV).

La pubblicò pel primo il MURATORI, Antiq. ital. med. V, 217-224, e recentemente il prof. H. BRESSLAU nel Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutche Geschichtskunde, V, 443. Verrà più esattamente ristampata nel IV volume di quest' opera.

3 Docum. n. 30.

• Cronaca cit. Cfr. pure i documenti n. 61, 69, 94.

comune secondo il loro primitivo ordinamento; e poi donò loro del proprio, cercando di ricuperare i diritti e le possessioni perdute. Istituì pure la scuola di grammatica e di lettere sacre', e procurò di raccogliere attorno a sè il clero più egregio. Per le quali cose la Cattedrale Aretina potè alzarsi in grandissima fama: "hine etiam totius episcopii famosissima sublimatio,,.

Seguirono l'esempio dell' insigne pastore i suoi successori Adalberto e Teodaldo, i quali rifabbricarono con magnifica struttura il tempio di s. Donato, ed elargirono pur essi con frequenti donazioni molti possedimenti a maggior decoro ed incremento della loro Canonica. Quanto e ove quelli fossero estesi, e quali i proventi che dovevano servire "ad stipendium et usum et sumptum fratrum canonicorum,, (senza comprendere le offerte delle litaniae e le decime provenienti dalle parrocchie del senese) lo desumiamo dai diplomi di Arrigo II del 1020 e del 31 dicembre 1021, pei quali si confermano le proprietà e le immunità concesse anteriormente nei precetti d'imperatori carolingi e sassoni, da Carlo Magno a Ottone III, e tutte quante le donazioni episcopali.

Anche Immone che successe a Teodaldo nel 1036 e quindi Arnaldo non lasciarono di dotare "cum scriptura et sine scriptura,, la Chiesa Aretina, mentre e conti e ricchi longobardi del contado facevano ingenti donativi di mansi, di corti, di castelli onde aumentare il patrimonio ecclesiastico.

Andava crescendo in ricchezza e potenza la Chiesa di s. Donato, e un altro ente guadagnava ugualmente importanza per elargizioni degl' imperatori, dei vescovi e dei fedeli: era il monastero benedettino di s. Fiora e Lucilla, fondato intorno al 900, a tre miglia dalla città, in un alto colle, lungo la via romana che allora transitava per esso. I documenti qui pubblicati non solo ci faranno conoscere qual fosse nel secolo X e XI la estensione delle proprietà di esso monastero e la sua importanza politico-religiosa, ma anche come fossero organizzate nel medioevo alcune grandi congregazioni monacali. Coll' aggregazione dei monasteri di s. Martino in Sala o al Pino e di s. Andrea in Quarata, della prioria di s. Pietro Maggiore, con cento e più chiese e cappelle, col numeroso stuolo di servi e ricchi favoritori, l'abbazia di s. Fiora formava una famiglia che rappresentava, forse più potentemente che il vescovo, il feudalismo ecclesiastico dominante nel contado. Anche ad essa devono aver giovate le restrizioni dei po

1 Docum. n. 94, 106.

« AnteriorContinuar »