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Monastero della Diocesi Vicentina. Per vero dire pare che il Vescovo non avesse la ragione a suo favore in questa causa, e che peccasse un poco d'ingiustizia; almeno così risulta da questa carta e da alcun'altra, che in seguito vedremo. Raccogliesi inoltre da questo Documento che le Monache di S. Agata aveano quattro Conversi al loro servizio giusta la pratica di quei tempi, su di che possono vedersi gli Annalisti Camaldolesi, che a lungo trattano di un tale argomento. Ma il Vescovo Giovanni proseguiva a pesare sopra i Regolari, siccome fece con le Monache dell' Arcella, le quali ricorsero al Papa Niccolò III. Questo Pontefice, che essendo Cardinale era Protettor dei Minori, ed era da giovinetto stato di lui profetizzato da S. Francesco che diverrebbe uno scudo fortissimo della serafica religione, prese la cosa con molto calore; molto più che si sovveniva d'aver procurata la correzion di Giovanni per simile fatto contro ai Frati Minori (225). Il Papa diresse dunque un Breve al Pievano di S. Moise Angelo Brandi. Gli scrive il S. Padre, che le Monache ed Abbadessa dell'Ordine di S. Chiara dell' Arcella erano a lui ricorse contro il Vescovo di Padova, il quale non volea che gli affittabili del Monastero pagassero ciò che doveano alle Monache, anzi, se disubbidivano, gli assoggettava alla scomunica. Che inoltre il Vescovo trattenevasi dei mulini, che crano del Monastero, ed altre ingiurie ed offese a quelle donne faceva, che anche, quando era egli Cardinale, si sovviene essergli pervenuti dei lagni e dell' Abadessa e del Convento contro il Vescovo, il quale continuava a pesare su quelle Monache; che volendo rimediare ad un tanto disordine gli comanda d'intimare al Vescovo che nel termine di quindici giorni debba desistere dall' angariare quel Monastero, e debba compensarlo di tutti li danni recati, altrimenti, in caso d'inobbedienza, chiami il Vescovo a presentarsi con tutti li docu

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menti di sua giustificazione col mezzo di legittimo procuratore alla S. Sede, e dentro quattro mesi personalmente. Il Breve è dato da Roma li 9 di febbrajo l'anno primo del Pontificato di Niccolò III, cioè del 1278, non principiando che in novembre l'anno secondo. Se il Vescovo abbia obbedito a quest' ordine, ovvero abbia spedito il suo procuratore a Roma per giustificarsi, questo è ciò che ignoro. Certo è che il Breve non è onorifico per Giovanni; sebbene poteva essere il Papa stato male in

formato. Comunque siasi, il Vescovo nel giorno 23 di agosto del pre

detto anno confermò gli atti d'elezione in aspettativa ad una custodia della sua Cattedrale a favore del sacerdote Pietro da Lumignan (226). Vi erano presenti alcuni Canonici, Nantichiero Arciprete di Vicenza e Benvenuto Priore di S. Giovanni di Verdara. Compie l'anno 1278 un assai curioso Statuto della Città (227). In esso si prescrive che ad onore di Dio e di Maria, acciocchè mantengano la pacę nella Repubblica, abbiasi nel giorno 25 di marzo, o in altro giorno, secondo piacerà al Vescovo, a celebrare la rappresentazione dell'Annunziazione di Maria. E singolare il modo, che teneasi, e la importanza che davasi a questa divota commedia. Nella Chiesa del Palazzo della Città vestivansi due fanciulli, l'uno da Angelo, l'altro da Maria Vergine, ed andati alla Cattedrale si univano col Vescovo, col Capitolo, col Clero e con tutte le Fraterie, e s'incamminavano processionalmente al Palazzo della Città, dove si associavano ad essi e Podestà e Militari e Professori. Sopra un' adorna Carretta mettevano l'Angelo, e su d'un altra Maria, e preceduti dalle trombe si portavano a spalla fino alla Chiesa de' Cavalieri Gaudenti in Arena, dove faceano il loro dialogo, la loro rappresentazione. Il concorso di popolo era infinito, ed il Podestà, cui apparteneva di sorvegliare, vi disponeva detta truppa, onde impedire gl' inconvenienti, che nascer

di questa potevano. Nella Dissertazione, sopra la disciplina e liturgia Chiesa, che abbiamo promessa, faremo vedere molti di questi e

sempj.

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LX. Grave lite si era accesa tra il Capitolo de' Canonici nostriɔ da quee le Monache di S. Benedetto, per quarta funerale pretesa ste contro a' diritti della Parrocchia nell' esequie di Albertina Reprandini. Si agitò questa causa avanti di Albertino Arciprete di Piove, ch'era Vicario del Vescovo di Padova (228). Nacque il giudizio a favor del Capitolo. Nell' anno seguente il Vescovo Forzatè cadde infermo, ed aggravandosi il male, fece il suo testamento il giorno 24 di marzo del 1280. Elesse la sua sepoltura in un'arca all'altare di S. Niccolò nella Cattedrale. Comandò che tutti li suoi mobili, argenti, oro, sacri arredi fossero venduti, ed investendone il ricavato si faccia il reddito d'una Cappellania e di un Chiericato in servizio della Cattedrale (229). Questo testamento è il titolo di fondazione della Cappellania di S. Niccolò in Duomo, ed anche del Chiericato, che fu poi unito ad una Mansioneria. Confermò il Vescovo questa sua disposizione tre anni dopo, pochi giorni prima della sua morte. In quell'anno 1280 trovavasi in Padova Bernardo Vescovo di Vicenza, ed abitava in S. Giovanni di Verdara. Era lontano dal suo Vescovado, non avendo potuto ancora ottenerne un pacifico possesso. Qui diè l' investitura del Feudo decimale (230) di Bassano, Angarano, Cartigliano a Giovanni figliuolo di Forzatè, da cui il Vescovo di Vicenza protestava d'aver ricevuto importanti favori. Pur troppo nell' anno seguente 1281, per continuare lo scisma di quella Chiesa, fu eletto a Vescovo Antonio Guarnerini, di che ne abbiam più sopra fatto cenno. Giovanni Forzatè si rimise dalla sua malattia, ed, essendo terminata la fabbrica del Battisterio del Duomo

nel giorno 18 d'Agosto del predetto 1281, ne consacrò l'Altare (231) dedicato a S. Gio. Battista, assistito da Fra Tolomeo Vescovo di Zara, da Fra Agostino Vescovo di Cittanova e da Fra Bonifaccio Vescovo della Bosnia. Si rinovarono anche nell'anno 1282 le questioni tra i due Monasteri di S. Benedetto. Aveva la S. Sede determinato col Vescovo e Capitolo di Padova, per terminare perpetuamente ogni disputa, di assoggettare le Monache di S. Benedetto. alla dipendenza e regola de' Camaldolesi, ed in conseguenza fu da Gerardo Priore commesso all' Abate della Vangadizza, di pigliar il possesso di tutti e due li Monasteri. Qual ne fosse il motivo s'ignora; ma certo è che il Vescovo di Padova s'oppose a quanto far voleva l'Abate della Vangadizza. Da questo atto di violenza s'appellò l'Ab. della Vangadizza all' Abate di S. Felice di Bologna. Questi, ch'era Deputato Apostolico, conservatore dell' ordine Camaldolese, ne scrisse a Tommaso Arciprete della Cattedrale ed al Capitolo li 15 di gennajo del 1282, commettendogli di dichiarare il Vescovo scomunicato (232), siccome molesto, ribelle e perturbatore dell'Ordine Camaldolese. Scandolezzato l'Arciprete e il Capitolo dell'empio ardir dell' Abate di S. Felice, ricusò d'aderire a' suoi ordini; ed in luogo di ciò, si interpose per accomodare le cose. L'atto di scomunica fu rivocato. L'Abbadessa però mostrava ancora della renitenza ad assoggettarsi alla visita del Monastero, siccome rilevasi da lettera forte ed affettuosa (233) ad essa scritta dal Priore Gerardo. Nell' anno stesso 1282 Raimondo Patriarca d'Aquileja aveva intimato un Sinodo Provinciale (234), al quale furono chiamati tutti li suffraganei di quella Provincia. Si celebrò esso nel giorno 18 di decembre del detto anno, e vi assisterono li suffraganei Vescovi di Vicenza, Treviso, Feltre e Belluno, Trieste, Capo-d' Istria, Parenzo, Ceneda, Cittanova, Pe

dena. Spedirono procuratori in loro assenza li Vescovi Padovano, Veronese, Polense, Trevigiano e Concordiese. Giovanni, Vescovo nostro, spedì suo procuratore Pietro Parroco di S. Lorenzo. In questo Sinodo si emanarono varie leggi. E primieramente fu stabilito che la Festa de' SS. Protettori d' Aquileja Ermagora e Fortunato fosse celebrata per tutta la Provincia, e che ne' suffragj si facesse la loro commemorazione. Si comandò che li divini officj si celebrassero divotamente, e che il Clero dovesse osservare le Costituzioni de vita et honestate clericorum, emanate dal Cardinal Latino Vescovo d'Ostia e Velletri. Si prescrivono alcune leggi contro i sacrileghi, i quali così facilmente offendevano il Clero, e si accenna il modo di condursi, nel caso che venisse arrestato o ucciso il Patriarca, arrestati o uccisi li Vescovi Provinciali. Lo stesso si osserverà anche per le altre persone religiose. Che nessun Vescovo ordini un Chierico, che sia suddito d' altra Diocesi, senza la dimissoria dell' Ordinario. Che pur troppo facendosi statuti contro la ecclesiastica libertà, debbasi intimare alle Comunità ed Anziani, che si ritrattino, altrimenti sieno assoggettate a rigoroso interdetto. Si fece un Canone contro gl'invasori de' beni ecclesiastici, un altro contro i defraudatori delle decime e quartesi. Che chi muore scomunicato, non sia seppellito in luogo sacro. Che i Suffraganei visitino ogn'anno la Chiesa d'Aquileja . Che infine ciascun Suffraganeo abbia presso di sè le presenti costituzioni, e le pubblichi nella sua Chiesa la prossima Domenica Reminiscere. A fronte di questo Sinodo però i Padovani non temettero d'incontrarne le censure.

LXI. Egli è verissimo che la Repubblica padovana aveva fatti degli statuti offensivi la pretesa libertà del Clero, che riducevasi poi ■ null'altro, se non che al ricusare di assoggettarsi alle pubbliche im

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