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storia quel chiaro ingegno del C. Balbo « se que' resti » di antiche virtù, quasi fuoco sacro, tenuti vivi alcun >> tempo nelle discoste celle de' monaci, si spensero >> ancor essi poi quasi del tutto, non è colpa dei >> fondatori ad ogni modo gloriosi e santissimi, ma >> delle generazioni che seguirono, più corrotte an» che e più fiacche che non quelle tanto vituperate ».

Per ben ventiquattro anni regolò Avverto la nuova Badía di S. Michele, dopochè ella fu veramente compita e in monastico Ordine eretta, non contando in questo calcolo gli altri trentadue anni, in cui egli e della fabbrica occupossi, e della direzione de' primi monaci che seco avea raccolti.

In questo lungo tempo abbastanza non si può dire, giusta le parole del cronaco Clusino, quanto abbia egli per accrescer lustro e splendore alla nascente sua Abbadía operato e fatto.

Compiva egli intanto circa l'anno 1022 dell'era nostra la mortal sua carriera, d'anni e di meriti carico, al Ciel volando a ricevere il meritato premio delle rare sue virtù.

Lasciava Avverto nel suo monastero un'incommensurabile vuoto, al quale però meglio non potevano i monaci della Chiusa provvedere se non che eleggendo in loro abate Benedetto, chiamato il Seniore nella leggenda del monaco Guglielmo, di nazione francese, il quale da parecchi anni con alta fama di ottimo e provato religioso, eccellente in ogni genere di virtù, e non meno per pietà che per dottrina chiaro, alla Chiusa sotto il governo dell' abate Avverto viveva. L'unico impegno del nuovo abate Benedetto si fu

sempremai di far risplendere il suo monastero per santità e per costante esercizio d'ogni virtù più bella.

Gli fu però eziandio sommamente a cuore di ampliarlo, il numero moltiplicando dei monaci, accrescendo le rendite ed aumentando in gran copia gli onori, i privilegii e le prerogative degli abati.

Le singolari grazie che in quel luogo dall' arcangelo s. Michele, specialmente eletto per esservi onorato, tuttodì a sua intercessione operavansi, gran numero traevano di persone al monastero, sì per questo motivo, come per essere quasi sulla grande strada che dalla Francia in Italia e a Roma conduce; perciò quantunque un po' discosto e sull'erta del monte era tuttavia di continuo di ospiti viaggiatori ripieno. Accoglievali ognora con somma carità il santo abate, e con quella dolce affabilità di maniere e gentile cortesía che a se non può non cattivarsi ogni cuore. Ebbe egli la sorte di avere per ospiti un s. Anselmo Arcivescovo di Cantorbery, il gran padre della scuola scolastica, valente scrittore del suo tempo, come ne sono palese prova non pochi scritti di teología, varie omelíe e lettere, il trattato del grammatico, l'elegía sul disprezzo del mondo, e il libro di meditazioni, e varii altri scritti osservabilissimi; l'abate s. Majolo II, Prelato di Clugny, disceso allora dalle Alpi per visitare alcuni monasteri d'Italia e quindi recarsi a Roma; s. Alfredo abate della Cava, e s. Guglielmo abate di Digione, riformatore di molti monasteri e padre di innumerabil turba di monaci, autore di varie lettere, fra le quali osservabili sono due scritte a

Papa

Giovanni xix, di varie preghiere per la gente grossolana, di varii discorsi e della carta di fondazione del celebre monastero della Fruttuaria in Italia.

Gli angelici costumi di Benedetto ognuno ammirava, nè aveva perciò a pentirsi di avere con istento salito l'alto monte, essendogli così dato di poter da vicino ben conoscere le nobili virtù tutte quante del pio abate e de' suoi monaci. Nè solamente non si pentivano, ma si risolvevano anzi ben molti a lasciare il secolo e ad abbracciare la monastica vita. L'esempio di tante virtù, la santità di que' monaci, la comodità della casa, la bellezza del sito, il luogo egualmente proprio allo studio che alla solitudine, alla contemplazione e agli esercizi di pietà, quall'anima ben fatta non avrebbe invogliata ad abbandonare le miserie del mondo per concentrarsi tutta in Dio e a lui unicamente consecrare gli avanzi di una esistenza che creata e ordinata essendo per amarlo e servirlo quaggiù, deve poi nell'eternità andarlo a goIdere in Cielo ?

Fu l'abate Benedetto in grande stima e venerazione presso quanti lo conoscevano, non solamente per l'eminente di lui santità, ma eziandio per la vasta sua scienza e dottrina. La celebre scuola da esso alla Chiusa fondata, non che l'essere egli stato chiamato a varii sinodi, cioè ai due di Limoges, celebrati l'anno 1029 e 1031, e a quello di Vercelli nel 1050, una chiara prova sono de' suoi vasti talenti e delle peregrine sue cognizioni. Nel primo concilio Lemovicense aveva Benedetto sostenuta anch' egli la causa dell' apostolato di s. Marziale, e coadjuvato

alla decisione che fra settandue discepoli del Divin Salvatore lo collocava; ma conosciuta poi meglio la vera storia de' fatti risguardanti la vita di quel santo, e al secondo concilio che anche in Limoges, ad effetto di meglio esaminar la decisione del primo, radunava Aimone Arcivescovo di Lione, ritornato Benedetto abate in compagnia di suo nipote, Benedetto pure chiamato, priore in allora del monastero della Chiusa ; quantunque fra li nove vescovi e li varii prelati, teologi, abati e monaci intervenuti, parecchi tutt'ora vi fossero che l'apostolato di s. Marziale come cosa indubitata riguardavano; tuttavia egli d'accordo col nipote, uomo dottissimo del suo tempo, e che a fondo avea questi importante controversia studiata ed esaminata, francamente sostenne essere assolutamente apocrifi tutti gli atti che fanno s. Marziale apostolo, che dicono esser egli stato da s. Pietro battezzato ed aver nel giorno della Pentecoste ricevuto lo Spirito Santo cogli altri Apostoli, e che vogliono sia egli discendente dalla stirpe di Abramo, legato con istretti vincoli di parentela a s. Pietro, a s. Stefano, e da Gesù Cristo medesimo consecrato vescovo.

Questa nuova tesi che, contro l'opinion radicatissima fra que' popoli, l'abate Benedetto veniva in questo secondo concilio a sostenere, tutti gli mosse contro gli animi, ma più ancora contro il priore di lui nipote, poichè quegli era stato che viemmaggiormente la buona causa a questo riguardo avea sostenuta e fatto ricredere il zio dall'opinione nel primo concilio manifestata. Ademaro, monaco di Angoulême, comecchè autore di una lettera apologetica sull'apostolato di s. Marziale e di erudite

nozioni sopra gli abati di s. Marziale di Limoges, vedendosi così confuso e confutato nell' opinion sua da un concilio, per opera principalmente del priore Benedetto, egli che il più zelante sostenitore era di quel falso apostolo pel decoro del suo monastero di Limoges, inorridì a questa, com'ei chiamavala ereticale bestemmia; scrisse impertanto un libro sui concilii di Limoges *1 per prevenire le tristi conseguenze che dalla decisione per opera di Benedetto emanata gli pareva dovessero temersi. Oltre ai Maurini già citati parlano di questo libro di Adamaro Mabillon *2 e Tiraboschi *3. Riportano anzi essi un monumento in cui quel monaco, dopo aver caricato il povero priore Benedetto delle maggiori villaníe del mondo, chiamandolo coi nomi di eretico, di demonio, e con altre somiglianti maligne espressioni, per renderlo odioso e ridicolo insieme a tutti e specialmente ai monaci di s. Marziale di Limoges, lo introduce a favellare nel seguente modo;

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«Io sono nipote dell' abate della Chiusa: egli mi >> ha condotto a molte città della Lombardia e della >> Francia perchè m'istruissi nella grammatica, e il >> mio sapere gli costa sin' ora due mila soldi che ai » maestri egli ha dati. Nove anni mi sono trattenuto >> nella grammatica e sono ancora scolare. Siamo nove » occupati in questo medesimo studio e io sono un >> uomo perfettamente sapiente. Ho due gran casse » piene di libri, nè ancora gli ho letti tutti, ma gli

*1 V. PP. Maurini, pag. 300 a 308.

*2 Ann. Benedett., vol. 4, App. n.o 46.

*3 Storia della Letterat. Ital., lib. IV, n.o XIII.

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