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>> vo meditando ogni giorno. Non vi ha libro in tutto >> il mondo che io non abbia. Quando uscirò dalla >> scuola, non vi sarà sotto il cielo uomo dotto che mi >>> stia a confronto.... Io sono priore della Chiusa, e >> so comporre assai bene i sermoni.... Io saprei bene » ordinare e disporre un'intiero concilio: tanto sono » dotto.... Nell' Aquitania non vi è dottrina di sorte >> alcuna tutti sono rozzi, e se alcuno ha appreso » un pocolino di grammatica, si crede tosto di essere » un nuovo Virgilio. In Francia vi è qualche erudi>> zione ma assai poca; nella Lombardia però dove >> io ho fatto li miei studi, vi ha la sorgente della >> stessa sapienza ».

Tutti convengono essere impossibile che il pio monaco Benedetto così favellar potesse; credo perciò che Adamaro per rivolgergli contro l'odio e il disprezzo comune gli affibbiasse tali sentimenti, molto più che in tutto il citato libro sui concilii di Limoges egli si mostra uomo fanatico e trasportato, che non tiene moderazione alcuna e che altro non cerca che di ingiuriare e di mordere il suo avversario, il quale per altro avea per se la verità e la ragione, come ora confessano i più eruditi tra gli stessi francesi.

Nel concilio poi di Vercelli da Papa Leone Ix radunato nel 1050, al quale molti Vescovi vennero d'ogni parte, trovatosi pure l'abate Benedetto molto coadjuvò a far condannare l'eresía che Berengario in que' dintorni spargeva *, e a far dichiarare di falsità e di menzogna pieno il libro di Giovanni Scoto

* V. LANFRANC. De Corp. D., c. 4.

sull'Eucaristia, da cui aveva Berengario imparati i suoi errori sulla realtà e verità del Corpo e Sangue di G. C. nell'Eucaristia.

A questo ultimo concilio parecchi anni sopravvisse il santo abate Benedetto, ma nulla più di lui in tutto questo tempo ci dicono le storie e la cronaca Clusina, se non che dopo aver per quarantaquattro anni governato egregiamente il suo monastero, qual fruttifero olivo nella vigna dell' evangelico padrone, carico di meriti e dalle fatiche consumato riposò in pace. Furono questi i felici principii e li gloriosi incrementi della celebre Badía di S. Michele della Chiusa, e fu sotto il governo dell'abate Benedetto 1, che non pochi fra potenti e doviziosi signori di quel tempo l'abito monastico vestirono, come ad esempio quel nobile Alfredo oriundo della città di Salerno, della ragguardevole famiglia de' Pappacarboni, il quale nel 1025 da Guarmano in in qualità di ambasciatore al Re di Germania mandato, arrivando al monastero della Chiusa presso alle Alpi Cozzie, da gravissima malattia improvvisamente assalito e per l'intercessione potente dell'arcangelo s. Michele in breve tempo risanato, fece voto di abbandonare il mondo e di consacrarsi alla vita religiosa. Trovavasi allora alla Chiusa s. Odilone, quell'illustre abate di Clugny che, oltre all'essere riformatore della monastica disciplina in molti monasteri, fu di più onore della letteratura dell' undecimo secolo in cui visse; chiese da lui ch'era dei novizi maestro e direttore, Alfredo la grazia di vestire l'abito monastico, ed essendogli stata accordata, fu prima monaco alla Chiusa, quindi nel monastero di

Clugny, dove si ritirò allorchè fu di quella Badía eletto al governo il lodato Odilone.

Mancato ai vivi l'abate Benedetto 1, detto altrimenti il Seniore dalla cronaca Clusina, per distinguerlo dal secondo Benedetto, il quale nel governo del monastero di S. Michele nel 1066 successe, e dall' altro Benedetto nipote dell'abate, il quale col zio al concilio di Limoges intervenne, come dicemmo a suo luogo; a tenore di quanto la regola dell'illustre padre dei monaci san Benedetto prescrive nell' elezione dell'abate che al governo presieder deve del monastero, radunossi alla Chiusa il Capitolo generale de'monaci. Quantunque fossero da principio i voti divisi, proponendo taluni il monaco Airaldo che fu poi abate del monastero di Breme, uomo per la sua dottrina e per le sue virtù chiarissimo, altri Beltramo monaco Camaliacense, alcuni Aicio priore del monastero, entrambi ben meritevoli di quel grado per l'erudizione loro, la discrezione e lo zelo nelle varie circostanze dianzi manifestati; fu tuttavia finalmente con voce unanime eletto abate Benedetto I, dalla cronaca Clusina il Giuniore chiamato, il quale per l'umiltà sua neppure a ciò pensava, e nella ripugnanza che egli ebbe per acconsentire al comune desiderio dei monaci ne diede manifesta e solenne prova, tanto che violentato piuttosto che condotto portossi alla Chiesa per prendere della nuova dignità possesso.

Tolosa in Francia è di questo Benedetto la patria. Di nobilissima famiglia primogenito fu dal padre suo Bernardo, che nel giovine Benedetto un indole

sommamente buona non men che d'alti talenti ricca ravvisava ai PP. Benedettini del monastero di s. Ilario di Carcassone nella più fresca età sua confidato, affinchè così fosse ́da quegli ottimi institutori della gioventù nella pietà, nella religione e ad ogni virtù più bella del pari che nelle scienze, che eglino con sommo amore felicemente coltivavano, allevato ed educato.

Alla grande aspettazione su Benedetto sin dal principio conceputa appieno l'esito corrispose, avendo egli per attestazione dello scrittore di sua vita fatto negli studi e nella pietà addirittura mirabili progressi. Cresciuta in lui sempre più cogli anni quella grave maturità di senno e di giudizio che aveva dalla prima età mostrata, e conosciuto viemmeglio perciò il gran nulla del mondo, la bella risoluzione prese di intieramente a Dio consecrarsi. Laonde nel monastero prima di s. Ilario dove era stato educato vestì l'abito monastico, abbandonatolo quindi per non traviar egli pure dal suo fervore nella comune rilassatezza in cui erano della regolar osservanza quei monaci pur troppo caduti, alla Chiusa portossi dove trovavasi l'abate Benedetto il Seniore, sotto il cui buon governo mirabilmente fioriva nel monastero ogni virtù più bella. Potè quivi a suo bell'agio per l'esercizio d'ogni virtù più sublime nella perfezione crescere di giorno in giorno mirabilmente. Guadagnavasi egli per tal modo la stima e l'affetto di tutti, e dei superiori suoi specialmente, i quali in Benedetto tanta santità scorgendo, non dubitarono di promuoverlo al sacro ordine del Sacerdozio, non ostante che fosse egli per

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l'umiltà sua ripugnante e contraria a tanto onore, credendosene assolutamente indegno E qui, poichè mi cade bellamente in acconcio, trasandar non voglio di vendicare l'umiltà dei monaci specialmente dei primi secoli della Chiesa, i quali reputandosi della dignità sacerdotale immeritevoli benchè dai superiori loro promossi, non volevano tuttavia anzi ricusavano apertamente di accettarla, dalla accusa del signor Guizot, il quale nel suo Corso d' Istoria moderna alla xv lezione *1 pretende che fosse da motivi di superbia prodotta, di ambizione e di una apparente virtù, onde così la stima cattivarsi e il rispetto del popolo. Affè, io non so dove mai il dotto storico abbia le sue idee sortite, se non esse da un certo maligno spirito, che frammezzo alle molte bellezze dell' opera sua lato tuttavia si scuopre dappertutto, di travisare i fatti della nostra augusta Religione cattolica di cui egli è per principio nemico; poichè nè il cap. 62 della Regola di s. Benedetto, nè la Lettera di s. Epifanio Giovanni Vescovo di Gerusalemme *2, nè la quarta Lettera di s. Gerolamo ad Rusticum, nè Cassiano *3, ch'egli in favore delle sue asserzioni va citando passo passo, valgono l'assunto suo a provare; ma ben anzi tutto provano il contrario come da qualunque assennato palesamente può scorgersi solo ch'egli compiacdiasi di leggere quelle pagine, essendo unicamente esse destinate a metter in trionfo l'umiltà di quei

*1 Tom. 2, pag. 77 a 82.

*2 Tom. 2, pag. 312.

*3 De Canob, Instr. XI. 14.

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