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Con tutto ciò, come di beneficio Ecclesiastico, il Sommo Pontefice, ne dispose senza contraddizione alcuna in altri tempi, cioè sotto li Duchi di Ferrara, venendo allora ridotta l'Abbazia in una semplice Propositura.

Esaminiamo ora le antiche iscrizioni, e gli oggetti d'arte che rendevano celeberrima quell' Abbazia. Nella facciata od atrio della Chiesa, a mano sinistra, entrando, leggevansi questi versi:

Eximio semper Domus hæc resplendet honore

Temporibus Domini Patris constructa Johannis vidorensis
Anno mileno centeno decade lustro

Imperium sibi Corrade Christus dedit almum
Eugenium Petri sublimat sede beata

Hanc tibi Virgo Domum construxit nobilis Abbas:
Nobilis et clarus Christi de Chrismate gaudens
Quem sequitur Petrus petri de sorte Sacerdos
Censibus et rebus iuvit dum conderet illam
Milleno Verbum factum de Virgine Matre
Anno cum fuerat centeno carmine caro
Dicat patrinianus Junctis decade lustro
Ergo vos populi pro ipsis Deposcite Christum
Illis ut portas Cœlestis Pandat Olimpi
Eximiamque domum Precibus complete frequentes.

Dalla iscrizione rilevasi, che la detta Chiesa fu fabbricata dall'Abbate Giovanni Vidorense, avendovi contribuito molto Pietro di Pietro Sacerdote, l'anno di nostra salute mille cento quindici, nel tempo di Corrado Imperatore, e di Eugenio terzo Pontefice, e secondo le congetture del Sancassano fu Patriniano, che ne fece la memoria, e la registrò in quella lapide con quei versi rozzi secondo lo stile del secolo; e di più avverto il Ferro, che parlasi della Chiesa attuale, non già di quella fondata da Ottone, poichè dopo Ottone nell'impero seguì Arrigo, e dopo Arrigo Corrado, di cui si parla nella detta iscrizione.

Oltre la detta memoria, trovasi pure nella torre, o

campanile assai grande, e di fabbrica assai forte, un'altra lapide, colla seguente iscrizione:

Anno D. IVILXIII.

Tempore D. Alexandri Papæ, et Henrici Regis, et Mainardi Abb. atque Marci Prioris hæc turris fundata est, quam construxit Atto, cum uxore sua Willa sub indic. 1 quibus deprecamur vos dicatis misericors Dominus Deus.

Dal che si ha, che tal torre fu fabbricata nel tempo di Alessandro II Papa, e di Arrigo Re, da Azzo, e Willa sua moglie, cioè l'anno di nostra salute mille sessanta tre. Qual fosse poi questo Azzo, non ben si comprende, essendo che dai tempi di Azzo, fratello di Ugo supposto dal Sardi, fondatore di Pomposa, a quello della fondazione di detta torre sonovi scorsi più di cento sedici anni, e però sembra impossibile, che vivesse tanto.

Dall'altra parte destra poi dell' atrio della Chiesa vi sta una lapide con sopra scolpita una testa, e sotto vi si legge il nome del maestro, od architetto: Ermanzulo Magister qui fecit hæc opera Vos omnes deprecor ut oretis pro me ad Dominum, et dicatis: Misertus sit Omnipotens Deus.

Questo Monasteró, fondato da Ottone, venne donato alla Religione Benedettina, cioè a quelli Abbati e Monaci, che fra quelle solitudini conducevano una vita angelica. Taluni viveano dispersi in varie celle, o romitaggi, ed altri uniti nello stesso Monastero, col loro Abbate. Ebbe esteso Dominio, o come vogliono alcuni mista giurisdizione, tenendo più Castella soggetti alla di lui giudicatura, come Codegoro, Lago santo, Mazenzatica, con altre terre, luoghi e possessioni in molte parti del Ferrarese, a' quali ministrava l'Abbate una retta giustizia, come ricavasi da molti atti, che sono registrati negli Archivj di Ferrara. E qui, nel prezioso Codice da me posseduto, e dal quale trassi molte notizie intorno alle cose di Pomposa, trovo in margine la seguente annotazione: Si vis nosse q. D.

Abbas Pomposiæ habuerit merum Imperium, et universale dominium, et omni modum Jurisdictionum in spiritualis, et temporalibus in tota insula Pomposiana, ac in Laco Sancto, et Vacolino, vide primo omnia Privilegia tam Apostolica, quam Imperialia; deinde lege fasciculum processum, instrumento., et sententiarum habitarum contra Comunitatem Ferrariæ, contra D. Estenses, ac contra Comunitatem Massæ Fiscaleæ. Postea require in fasciculis instrumentorum processu., et sententiarum et Condemnationum Capitis gauri, Medji gauri, Massenzaticæ et Lacus Sancti, nec non in fasciculis comunitatibus, quæ omnia extant in Archivio. Aderant quoque Statuta autentica, confecta per Abbates Pomp. quæ servabantur in pred. tota Insula, Lacu sancto, et Vaculino, quorum originale erat in Monastero Pompo. ; aliud autenticum in libello Caprino tenebant Prætor et Homines Codegauri; sed D. Alfonsus Estensis, Dux Ferrariæ de anno 1520, post mortem D. Hypoliti Estensis Cardinalis, fratris sui, Comendatarji Preposituræ Pompos. voluit ipsa statuta, et privilegia et quæcumque invenire potuit, circa finem Octo., vel primi. Novem. et fecit alia statuta, nomine suæ Dominationis.

A Codegoro veggonsi tutt'ora li avanzi d'un maestoso edificio, che vien chiamato palagio dello Abbate, e nelle antiche carte Domus Dominicata, in cui risiedeva lo Abbate, quando colà recavasi a render ragione. Nel circuito del Monastero havvi poi una fabbrica, o palazzo ruinoso che era, e dicesi tutt'ora palazzo della Giustizia, quale per essere assai grande dinota l'estensione del dominio di que'Monaci, e quanto grande fosse il concorso de'popoli ad essi soggetti. Sulle pareti principali leggevasi la seguente iscrizione: 1396. Tempore Reverendi in Christo Patris Joanni Bonacoursij, Dei gratia Abbatis dignissimi Pomposiæ. Hoc opus ratum fuit.

Nella facciata della Chiesa havvi un atrio con tre archi. La Chiesa è fabbricata a tre navi, e quella di mezzo sostenuta da colonne, molte delle quali sono di granito d'Egitto, benchè con capitelli antichi, ed ineguali, secondo

ła rozzezza di quel secolo. Nell'ordine superiore sonovi dipinte alcune Storie del vecchio Testamento; del nuovo nel secondo e fra li archi altre Storie dell'Apocalisse. Nel Coro sonovi dipinti varj Martirj di Santi; sulla facciata della porta il Paradiso ed il Giudizio. Nell' altre due navi laterali sonovi Storie d'antico e rozzo stile; il tutto però costituisce una mirabile e devota antichità a segno, che anche il Sommo Pontefice Clemente VIII, che fu a visitarle nell'anno 1590 meravigliato esclamò: pulchra vetustas! Nel pavimento sonovi alcuni preziosi avanzi d'un antico musaico, con pietre assai rare. Contiguo alla Chiesa vedesi un claustro antichissimo sopra piccole colonnette, parte di Greco, e parte d'altri marmi, e due di verde antico; in appresso un ben grande Refettorio, nel quale sta dipinto di mano del famoso Giotto restauratore della Pittura, da una parte la Cena di Gesù Cristo coi suoi discepoli; in mezzo havvi il Redentore colla Beata Vergine, S. Giovanni Battista, S. Benedetto, S. Guido; nell' altra parte il miracolo, che fece S. Guido in occasione, che visitato all' improvviso dall' Arcivescovo di Ravenna, venuto per osservare, se non era falsa la sobrietà, che dei suoi monaci dicevasi, gli mutò l'acqua, che egli era solito bere, in vino per servire il detto Arcivescovo. Avvi in appresso un dormitorio assai grande, ove ancora sono da una parte le celle medesime assai anguste e povere, in capo al quale è una scala che corrisponde alla Chiesa, ed in appresso una camera alquanto più grande, ma egualmente semplice e povera, in cui, secondo la tradizione, abitava il Santo Abbate Guido. Sonovi poi adjacenti altre fabbriche assai massiccie, ma cadenti con alcune torri, ed altre ruine. Le mura di detto Monastero, come riferisce il detto Storico di Comacchio, erano bagnate dalle onde del mare. Le fondamenta dell'edificio posano infatti nella sabbia, e ad ogni pioggia la superficie del terreno appare seminata da candidi granellini. Vi passa vicino un naviglio, che conduce a Comacchio da una parte; dall'altra alla torre di Volana, e l'altro, che scorre da Codigoro.

Notisi, che anche dopo la smembrazione di tante reudite, dimoravano a Pomposa quattro Monaci, i quali poi al tempo d'Innocenzo X per la bolla Instaurandæ regularis disciplinæ emanata li 13 giugno 1653 dal P. D. Ambrogio di Cremona, Abbate di S. Benedetto di Ferrara, furono levati; e perchè uno di quelli esercitava la cura dell'anime; per rogito di notajo fu fatta una convenzione, col Vescovo di Comachio, a cui fu ceduta tal cura, con questo però, che li Monaci avessero la nomina di quel

Parroco stesso.

Fra i Monaci di Pomposa si rese celebre quel Guido Aretino, di cui abbiamo parlato a pagina 13, e visse Guido della nobile famiglia degli Strambati, come rilevo da una cronichetta MSS. di detta Abbazia, da me posseduta. Vi fu consegrato Abbate dal Vescovo di Comachio; desiderò, ed ottenne la compagnia di S. Pier Damiano, il quale dimorò in Pomposa circa due anni, vergando ivi le sue dotte opere, come rilevasi dalla data delle medesime, in Pomposiana. Attratti dalla fama della virtù e dottrina di que'Monaci, molti personaggi mossero a visitarli. Fu tra questi il Conte Bonifacio, Padre della Contessa Matilde (della quale pubblicheremo poi una carta inedita), recatosi espressamente a Pomposa, per esser assolto dai suoi peccati, l'Abbate gli rispose, che non poteva farlo, se egli non si obbligava ad una pubblica penitenza. La citata cronaca prosegue a dire, che Bonifacio, compunto della santità di quei Monaci si trattenne in Pomposa per qualche tempo, e che partendo esclamò, d'aver trovati Angeli in terra, che immobile tenevano il loro cuore in Cielo. Nè solo ebbe la santità di Guido e de' suoi Monaci attrattiva pei grandi del secolo; ma vie più le dignità Ecclesiastiche ne furono rapite. Così un Geberardo, Arcivescovo di Ravenna, uditane la fama, ed il concorso dei popoli, e riconosciuta più volte la loro santità ritirossi anch'esso a convivere in quell'Abbazia, donandole molti beni; li Arcivescovi di Ravenna erano signori di esteso dominio, e d'autorità assoluta. Geberardo, assistito dal santo

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