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CAPITOLO I.

(1202-1210).

Il Comune di Vercelli sul principio del sec. XIII. Borgate di Piverone, Palazzo, Unzasco e Livione. Progettata erezione di Piverone a Borgo Franco. Origine delle lotte fra Vercelli ed Ivrea per il possesso di questo borgo. Primo accenno di protesta per parte del Capitolo di Ivrea. Giuramenti di reciproca fedeltà fra i Comuni di Ivrea e di Vercelli. Controversia fra Vercelli ed i Marchesi del Monferrato: Bonifacio e Guglielmo VII detto il Grande. Segrete pratiche dei Vercellesi riguardo a Piverone.

Siamo sul principio del sec. XIII: il Comune di Vercelli fortemente costituito, trovasi in pace generale coi suoi vicini; solo una lieve ombra di diffidenza si nutre verso il Marchese di Monferrato, Bonifacio, il quale però era intervenuto nel trattato di lega offensiva e difensiva, stipulata fra i Comuni di Vercelli, Milano, Asti, Piacenza ed Alessandria in data 14 marzo 1199. In armonia coi Casalaschi, amico dei Torinesi, ed alleato degli Iporediesi, coi quali esistevano trattati di alleanza (1), il Comune di Vercelli pensò di rafforzarsi nei suoi dominii dalla parte del Canavese.

Esistevano a piè della Serra, poco lungi dal lago di S. Martino (ora detto di Viverone) quattro casali, o piccole ville, cioè: Unzasco, Livione, Piverone e Palazzo (2). Or bene il Comune di Vercelli determinò di formare con questi quattro casali un Borgo Franco, riunendo gli abitanti in Piverone, e in data 1 dicembre 1202 concedeva speciali franchigie a quanti sarebbero andati ad abitare in Piverone. A quelli cioè qui habitabunt locum et villam Piveroni, veniva concessa illam auctoritatem, franchitatem et honorantiam quam habent cives Romani sicut illi qui habitant in civitate Vercellarum et in porta Ursona (3).

A proposito della costituzione di questo Borgo Franco, il can. Modena nei suoi annali manoscritti di Vercelli, in data di quest'anno scrive: « Gli uomini parimenti di Piverone, Unzasco, Livione e Palazzo, si sottopongono

(1) Con atti del 17 e 27 maggio 1202 il Comune d'Ivrea rinnovava il giuramento di fedeltà a Vercelli come a suo signore pei castelli di Bolengo e di S. Urbano. I Vercellesi a loro volta promettevano di difendere il Comune d'Ivrea in tutti i suoi diritti.

(2) Questi casali appartenevano anticamente alla Curia di Gerione, della quale erano state investite varie persone di casato Avogadro dal vescovo di Vercelli Ugoccione in luglio dell'anno 1165 (Arch. civ. di Vercelli, Perg., mazzo I (Vedi documento I).

(3) Arch. civ. di Vercelli, Biss.: t. I, f. 192; t. II, f. 302; t. IV, f. 177. — Arch. di Stato di Torino, Provincia d'Ivrea, mazzo II (Vedi documento II).

ai Vercellesi, i quali li fanno franchi con quella stessa onoranza che avevano i cittadini di Vercelli che erano anche cittadini Romani, aggregati e confederati con i Romani. Instrumento appresso di me autentico ». Per quante ricerche io abbia fatto, non mi fu dato di trovare questo documento dal quale risulterebbe l'aggregazione dei Vercellesi ai cittadini Romani e la confederazione di essi coi Romani. Ed è strano che Vercelli non abbia conservato un monumento di antichità tanto glorioso per essa. Ciò, è vero, non sarebbe ragione sufficiente per negarne l'esistenza; ma io credo che il Modena non abbia voluto parlare che della scrittura da me citata, tanto più che la sua scrittura può accordarsi con essa.

Infatti Vercelli concede a quanti sarebbero andati ad abitare in Piverone illam auctoritatem, franchitatem et honorantiam quam habent cives Romani sicut illi qui habitant in civitate Vercellarum et in porta Ursona. Ora qual sorta di libertà comprendeva questa concessione? Che Vercelli intendeva semplicemente di liberare gli uomini e luogo di Piverone da quei gravami cui erano soggetti in quei tempi gli abitatori delle terre e delle campagne, rendendoli uguali sia ai cittadini di Vercelli, sia a quelli che abitavano fuori, ad es. quei della Porta Ursona.

Ma il documento aggiunge auctoritatem..... quam habent cives Romani, parole che probabilmente hanno indotto in errore il can. Modena, deducendo da ciò la prova di una confederazione dei Vercellesi coi Romani.

L'abate Frova (1) trova semplicemente ridicola questa interpretazione, e spiega così la frase quam habent cives Romani : « Come solevasi dagli antichi Romani concedere la cittadinanza di Roma a tutti gli abitatori di una città, così i Vercellesi, ad imitazione di quelli, avranno data la cittadinanza di Vercelli a quei di Piverone. E siccome quei che erano onorati della cittadinanza romana, benchè seguitassero ad abitare nella loro patria, dovevano essere ascritti a qualche tribù di Roma, affine di poter godere la facoltà di chiedere gli onori, qualora si portassero in Roma, nella guisa stessa e per lo stesso fine quei di Piverone dal Comune Vercellese fossero stati aggregati a quei della porta Ursona, perchè forse in quei tempi i cittadini di Vercelli erano divisi in tante classi o tribù quante erano le porte della città e si distinguevano col nome delle porte ».

Fin qui l'abate Frova; per parte mia però, pur concordando con lui nel trovare assolutamente inverosimile l'asserzione del can. Modena, trovo assai esagerata la sua interpretazione. Al Comune di Vercelli premeva rendersi soggetti gli uomini di Piverone, Unzasco, Livione e Palazzo, e avrà adoperato questa frase altisonante senza attribuire ad essa alcun significato speciale, col solo scopo di far impressione sulle popolazioni delle quattro borgate.

D'altronde è un atto questo altrettanto magniloquente ed ampolloso nella forma quanto povero e ristretto nella sostanza. Il Comune di Vercelli enunzia larghe promesse di aiuti, favori e libertà, ma non fa cenno alcuno dei diritti feudali, che pur avrebbero dovuto occupare il primo posto. E la causa sta

(1) TEONESTO FROVA, Storia civile di Vercelli sino al 1243. Manoscritto esistente nella biblioteca Reale di Torino.

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