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CARLO SFORZA

Segretario di Legazione di Sua Maestà

UN MISSIONARIO

E

SINOLOGO PIEMONTESE

IN CINA

NEL SECOLO XVII

I.

Nel 1552, San Francesco Saverio, il primo europeo giunto per via di mare fino in Cina, aveva chiuso la sua vita avventurosa in un'isoletta deserta in faccia a Canton. Da allora, per i gesuiti, chiusi, come i portoghesi, a Macao, era stata una lotta tenace, sottile, di tutti i giorni per ottener di stabilirsi sul suolo cinese.

Trent'anni dopo, Matteo Ricci, il gesuita maceratese che rimane uno de' più vividi esempi della complessa duttilità del genio italiano, otteneva licenza di passare sul continente e risiedere a Ciao-Ching. Aveva messo a profitto la sua lunga attesa e conosceva gli uomini cui voleva infondere la sua fede. Matteo Ricci e i missionari che lo raggiunsero, seppero farsi cinesi con i cinesi: avevano prima adottato il costume dei bonzi, ma accortisi della scarsa stima che il popolo più scettico della terra accordava ai sacerdoti buddisti, assunsero tosto la zimarra dei letterati, abito rispettatissimo fra tutti. E si fecero letterati coi letterati: mostrarono loro che gustavano i classici e che potevano scrivere con eleganza la lingua mandarina.

Rotti alle più complicate raffinatezze del galateo cinese, ricevevano nelle case loro gli alti dignitari civili e, rattenendosi sulle prime da ogni propaganda religiosa, insegnavan loro geografia e storia naturale, astronomia e fisica; li stupivano costruendo cannocchiali e prevedendo eclissi, si rendevano utili correggendo il calendario e fabbricando orologi.

Essi credevano, per tali vie, di giungere più sicuramente allo scopo ultimo di tutti i loro sforzi, la conversione in massa della Cina al cattolicismo. Con sicuro giudizio psicologico, avevan compreso che il popolo « dai capelli neri », plasmato ormai dalla millenaria influenza della filosofia confuciana, si caratterizzava per la disciplina collettiva, il rispetto gerarchico, la reverenza filiale ai superiori; e però, abbandonando la tradizione evangelica, non curarono tanto la conversione degli umili quanto la benevolenza e l'adesione dei potenti. Errarono forse; ma bisogna riconoscere che i sistemi posteriori di propaganda sono stati per lo meno altrettanto sterili (1).

(1) Nel secolo XVII si contavano in Cina circa 100.000 cristiani. Oggi il numero dei cristiani ascende appena a 800.000, di cui 200.000 circa appartengono alle varie chiese protestanti che, sul principio del secolo testè scorso, iniziarono in Cina una propaganda ricca d'uomini, e, più, di danaro. Gli altri 600.000, cifra pur così irrisoria in confronto dei 400 milioni di cinesi, rappresentano in gran parte l'allargarsi della discendenza dei convertiti dal Ricci e dai compagni suoi,

Comunque, il raccogliere notizie su quel gruppo di missionari, quasi tutti italiani, è portare un contributo alla storia del più abile e serio tentativo che sia mai stato fatto in nome dell'Europa per la penetrazione del mondo cinese. Di un d'essi, il P. Antonio Vagnoni da Trofarello, mi è venuto fra le mani una biografia manoscritta conservata negli archivi del collegio dei gesuiti a Zi-ca-wei, presso Sciangai. E poichè di questo intrepido seguace del Ricci si trova appena menzione anche nelle storie speciali (1), mi sembra far opera pia verso la sua memoria, pubblicando ora le pagine che un de' suoi successori gli consacrava (2). I fatti in esse narrati sono storicamente esatti, per quanto ho potuto controllare sopra tutto con l'opera cinese Puohsie-ci che contiene i documenti relativi al processo del Vagnoni, e cioè le lettere scambiate in proposito fra le autorità di Nanchino, gli interrogatorii del Vagnoni stesso e quelli dei neofiti cinesi (3). Si è perciò che le pagine che seguono vengono pubblicate integralmente, lasciando loro il semplice sapore che l'orrore dei « pagani » e delle loro persecuzioni dei cristiani sveglia nel pio biografo.

Non è che la luce sotto la quale quelle persecuzioni - pur così reali e crudeli sono esposte che potrebbe un po' alterarsi, sol pensando che niente eccita fra gli uomini tumulti maggiori della religione. È pur vero che niente alle volte li scuote di meno perchè le preoccupazioni quotidiane del vivere relegano i pensieri religiosi fra le vaghe e più lontane ombre del nostro spirito. Ma niente al tempo stesso li eccita di più perchè un sistema religioso che si senta minacciato è una società che si sente scuotere nella sua midolla spinale. I cinesi videro allora, e vedon oggi, nei loro sistemi religiosi, quello che per il loro spirito pratico e materialistico, è più che dei meri dogmi sull'al di là; e cioè la sintesi delle esperienze etiche di una razza, e il risultato e la somma della loro evoluzione sociale.

Di guisa che se si pensi che nessuna religione può esser cambiata senza cambiare al tempo stesso, o almeno profondamente modificare, la struttura sociale, anche le ripugnanze e le resistenze cinesi, che debbono aver amareggiato il missionario, non appaiono, guardate con occhio storico, se non l'espressione di una società che si difende.

Ma son, queste, riflessioni ovvie, che verrebbero, scorrendo le pagine che seguono, alla mente di ogni lettore.

Né à Trufarello, au diocèse de Turin, d'une noble famille, le jeune Vagnoni, après son noviciat, enseigna les humanités et la rhétorique durant cinq années. On rapporte que le jour où Charles Emmanuel, duc de Savoie,

(1) La storia più ampia delle prime missioni cristiane in Cina è quella del Padre Huc, Le Christianisme en Chine, en Tartarie et au Tibet, 4 vol., Parigi, 1857. Il nome del Vagnoni, infrancesato in Vagnon, si trova citato una sola volta a pag. 267 del vol. II.

(2) L'autore della Notizia biografica è il Padre LUIGI PFISTER, morto nel 1891 dopo aver consacrato la vita a compilare sui documenti della Compagnia di Gesù una raccolta di Notices biographiques et bibliographiques de tous les membres de la Compagnie de Jésus, qui ont vécu en Chine pour y prêcher l'Evangile, depuis la mort de Saint François Xavier jusqu'à la suppression de la Compagnie. È un ms. in-4° di 1443 pag., più 10 appendici di 200 pag.

(3) L'interrogatorio del Vagnoni comincia co' suoi connotati, di cui ecco la traduzione testuale: « volto bianco e rosso, sopraciglia bianche e lunghe, occhi incavati, naso puntuto, baffi e barba di color giallo ».

fut reçu au collège de Brera avec toute la pompe et la solennité dues à ce prince, le fr. Vagnoni fut chargé de faire et de réciter le discours de réception, et qu'il s'en acquitta avec tant de grâce et de dignité, que le Duc en conçut pour lui une très grande estime. Il professa ensuite la philosophie à Milan pendant trois ans. Ayant demandé avec instance les missions d'outre-mer, il partit en 1603 avec les PP. Camille Costanzo, martyr au Japon, Jean Metella, martyr à Ceylan, et plusieurs autres, dont il fut le supérieur pendant la traversée. Il fut envoyé à Nankin en 1605 et y fit la profession des quatre vœux le 15 août de l'année suivante.

Les quatre premières années de son séjour il s'appliqua à étudier la langue et les caractères chinois, dans lesquels il se rendit si habile, que bien peu d'Européens l'égalèrent en cette connaissance, et qu'il composa un grand nombre d'ouvrages qui firent l'admiration des lettrés eux-mêmes. Il convertit à la foi en 1609 un des personnages les plus lettrés de la ville. C'était un des quatre assesseurs de la cour souveraine, qui avait contracté, par le moyen de Paul Siu, quelqu'amitié avec les missionnaires, mais qui ne trouvait que du dégoût en lisant les livres de religion. Le P. Vagnoni lui fit faire des sphères céleste et terrestre, et ajouta des annotations sur leur usage. Il entra ainsi peu à peu dans sa familiarité, l'amena tout doucement à changer de sentiment, et enfin le baptisa en lui donnant le nom de Jean.

Le 3 mai 1611 il dédia au vrai Dieu le premier temple qui lui ait été élevé dans cette capitale, la seconde du Royaume. Sur le mur on avait écrit en grands caractères chinois: « Deo optimo maximo, Nankin in aula antiquorum Imperatorum Sinensium, primum templum erexerunt et dicaverunt Patres Societatis Jesu, 3 maii 1611 ».

Il demeura dans cette ville jusqu'à la persécution de 1616, amenant dans le giron de l'Eglise un grand nombre de néophites, parmi lesquels plusieurs lettrés se distinguèrent par leur attachement aux Pères, et par leur constance dans la foi.

A cette époque la chrétienté de Nankin était sans contredit une des plus belles de toute la Chine, au témoignage du P. Longobardi, supérieur de la Mission. C'était un jardin où fleurissaient toutes les vertus; les conversions et les baptêmes étaient en grand nombre; on y comptait beaucoup de lettrés, des habitants de la ville et des compagnes, et aussi des étrangers. Le P. Vagnoni y institua une congrégation pour les dames, sous la protection de la Reine des Anges, dont un bon nombre joignaient à la pratique de la pénitence l'oraison mentale et une chasteté perpétuelle.

En 1615 l'empereur Wan-li avait envoyé à Nankin un grand mandarin nommé Kio chen-pou, pour y être assesseur du tribunal des rites. Ce personnage n'aimait pas les chrétiens et avait des motifs personnels de leur vouloir du mal. Il avait été humilié plusieurs fois dans des disputes sur la religion, avait une inclination extrême aux idoles, et une ambition plus grande encore. De plus les bonzes de Nankin lui avaient fait un présent de 10.000 taëls afin de chasser les missionnaires.

Kio-chen prépara son plan avec beaucoup d'adresse, et envoya à l'Empereur (mai 1616) un mémoire, dont la substance « estoit, dit le P. de Semedo, nostre entrée secrète et à la desrobée dans le royaume, la promulgation d'une loy contraire à leurs idoles et à la religion de leurs ancestres... nostre finesse pour corrompre et gaigner des amis, la destruction et le renversement des principes de leur astrologie... il concluoit que pour le bien commun, il estait nécessaire de mettre à mort les Pères, et généralement tous les chrestiens, avant qu'ils eussent pris plus de pied dans le royaume ».

Voici encore quelques autres arguments tirés de l'interrogatoire des deux Pères: « Ils usurpent les titres de Ta (grand) et de Tien (ciel): ils se disent originaires de Ta-Si, et qui ne sait qu'il n'y a qu'un seul grand, le Taming

45 Misc., S III, T. XI.

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