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GIROLAMO ROSSI

DOCUMENTI INEDITI

RIGUARDANTI

LA

CHIESA DI VENTIMIGLIA

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Poche carte disseminate in diversi luoghi, relegate in polverosi volumi e perciò isolate fra di loro, possono rassomigliarsi a poveri sorsi d'acqua, caduti senza pro sopra di arse glebe; laddove riunite insieme e fra di esse accostate per la parentela che le lega, valgono talora a far sorgere qualche esile, ma benefica sorgiva, capace di far rinverdir d'erbe e rallegrare d'alcun fiore le sponde del luogo, dove essa scaturisce.

Tale è la speranza che ci è sorta alla vista dei vecchi documenti che ci vennero alle mani, i quali argomentammo di rendere di pubblica ragione col precipuo intendimento di aprirci un'agevole via a distendere una nuova Serie dei vescovi di Ventimiglia, serie che non può venir paragonata che ad un'arruffata matassa, inutilmente presa a districarsi primieramente dall'Ughelli e dal Paganetti, poi, non con miglior fortuna, dal Moroni, dal Cappelletti, dal Bima e dal Semeria.

Forse giovarono non poco a questo fine le due edizioni della storia di questa città da noi pubblicate; ma ora in sèguito alla scoperta di altre scritture, sono richieste altre correzioni ed aggiunte come pure altre cancellazioni. Non troveranno più luogo i nomi dei vescovi avanti il mille, che il canonico Bima, soffolto da un antichissimo manoscritto, inseriva nella sua Serie cronologica dei romani Pontefici e degli arcivescovi e vescovi del Regno di Sardegna e che noi, per aver trovato la conferma di varii di questi nomi in irrefutabili documenti, avevamo trascritto nelle nostre pagine. Determinati di sfuggire anche l'ombra d'ogni critico appunto, li abbiamo omessi, amando meglio vederci segnalati per povertà, che incolpati d'aver ricorso all'orpello.

Pochi cultori di storiche discipline riusciranno in alcun tempo a persuadersi delle incredibili difficoltà, da noi incontrate nel distendere la nostra storia, privi come siamo stati di ogni maniera di sussidii in patria, costretti sempre ad estrinseci ajuti, a far capo dagli Archivi di Stato di Torino e Genova, per passar quindi al Liber jurium Reipublicae Genuensis, alla Storia delle Alpi marittime del Gioffredo, ai Cartarii delle chiese di Nizza e di San Ponzio del Cais ed in modo notevole ai poderosi volumi di Gustavo Saige sul Principato di Monaco. Unico, che in Ventimiglia abbia atteso alla ricerca delle fonti, deve essere ritenuto il dotto monaco cassinese Pier Maria Giustiniani, elevato nel 1741 a questa sede vescovile.

46 Misc., S. III, T. XI.

Valente paleografo e diplomatico, avviava egli in questo genere di studi il giovane sacerdote D. Gio. Batta Lanteri da Briga da lui scelto a segretario; e d'ogni carta o pergamena sfuggite alla distruzione di chi avea per ufficio di conservarle, ordinò venisse estratta esattissima copia, dando così incominciamento alla Serie di quei Regesta documentorum che sono la più preziosa collezione di cimelii dell'Archivio vescovile. Dava così principio il Lanteri ad una non più interrotta fila di ricerche, finchè gli 'durò la vita (17221797), che incominciata coi vescovi, prosegui coi comuni, colle famiglie e soprattutto col nobilissimo casato dei Conti di Ventimiglia. Laonde si può senza tema di errare asserire, che non vi fu archivio pubblico e privato che egli non rimuginasse, traendone così la materia per la formazione delle sue Antichità liguri, che prevenuto da morte, mentre era preposto all'abbazia di S. Ponzio, dovette lasciare in tronco, dopo di averne già pubblicati i manifesti per la stampa. Il Cais ed il Saige non hanno mancato di ricordare con dovute parole di lode la memoria di questo erudito indagatore delle cose nostre; e noi aggiungeremo, non esservi stato nelle Alpi marittime chi (all'infuori del Gioffredo) l'abbia pareggiato nella pertinacia delle ricerche, non mai scompagnate dalla sana critica; nè correre di lui la fama pari al suo merito.

Che anzi il documento XVI, che chiude il piccolo mazzo da noi qui presentato e che meriterebbe da sè solo l'onore d'una monografia, è un estratto di documenti da lui riscontrati nell'Archivio prepositoriale di Sospello, che movendo dall'anno 1363 corre, non sempre cronologicamente, sino al 1487; specie di cronaca che il Lanteri distese l'anno 17501). Non tarda a rivelarsi la sua importanza, quando si giunge allo scoppio dello scisma d'occidente, che si avverte dopo la morte del vescovo Ruffino nel 1378; e che per più di trent'anni rende il luogo di Sospello residenza di tre vescovi scismatici di Ventimiglia, incominciando dal frate Roberto, incluso fin qui fra i cattolici, proseguendo con Bertrando Imberti e lasciando aperta, nella traslazione di Pietro Marinaco alla chiesa di Famagosta, la successione alla sede (non più però alla residenza), agli intrusi Bartolomeo De-Giudici e a Zaccaria Degna: particolari questi, che domandano qualche rettificazione alla memoria da noi pubblicata nell'Archivio storico italiano di Firenze (1893), avente per titolo: Un vescovo scismatico della chiesa ventimigliese.

Più che nome di spillatori di archivi, i quali tendono ad accrescere il materiale storico già troppo grande, speriamo di venire ascritti fra gli affettuosi figli di una antichissima terra, che per lunghi secoli in ogni maniera manomessa, correva pericolo di ripetere per sè quello, che si era scritto di una nobilissima città: laborat annalium fides ut Vejos fuisse credamus. Ci è parsa degna d'encomio una fatica che tentava di stenebrare la fitta caligine, che avvolge il sorgere dell'Idea cristiana in una città, che sede di Municipio romano, di Quattorviri, di Decurioni e di Augustali, era di diritto sede di episcopo; mentre tale dignità veniva diniegata dal Concilio di Laodicea (347)

(1) Gentilmente annuendo S. E. Monsignor Daffra, vescovo, ci agevolava la ricerca del pregevole documento monsignor Filippo Borea, vicario generale, ai quali porgiamo le più riverenti grazie.

non meno alle piccole città, che alle ville suddite, nelle quali anzichè concesso, veniva tollerato il corepiscopo. Tanto più che al nostro intento benigna si offerse la sorte negli scavi della città Nervina, nei quali la tradizione della Chiesa ventimigliese, sorretta fin adesso più da pie leggende, di quello che afforzata da irrefutabili testimonianze, ebbe una splendida conferma delle cristiane credenze nei simboli del pesce, dell'àncora, della palma e dalla presenza di marmi opistografi dell'epoca della persecuzione. Nè fecero difetto il monogramma cristiano e la croce unilaterale dell'epoca del trionfo, nei resti di basilica romano bizantina, rappresentati da lastre di arenaria colla croce scolpita entro rettangoli, formati da listelli che s'intrecciano in forma di nodo, prova questa che colà risiedettero i primi vescovi, costretti ad esulare dalla presenza dei Saraceni (annidati nel soprastante monte delle Maure) per riparare alla sponda opposta del Roja, dove alzando la grande vasca battesimale ottagona, attestarono, come attestano ancora oggidì, la non mai interrotta catena dei successori degli Apostoli.

GIROLAMO ROSSI.

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