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I.

Argomento e limiti del lavoro.

La questione dell'etichetta dei titoli e della precedenza diplomatica, degna di età decadenti e di spiriti bizantini, vana tanto che oggi non è possibile porvi mente senza sorridere, non ci meraviglia tuttavia in quel periodo che sottentra alle epiche lotte di predominio del 500, improntato sopra ogni altro a sfoggio di pompa e di orgoglio. Aveva avuto come. ciascun fatto della storia i suoi segni precursori, ma l'epoca cui alludiamo vi assegnò importanza caratteristica e trovasene spiegazione in cause comuni con tutti quegli altri fatti d'ordine disparato che la storia classifica col nome di secentismo. È fenomeno comune a tutti gli Stati d'Europa, anche ai più potenti, ed in Italia tuttavia appare più grave e doloroso perchè nel generale marasmo, nel silenzio di grandi cose, assurgono talora le questioni di etichetta addirittura alla dignità dei fatti più importanti di nostra vita diplomatica, anzi per alcuni Stati sono quasi l'unico avanzo di vitalità politica. Tra Savoia e Venezia, che pure al paragone degli altri dominanti nostri eccellevano, ferveva singolarmente fiera la tenzone, poichè alla superba Repubblica di S. Marco, che fatalmente, e vorrei dire inconsciamente, decadeva, non bastava serbare intatto il patrimonio del territorio italiano, voleva riservati anche i segni della potenza antica e sui principi piemontesi sosteneva il primato ufficiale, mentre questi pretendevano onori regali pari a quelli assunti dalla Repubblica che un di avevano preceduta.

Nella serie interminabile di scritture composte a tale scopo, ingombro d'archivi e di biblioteche, si trova spesso usata da coloro che sostenevano la causa di Venezia di fronte alle pretese savoine un'argomentazione che doveva suonare monito formidabile a coloro cui pesava la responsabilità di decidere l'ardua questione: la Casa di Savoia oggi domanda l'uguaglianza per pretendere domani la preminenza! Pare a noi di udire in quel monito una melanconica profezia di persone che non s'illudessero di soverchio sui destini della già invitta Venezia.

Quanto più simpatica per sana e vigorosa coscienza la condotta di un'altra repubblica d'Europa! Riferisce un ambasciatore piemontese in Inghilterra che allorquando sullo scoppiar della guerra di successione spagnola Luigi XIV credeva di allettare gli Olandesi proponendo loro d'interporsi

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presso il nuovo Re di Spagna affinchè confermasseli nel riconoscimento delle prerogative dei sovrani accordate da Filippo IV, s'ebbe risposta « che << non havevano bisogno della confirmatione di quest'atto e che la loro sovra<< nità durerebbe quanto fossero in grado di conservarsela, ma che finirebbe << facilmente quando non havessero per sostenerla che la confirmatione del<«<l'atto di ricognitione del Re di Spagna » (1).

Del resto la speciale gelosia di Venezia si comprende anche di più quando si pensi che la Casa di Savoia fondava le sue aspirazioni e pretese alla regale dignità sopra il titolo della sovranità di Cipro, tanto lungamente contesa alla Repubblica già nei secoli precedenti: ben è vero che sovrano e tiranno effettivo di Cipro era il Turco, ma se non c'era più il corpo si poteva ben contendere idealmente intorno alla veste; insomma la questione era più diretta che altrove, e fatta anche più acerba per secolare tradizione. Diventò così grave ed accanita che i due Stati, già strettamente e sinceramente uniti specie nella 2 metà del secolo XVI, interruppero nel XVII a più riprese le loro relazioni diplomatiche.

Limiterò le mie note alle vicende dello strano dibattito specialmente nel tempo della reggenza della seconda Madama Reale e nei primi anni del regno di Vittorio Amedeo II, sia perchè nessuno di quelli che trattarono direttamente o indirettamente l'argomento ne ragionò, sia perchè se ne possono trarre, oltrechè un contributo alla storia del costume diplomatico, elementi non spregevoli a lumeggiare fatti concomitanti di maggior considerazione.

II.

Relazioni Veneto-Sabaude anteriori al 1675.

Mi si permettano alcuni cenni sugli antefatti. Tralasciando altri precedenti ricorderò la politica di Emanuele Filiberto il quale, e per spirito pratico, e per sentimenti personali di sincera devozione verso la Repubblica di S. Marco, ebbe cura di evitare ogni conflitto in materia di cerimoniale. Il padre Carlo II aveva conteso la precedenza alla Repubblica, egli per lungo tempo non cedette apertamente, ma permise che i Veneti non fossero urtati; i suoi ambasciatori evitavano di mostrarsi nelle cerimonie pubbliche in cui intervenivano quelli, oppure comparivano in forma che essi non dovessero adontarsi della precedenza, come fece nel 1562 Girolamo della Rovere, vescovo di Tolone, ambasciatore sabaudo a Parigi, il quale prese parte ad una funzione in abito episcopale cogli altri vescovi.

Emanuele Filiberto del resto non solo con Venezia risparmiava le meticolosità dell'etichetta, ma altresì con altri Stati e persino colle galere dell'ordine di Malta. Contuttociò la sua longanimità non disarmava gli ambasciatori veneti i quali non trascuravano di far parti energicamente ostili

(1) Il conte Maffei al duca Vittorio Amedeo II, dispaccio da Londra 26 gennaio 1701, Arch. di Stato, Torino. Lettere ministri Inghilterra.

alle varie corti e specialmente in Roma per evitare che gl'inviati di Savoia godessero il privilegio della sala regia accordata una volta da Pio IV e pretesa sotto Pio V appoggiandosi al titolo di Cipro. Nei casi più gravi su tale argomento il Duca evitava di pronunciarsi; anche nel 1572 uno scacco umiliante che il marchese Filippo d'Este genero del Duca, inviato a Roma, subi a petto dell'ambasciatore veneto fu messo in tacere.

Alla fine poi Emanuele Filiberto volle dare piena soddisfazione alla Repubblica dichiarava infatti nel giugno 1574 al Molin, nell' occasione dell'invio a Roma di Gio. Federico Madruzzo, che la di lui commissione era di onorare sempre gli ambasciatori di S. Marco e cercare l'occasione di esser loro utile, mostrando pubblicamente ch'egli non intendeva più di contrastare loro la precedenza (1). Di nuovo nel 1578 per evitare la facile suscettibilità di Venezia s'affrettava a smentire ufficialmente la voce ch'egli aspirasse al titolo di Re ed alla rivendicazione di preminenze facendo dichiarare dall'ambasciatore straordinario Conte di Verrua come collocasse la preziosa amicizia della Serenissima al di sopra di meschini puntigli (2).

Il fatto è tanto più importante in un tempo in cui anche i maggiori sovrani di Europa facevano di tale privilegio una questione d'onore. Che fosse ciò indizio di minor fierezza in un principe illustre che la mostrò sempre vigorosissima nessuno oserà certo affermare; attenterei di dire ch'egli anzi si mostrava superiore ai contemporanei ed a quelli di sua casa che s'attennero in seguito a politica più meschina.

La Repubblica di S. Marco riconoscente di tal fatto e memore delle cospicue benemerenze di Emanuele Filiberto non solo accordavagli la distinzione del titolo di Altezza Serenissima, invano, e con gran dispetto, ripetutamente sollecitato dai signori di Ferrara, Mantova, e persin dal Granduca, ma volle aggiungere, come ognun sa, alle altre onoranze quella del patriziato. Quanto a Cipro, argomento scottante di contrasto che bastava mettere sul tappeto per crear malumori a Venezia, Emanuele Filiberto, sebbene affermasse egli pure il valore innegabile dei documenti cui si appoggiavano le ragioni savoine, riconosciute con apposita ambasciata di Carlo II alla Repubblica nel 1530, non fece tuttavia gran puntiglio, anzi non vedendo come di tali ragioni potesse trar frutto, era anche disposto a deporle.

L'ambasciatore Malopera nel 1561, mentre domandava pel Duca l'alleanza della Repubblica, l'appoggio per il conquisto di Ginevra colorito come

(1) A. SEGRE; Emanuele Filiberto e la Repubblica di Venezia. Venezia, Visentini 1901, pp. 121-27; 242-47; 258-62.

(2) Archivio di Stato di Torino: Cerimoniale Venezia, mazzo I, 12. « Instruttione a voi << Conte di Verrua nostro consigliere di stato di quello che haverete da fare a Venetia per <<< nostro servitio (omissis)... Doppo che haverete fatto questo ufficio direte a Sua Serenità che <col mezzo di questa occasione vi habbiamo dato carico di farle intendere che da molte << parti siamo avvisati essersi sparsa voce che noi procuravamo accrescimento di titolo < [apresso S. Ma Cesa di ottenere titolo di Re] sopra di che puotrete assicurare Sua Sertà et << quella Ilma repubca che insino adesso non ce' [mai] caduto tal cosa in pensiero, e che quando pur ciò o altra cosa simile seguisse puotranno star sicuri che per qualsivoglia causa [novo titolo] non saremo mai per contendere con essi loro di precedenza la quale tanto « liberamente et di nostro buon grado gli habbiamo ceduta [et che non haveranno mai da << dubitare che noi siamo mai per innovare in ciò cosa alcuna facendo noi maggiore stima << de la conservatione di loro amicitia che di qualsivoglia preminenza che potessimo di nuovo acquistare. Date in Turino alli .. d'aprile 1578 ». - NB. Le parti fra parentesi sono cancellature nella bozza originale.

«

impresa di religione e l'approvazione della nomina agognata di esecutore come capitano generale delle deliberazioni del concilio di Trento, fece al Senato offerta ufficiale di tale rinuncia, la quale però venne rifiutata con dispetto, affermandosi che il dominio di S. Marco da cento anni incontrastato sull'isola dei Lusignano non lasciava luogo nemmeno a parlare dell'argomento. Emanuele Filiberto a salvar la dignità sconfessò l'ambasciatore e trascurò la vana contesa (1).

La voce che Solimano II offrisse al Duca di Savoia l'isola di Cipro da togliere con le forze unite ai Veneziani è, secondo alcuni, mera leggenda: la storia registra soltanto come Emanuele Filiberto con ardore sincero s'adoprò all'impresa europea contro il Turco dopo il drammatico assalto dell'isola e non ottenendone l'ambito supremo comando, contrastatogli dalla gelosia spagnola non meno che dal ricordo delle pretese savoine, nobilmente si vendicò della Repubblica, non solo assistendola con preziosi consigli e autorevoli uffici presso i pigri potentati d'Europa, ma accordando a lei malgrado ingenerose ostili pressioni, più generoso di tutti, grani abbondanti, armi, milizie valorose e ammirati navigli (2).

La Repubblica di S. Marco, che fu sinceramente amica di Emanuele Filiberto durante la vita sua, lo ricordava ancora al principio del secolo XVIII, riassumendo le vicende delle contese di cerimoniale colla Casa di Savoia, e lo vantava principe saggio (3).

Sotto Carlo Emanuele I la questione del cerimoniale fu risollevata e specialmente per gelosia del titolo granducale conseguito dalla Casa dei Medici: nel 1588, quando pareva per giunta che il Granduca fosse sul punto di ottenere titolo di re, avendo per esso offerto a Filippo II tre milioni d'oro come sussidio all'impresa d'Inghilterra, il Duca di Savoia non era alieno dall'idea di rintuzzare l'ambizione dell'emulo, secondo la massima di Emanuele Filiberto: & quando il Granduca procurerà di mettermi il piede innanzi col« l'oro io mi affaticherò di farglielo ritirare col ferro ». Però a tale espressione di bellicosi spiriti associando astuzia diplomatica, trovò buona l'occasione per insistere presso la Repubblica di Venezia, gelosa di qualunque incremento di alleanze spagnole in Italia, perchè a lui rinunciasse le proprie ragioni sopra il regno ormai perduto di Cipro: nello stesso anno ricorreva al Papa perchè appoggiasse le sue pretese regali presso il Cattolico. Ma benchè si trattasse di mero fumo e di un regno perduto trovò nel Senato veneto vivacissima opposizione come quando la Repubblica ancora teneva l'isola: temevasi che il Duca di Savoia potesse un giorno appoggiarsi a quel vano titolo per riacquistare effettivamente il regno, con un'impresa di cui, almeno a parole, il Governo di S. Marco non aveva deposto per proprio conto il pensiero e la speranza. Cosi appunto esprimevasi col Duca l'ambasciatore Vendramin: « Sebben la Repubblica era stata spogliata di quel regno con forza sì potente dagli inimici della santa fede, si poteva ben credere che non fossero estinti nel

(D) SEGRE, op. cit., p. 66-72.

SIGRE, op. cit. Id. Lo marina miï tare sabauda ai tempi di E. Filiberto (Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, 1897-95).

(3) Relazione ms, di ser Altise. Mocenigo a đì 20 dic. 1706. Arch. di Stato di Venezia.

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