Fu destinata Bologna nell' anno G.P. 1529. per un congresso tra Clemente VII. e Carlo V., onde trattarvi affari importantissimi, e procurare una pace universale. S'ingegnò il nostro Duca di fare in modo, che Cesare passasse per Reggio e Modena, e portatosi anch' egli colà lo fece servire magnificamente con tutta la sua Corte, e la numerosa sua soldatesca (a). Abboccossi con lui, e trattò sì bene la sua causa, che non solo fece co- • noscere a quel Monarca, e a tutti i suoi Ministri l'elevatezza del suo spirito, e la robustezza delle sue ragioni, ma ne guadagnò ancora la confidenza, e la promessa della sua mediazione col disgustato Pontefice (b). Segui il congresso de' due Sovrani in quella Città. Raccontan le Storie gli oggetti, che vi appianarono; quando si venne a parlare a parlare del nostro Duca, allora fu che insorsero le maggiori difficoltà. Il Papa fece sapere ad Alfonso, che tutto cedesse, perchè quanto si aveva era tutto di
ze del figlio Ercole con Madama Renea di Francia, ed avea condisceso, che il figlio medesimo fosse eletto dai Fiorentini in loro Capitano Generale (Frizzi ibid. pag 286. 238.) (a) Muratori ibid. pag. 355. (b) Frizzi ibid. pag. 290.
G.E. pertinenza della Chiesa, ed esso a-G.P. vea tutto demeritato colle sue repli- cate ribellioni. Fece rispondergli il Duca in termini rispettosi, ma riso- luti, che avrebbe sottoposte le sue ragioni a Cesare, e che quando non gli fosse accordato un tal Giudice, era fermo di difendersi sino all' ulti- mo fiato (a). Questa energica rispo- sta gli fu quasi un nuovo delitto. Ciò non ostante egli non lasciò di mandar come prima ad entrambi i Sovrani de' copiosi e squisiti regali di com- mestibili, che venivano graziosamen- te accolti. Per altro non gli toccò di assistere alle splendide coronazio- ni, che ivi fece il Papa di Cesare li 22. e 24. Febbrajo del 1530., e che 1530 furon le ultime, del Regno Italico o Longobardico, e dell' Imperio Roma- no fatte per mano del sommo Ponte- fice non volle Clemente accordargli il permesso d' intervenirvi. Siccome però non piaceva a Carlo di partir dall' Italia con lasciarvi questo seme di discordia, così il nostro Duca ot- tenne nel seguente Marzo di portarsi colà con salvo condotto a far sentire ad entrambi le sue ragioni. Egli vi andò di fatto con sessanta persone di
(a) Muratori ibid. pag. 357. Frizzi ib. pag. 291.
C.E. seguito, e disputò lungamente de' suoi G. diritti, e della necessità, in cui si era trovato di usare dell' armi, e gli riuscì di stipulare in quel mese un compromesso in Carlo V. (a).
6. Si divisero que' Sovrani l'uno per Roma, e l'altro per la Germania prendendo la via di Modena, e di Mantova, nella quale fu accompagnato da Alfonso. Proseguì l'Imperadore il suo viaggio, e frattanto nel Castello di Modena, che il nostro Duca avea dato in deposito a Carlo in coerenza del convenuto tra esso ed il Papa, si cominciò il processo per ischiarire i fatti, e le ragioni. Per l'Imperadore vi presedette D. Cesare Zappata di Cardenas Spagnuolo, il Vicelegato di Bologna per il Papa, e pel nostro Duca il Consigliero Alvarotti, il Giurisconsulto Filippo Rodi, ed il Procuratore Gaspare Mazzoni, tre nostri Cittadini per sapere, e per fedeltà distinti. Molti esami si fecero di persone, e di documenti antichi e moderni, che furon levati dagli Archivj di Roma, di Ferrara, e di Ravenna. Terminati che furono nelle forme legali, fu spedito il processo nelle Fiandre, dove
(a) Muratori ibid. pag. 358.
G. E. trovavasi l' Imperadore. Vedendo egliG. P. la voluminosa sua mole, e dovendo attendere ad altri pensieri di grandissima rilevanza, ai quali di fresco erasi aggiunta la controversia di Arrigo VIII. Re d'Inghilterra intorno alla validità del suo matrimonio con Caterina già vedova di Arturo suo fratello, e figlia di Ferdinando Re di Castiglia, ne differì il giudizio (a). Alti 21. pe
(a) Arrigo avea contratto tal Matrimonio con di- spensa del Pontefice Giulio II. Ora preso da passione verso di Anna Bolena pretese, che il Papa non potesse dispensare validamente dall' impedimento di affinità nel primo grado. Cercò Teologi da tutte le parti i quali gli facessero il voto favorevole. Ne cercò in tut- te le Università dell' Italia, ed anche nella nostra, facendo girare a questo oggetto l' In- glese Riccardo Crocco. Presso noi l'affare fa appoggiato al dottissimo Can. Celio Calcagni- ni. Esamind egli il punto, e rilevasi dalle sue lettere dirette a quell' Inglese, ch' egli - propendeva all' opinione bramata da quel Re, ma che voleva purgare il suo voto, tanto più che avea incontrate delle forti difficoltà negli altri Teologi e Canonisti. Raccomandavasi però di segretezza, allorchè gli avrebbe man- dato il suo parere, forse per non urtare il nostro Duea Alfonso, ch'era per l'Imperado- re Carlo V. nipote di Caterina, se mai il vo- to suo fosse stato per la libertà del Re, non urtare il Re medesimo 9 se mai gli fosse stato contrario. Ignorasi, se il Calcagnini ed altri de' nostri abbiano poi spedito il loro voto, qualunque si fosse. Il certo però pur-
rò di Dicembre decise finalmente la G. P. celebre lite nel mentre ch'ei dimora- va in Colonia. Ne sospese per altro la pubblicazione sino ad Aprile dell' anno seguente, e allora si seppero gli 1531 articoli, che conteneva. Tiene nel suo Laudo una via di moderazione, equità, che dovea appagare non so- lo il Duca, ma ancora il Papa, e por- ta in sostanza: 1. che Alfonso paghi al Papa cento mila ducati d'oro in due rate per una sola volta, e poi
troppo si è, che Arrigo seguì la sua passio ne. Ripudiò Caterina, dalla quale aveva avu- ti tre maschj ed una feinmina. Sposò Anna Bolena e separò quell'illustre Regno dalla cattolica Fede, e dall' Unità della Chiesa fa- cendosi Capo egli stesso della Religione in Inghilterra; separazione funestissima, che du- ra anche al presente. Sotto il governo di lui, e per effetto della sua violenza furono rove- sciati in quel Regno dieci mila Tempj, e trecento sessantasei Monasterj nel solo anno 1538.; applicati i loro beni al Fisco, e moz- zo il capo ad un numero grandissimo di Cat- tolici che ricusarono di aderire alla aposta- sia di lui. Si contano tra questi i due Uo- mini più insigui del Regno, Tommaso Moro gran Cancelliere, e Fischer Vescovo di Roc. cestre; e si giunse a non perdonare nemme- no alla memoria di S. Tommaso Vescovo di Cantuaria, il quale fu citato dinanzi al tri- bunale d' Arrigo, condannato come reo di le- sa Maestà, scancellato dal ruclo de' Santi, ab- bruciate le sue ossa e indi gittate le cene- ti al vento. A questi eccessi si lasciò traspor-
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