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Abruzzi, ricostruendo nella sua mente l'antico monastero imperiale dalle forme gigantesche, dai chiostri e dalle molteplici basiliche scintillanti d'oro e di mosaici, prova una vera disillusione quando, guadagnata quella ventina di chilometri che separano San Salvatore da Rieti, trova che l'olivo e la vite crescono rigogliosi su quelle zolle ove altra volta era un tempio sacro alla scienza e alla civiltà.

La chiesa, altra volta a tre navi precedute da un portico, colla cattedra marmorea in fondo all' abside, non conserva di antico che degli avanzi del pavimento cosmatesco e alcuni affreschi nel catino absidale e sulle pareti della sacrestia. Ma la figura gigantesca del Salvatore che troneggiava maestosa in mezzo all'abside, è stata più volte deturpata da posteriori restauri, dai quali non riuscirono a scampare neppure i quadri della sacrestia colla vita di s. Benedetto. La massiccia torre campanaria, a sinistra dell' abside, fa un po' l'effetto d' un vecchio veterano delle guerre del l' Indipendenza, i cui bianchi capelli s'impongono al rispetto delle giovani generazioni: le vecchie campane scno scomparse, e l'unica che ancora vi rimane è fessa ed aspetta il migliore offerente per finire in qualche fonderia. L'edificio monastico, abbastanza vasto e distribuito in varî chiostri, ambulacri ed aule, conserva numerose traccie dell'antica grandezza dei suoi abitanti; epigrafi numerose adoperate nei pavimenti, colonne di granito, che sostengono le minaccianti volte, capitelli e cornici romane ridotte a semplice materiale di costruzione, un sarcofago di marmo fornito d'iscrizione, avvilito all'uso di abbeveratoio per i cavalli e le vacche.

Il monastero oggi appartiene alla mensa episcopale di Poggio Mirteto, i di cui vescovi s'intitolano appunto abbati di San Salvator Maggiore, ma vi ha an

che dei diritti il seminario di Rieti, senza che tutte queste alte protezioni e commendatizie valgano punto a salvarlo dalla rovina a cui fatalmente va incontro in questo stato d'abbandono e di desolazione. La collina tra Longone e Vaccareccia, su cui s'eleva la badia, nei documenti del secolo VIII è chiamata « Laete« nanum » o « Boianum », doppia nomenclatura che indicava forse la località e il « fundus » a cui apparteneva.

A differenza di Farfa, con cui San Salvatore ebbe comuni tante pagine di storia, le origini della badia letenanese non sono punto avvolte nel velo della leggenda; ma ci sfuggirebbe tuttavia l'anno della fondazione se non lo rilevassimo dai Fasti Farfensi conservatici nel secolo XI da Gregorio di Catino: « Anno « DCCXXXV, indictione III, coenobium Domini Sal<< vatoris aedificatur in Laetaniis » (1). La nota, interpretata poco esattamente dal cronista, che scambiò il << Laetenanum » colle litanie, deriva sicuramente da una fonte più antica, e nulla vieta di ritenere esatta la cronologia, mentre al principio del secolo XI l'abbate Ugo I compié nell' archivio Farfense altre ricerche storiche appunto sul monastero di San Salvatore (2).

Ho già trattato altrove delle condizioni giuridiche dei monasteri imperiali d' Italia nel periodo carolingio, facendo derivare il « ius palatii » sulle badie palatine dal patronato longobardo sugli edifici cultuali e dal mundio regio o ducale che gravava sui guargangi, stranieri alla città longobarda. Infatti, il più delle volte l'imperialismo monasteriale costituisce l' ultimo termine dell'evoluzione giuridica degli istituti sacri nel regno

(1) Reg. Farf. II, 12.
(2) Op. cit. V, 285-6.

dei Longobardi, onde non sarebbe un' ipotesi troppo arrischiata se, in mancanza d'altri documenti, dal carattere imperiale di San Salvator Maggiore ne attribuissimo la fondazione a qualche nobile guargango franco, o a qualche esule monaco savoiardo, o dell'Aquitania venuto a pellegrinare in Italia. Anche Farfa, per oltre un secolo, reclutò i suoi primi abbati tra questi nobili rampolli delle più celebri famiglie franche, sospinte in Italia più ancora dalla devozione e dalla poesia che dalla guerra, che desolava il loro paese; ed è notevole che i monasteri fondati da questi esuli guargangi abbiano ritrovato nel mundio regio o ducale le condizioni più favorevoli per raggiungere un alto grado di potenza e di ricchezza, mentre gli altri fondati da cittadini longobardi, e quindi immuni dalla tutela del sovrano, non hanno lasciato quasi traccia della loro breve esistenza. Farfa, San Salvatore, sant' Andrea sul Soratte, san Vincenzo al Volturno, Monte Cassino sono tutti monasteri eretti o risuscitati da guargangi e che perciò vennero considerati come palatini ed imperiali, mentre San Pietro di Ferentillo tuttoché fondato dal duca Faroaldo di Spoleto, San Pie tro di Classicella eretto dal duca Trasmondo per sua madre, San Giorgio di Spoleto, fondato dai duchi Lupo ed Ermelinda, per non dire di molti altri, non poterono mai giungere a tale grado d'onore e di potenza.

Ciò che è certo si è che il monastero di San Salvator Maggiore, favorito insin dai primordi dai gastaldi di Rieti, dai duchi Spoletani e dai papi, nel secolo VIII possedeva già un patrimonio tanto vasto che, ad impedire una collisione coi farfensi, i quali aspiravano a dilatarsi nell' Umbria e nelle Marche, convenne stipulare degli accordi e delle permute di fondi, di cui il Regesto farfense ci ha conservato soltanto qualche carta.

L'archivio di San Salvatore, se pure altra volta ve ne fu uno, da lunghi secoli è scomparso e disperso; onde conviene ricostituire la storia della famosa badia spigolando qua e là negli antichi regesti, dichiarandoci d'altra parte ben lieti di raccogliere delle note sporadiche e frammentarie, tanto più preziose quanto sono più rare.

A differenza di Farfa che, nei primi anni del suo restauro sotto l'abbate Tommaso di Morienna conobbe le strettezze della povertà e dell'isolamento, sembra che San Salvatore abbia inaugurato la sua vita storica all'ombra del castaldato di Rieti, circondata dagli agi e dalla simpatia dei ricchi che già preludevano a quell'alto grado di potenza che avrebbe raggiunto coi secoli. Infatti una quindicina d'anni dopo la sua fondazione la badia è già signora di terre e di casali, così che ritroviamo che nel novembre 752 (in cui ricorreva la sesta indizione e l'anno quarto di Astolfo) Teuto, monaco di San Salvatore, vendé a Farfa il casale Lunghezza al prezzo di venti libre d'argento (1). L'accordo fu stipulato a Rieti, e tra i testimoni si ricordano Adroald, abbate di San Salvatore, coi monaci Anastasio e Nonno (2).

Nel 768, mentre Desiderio ed Adelchi facevano leve di soldati a rafforzare contro i Franchi il vacil

(1) Reg. Farf. II, 43-44.

(2) «

<< scripsi.

Ego in Dei nomine Adroald abbas consensi et sub-
In Dei nomine Anastasius indignus presbyter et

< monachus subscripsi. In Dei nomine Nonnus, etsi indignus << monachus, subscripsi »: Reg. Farf. 1. cit. La vendita venne probabilmente fatta dal monaco Teuto nell'atto della sua consacrazione monastica, quando i canoni l'obligavano ad alienare da sé il proprio patrimonio. L'abbate Adroald dà valore giuridico all'accordo col proprio consenso, mentre i due monaci fungono soltanto da testimoni.

lante trono longobardo, un tal coscritto Teuderacius, prima di partire per la Lombardia, fece il suo testamento, disponendo in gran parte del proprio patrimonio a favore di Farfa. Non dimenticò tuttavia il monastero del Salvatore, e prevedendo possibile la morte in quella spedizione militare stabili: « Dum in ista << via dirigimus in Transpadum de dominatione domi<< norum nostrorum, viam agendo vel faciendo... in << monastero Domini et Salvatoris, quod situm est in << Laetenano, deputamus casalem nostrum in villa Ve<< neria, quem habuimus prope Alipertum et Teude<< radum germanos, cum terris et silvis et omnibus in << integrum. Et si mihi mors venerit, a praesenti sit << datus iste casalis in monasterio Domini et Salva<< toris » (1).

Sembra che il governo dell' abbate Adroald si sia protratto almeno per oltre ventitre anni, giacché lo ritroviamo ricordato in un' altra carta del luglio 775. in cui Aimone di Viterbo insieme col figlio Pietro of frono alla badia la propria porzione « de oratorio San<<< cti Salvatoris territorii Tuscanensis, quam presentes

suprascriptae mulieris meae (Anstrudae) a funda<< mento aedificarunt; seu et portione mea de curte << in Tarnano et Calbitiano cum suis pertinentiis, unde << iam antea indicatum emisi monasterio Sancti Salva<< toris territorii Reatini, ubi Atroaldus venerabilis ab<<bas esse videtur; quod volo ut sic permaneat, sicut << in ipso iudicato continetur diebus vitae meae. Nam << quidquid de istis suprascriptis tribus locis... in por<< tionem Petro, filio meo, contingere videtur, volumus <<< ut ambae partes a praesenti die sint in potestate et << iure suprascripti monasterii Sanctae Mariae ... » (2).

(1) Reg. Farf. II, 72.

(2) Op. cit. II, 85-6.

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