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Orlando, che voleva con buone arti conservare la dignità ottenuta con mezzi ingiusti, costrinsero l'Hojeda a partirsi da S. Domingo. Ma Ferdinando di Guevara irritato contro al Giudice che non gli avea lasciato sposare una indiana principessa di Suragna, unitosi con un tal Adriano, uomo facinoroso, tentò levar di vita l'Orlando. Il disegno non sortì l'effetto: un laccio liberò l'isola dall' Adriano; e il Guevara andò a meditare nel fondo di una prigione.

Ma più terribil congiura si formava nella Spagna da' malcontenti colà ritornati. I quali fermandosi per le vie, ove i Monarchi dovean passare, gridavano ad alta voce contro l'Ammiraglio; e se s'incontravano a vederne i due figlj Diego e Ferdinando, paggi della Regina, gli caricavano di villanie con le più ignominiose parole del mondo. Per che i Monarchi commossi da tante voci, da' maneggi segreti del Fonseca, ed avendoli più volte supplicati lo stesso Cristoforo a mandare un Giudice nelle Indie, con autorità di provvedere a' disordini, e punire i malvagj, nominarono a tal effetto Francesco di Bovadiglia, Commendatore dell' ordine di Calatrava. Quest'uomo indegno, giunse a S. Domingo sul cadere di agosto nel 1500, portando molte lettere bianche sottoscritte dai Sovrani; ed una secreta istruzione, che se trovasse reo l'Ammiraglio, mandasselo prigione alla Corte; ed egli succedesse nel Governo. Ora, come poteva lo scopritore del nuovo mondo apparire innocente, avendo ad essere giudicato da un povero gentiluomo, eletto a tal carico dal Fonseca nemico dell'accusato, e che dovea stabilire la sua fortuna sulle rovine del Colombo? Le indegnità operate dal Bovadiglia si leggono nella lettera dell' Eroe alla nutrice del Principe Reale di Spagna, che si troverà in questo Codice. Noi diremo soltanto, che standosi

allora l'Ammiraglio nel Castello della Concezione, combattuto dagl' Indiani e da' perfidi Europei, il Commendatore dichiarò se stesso Prefetto del Governo, si adagiò nella casa di Cristoforo a S. Domingo; se ne appropriò tutti i beni, sequestrò le carte: favoriva tutti coloro, che più calunniosamente ne sparlavano: donava a2 sediziosi le terre, l'oro, e gl' isolani, distruggendo la Colonia per farsegli amici. L'Ammiraglio avuta la lettera de' Monarchi, inviatagli dal Bovadiglia, nella quale gli comandavano di ubbidire al Commendatore, andò a porsi nelle sue mani; avendo prima ordinato a' suoi fratelli, che si sottomettessero al regio ministro: Così l'Eroe, poi Diego, ed in ultimo Bartolommeo, furono posti in fondo di una nave, serrati ne' ceppi, con ordine che niuno potesse lor favellare. Al capitano del naviglio Andrea Martin comandò l'iniquo Commendatore che consegnasse i tre fratelli al Fonseca. Voleva il Mar tin, allontanati che furono da S. Domingo, sferrare il Colombo; ma l'Eroe rispose; che i ceppi postigli per volontà de' Sovrani, niun altro gli potea sciogliere, se non che i Sovrani medesimi: volerli serbare come reliquie, a perpetua testimonianza del premio che la Spagna dava a colui che le aveva aperto un nuovo mondo. Entrata la nave nel porto di Cadice, scrisse il Colombo una lettera ai Monarchi, datata il 20 novembre 1500, esponendo in essa, ch'egli co' fratelli veniva in ceppi. Fernando ed Isabella n' ebber vergogna; ordinarono che fosser posti in libertà; e che l'Ammiraglio andasse alla Corte in Granata, ove fu accolto dalle loro Altezze con lieto volto e con dolci parole.

Poco stette il Colombo a conoscere, che l'accoglimento cortese non era che un velo, onde cuoprire agli occhi del mondo la mo

struosa ingratitudine, della quale egli esser dovea la vittima. I Monarchi di Spagna soscrissero nel 1501, addì 27 settembre una declaratoria intorno all'azienda dell'Eroe (Cod. facc. 246) nella quale determinan quanto, e come, si debba restituire di ciò che il Bovadiglia aveva a lui rapito. E tal declaratoria è contraria a' privilegj e diritti del Colombo; il quale si difese con due scritture, che ora per la prima volta compariscono in questo Codice (Doc. 42 e 43). Ma la Corte, mettendo in non cale le ragioni di lui, spedì la declaratoria al Commendator di Lares, dato per successore all' infame Bovadiglia nel governo della Spagnuola; acciocchè a norma della regia dichiarazione facesse restituire i beni usurpati all' Ammiraglio. Osservisi ancora, che nelle regie carte spedite dopo la prigionia di Cristoforo si ommette il titolo di nostro Vicerè e Governatore delle Indie, quasi che le accuse de' sediziosi, e la violenza praticata dal Bovadiglia senza veruna forma legale, fosser motivi sufficienti a spogliare il Discopritore di quelle due prerogative così importanti. Intanto quell'uomo che alla Spagna avea dato un nuovo emisfero, viveva miseramente in quel regno; non aveva casa propria; leva desinare, cenare, o dormire, come scrive egli stesso nella lettera ristampata dal Bossi (facc. 211) non aveva, salvo l'osteria, ultimo refugio; e il più delle volte non sapea di che pagare lo scotto. L'ingratitudine della Corte, il disprezzo degli Spagnuoli, e la povertà, nella quale si trovava ravvolto con tutti i suoi, gli strapparono dalla penna que' tratti alquanto amari, ma sinceri, che si leggono nella sua lettera alla nutrice del Principe Reale, e nell'altra dianzi citata. Allora fu ch' egli pensò nuovamente all' Italia, e a Genova sua patria. Coltivò l'amicizia di Nicolò Oderico, ambascia

tore de' genovesi nella Spagna, e di Angelo Trevisani, Segretario dell'Ambasciator veneziano alla stessa Corte. All'Oderico mandò due copie de' privilegj ottenuti da' Monarchi di Spagna, a perenne memoria delle sue imprese, e probabilmente della triste mercede che ne aveva ottenuta: una copia somigliante aveane promessa in Granata nel 1501 al Trevisani; ma non sappiamo, se la cosa ricevesse

esecuzione.

Pareva oggimai, che l'Eroe più non pensasse al nuovo mondo; e che il Ministero si compiacesse di lasciarlo confuso nell'avvilimento, e nella povertà. Pur alla fine si deliberò di occuparlo in un quarto viaggio; con espressa condizione (Doc. XLI) che nell'andare all' Indie occidentali non toccasse la Spagnuola; e soltanto nel ritorno potesse fermarvisi alcun poco in caso di necessità. Ottenne di potervi condurre Ferdinando suo figlio, allora in età di 12 anni, e che la razione (raçion) a lui spettante, come paggio della Regina, fosse data al primogenito D. Diego. Andò con lui anche il fratello Bartolommeo, e un gentiluomo genovese, genovese, personaggio di gran cuore, chiamato Bartolommeo Fieschi. La squadra formata di quattro navigli con 150 persone, partì dal canale di Cadice a' 9 maggio 1502. La storia di questo viaggio si ha nella lettera del Colombo più volte citata, riprodotta dal Bossi. Qual noi l'abbiamo alle stampe, è in rozza lingua italiana, con molti idiotismi genovesi; e questa osservazione ne può far credere, che la traduzione sia lavoro del Fieschi. Vuolsi notare che nell'edizione si trovano queste parole (facc. 209): « Dun» que ogni fiata, Lettore, che troverai leghe, caverai per discre» zione quanti miglia saranno. » È chiaro, non essere queste parole, se non che una postilla marginale, intrusa nel testo. Tornando

al viaggio, il Colombo passò dalle Canarie alle isole occidentali in 16 giorni. E perchè una Caravella veleggiava male, andò a S. Domingo per commutarla; e per salvarsi nel porto da una orribile tempesta, che prevedeva assai vicina. Il Commendator di Lares non volle che entrasse ; ed avvisato dall' Eroe a non lasciar salpare per otto giorni un convojo di 28 navigli, che ritornava in Europa, sprezzò l'avvertimento. Venne la procella; delle 4 navi del Colombo niuna si perdette, quantunque sopportassero incredibil travaglio; ma di quelle 28 se ne affondaron 24, sopra le quali era il Bovadiglia con gli altri congiurati, e colla miglior parte de' tesori tolti all' Eroe, ed a' miseri indiani. Seguitando Cristoforo la sua navigazione toccò il porto del Brasile; le isole Pozze, e quella di Guanari; in questa sbarcò Bartolommeo suo fratello per aver notizia di quegl' isolani, e pigliò una canoa, che aveva una coperta di foglie di palma; la guidavano 25 uomini; e sotto la coperta stavano le donne, i fanciulli e le merci. Si maravigliarono gli europei di due cose; che le femmine si cuoprivano come le more di Granata con un lenzuolo di bambagia; e che gli uomini avean coltelli di rame. Continuando il viaggio con la speranza di trovare uno stretto in fondo del gran golfo, che noi chiamiamo del Messico, costeggiavano la terra ferma; della quale, a' 17 agosto 1502, Bartolommeo Colombo, Prefetto delle Indie, prese il possesso con le solite formalità. Ma una tempesta, delle più orribili che mai si vedessero, turbò il piacere de' naviganti: per molti giorni non viddero nè sole, nè stelle: le vele rotte, le ancore perdute, i navigli aperti facevano palpitare i.più audaci marinaj: Cristoforo infermo di gotta, e di afflizioni, si attristava del piccolo figlio e del fratello ch'egli quasi per forza avea condotto, e affida

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