Al mio proposito giova, costatato il fatto, indagare se le condizioni del popolo in altre città fossero adatte ad accogliere quelle idee, alterandole magari, ma accrescendone l'energia, come di quegli effetti che si ritorcono sulle cause. Il campo della mia ricerca è nuovo, poichè dell' espansione di questo fenomeno religioso si è cercato soprattutto la causa nel Papato avignonese, nella corruzione del clero e nella mala signoria specialmente sulle terre della Chiesa. Chi consideri la prima metà del '300, che pur segna nei Comuni più floridi, come il fiorentino, un elevato grado di ricchezza industriale, osserverà alcuni fatti che contrastano con quella ricchezza. Si noti infatti: 1) il numero sempre più crescente, e talvolta in misura quasi spaventevole, dei poveri delle città; 2) la difficoltà sempre più ardua di approvigionamento delle città per le continue carestie; 3) le malattie contagiose e per colmo la peste. Quando quest'ultima si aggiunse alle altre calamità. si manifestò quella forma morbosa di religione che è propria della mente turbata dalla paura di gravi pericoli. L'Autore degli Annali ecclesiastici, dando notizia della peste del 1349 scoppiata in Germania, riporta alcune osservazioni di cronisti contemporanei Quo tempore plerique merito mortales arbitrati gravissimo illo flagello a Deo ob crimina corripi, ad poenitentiae arma confugere seque flagris caedere ceperunt ut voluntaria corporis maceratione coelestes iras placarent »> (1). Sia pure non del tutto ammissibile il detto di TaDeos timor fecit »; è certo però che simili morbose manifestazioni di religione avvengono quando nei cito momenti di paura è concepito un Dio adirato, vendicatore, che bisogna placare con il sacrificio. Il quale assume una forma che è in relazione al grado di sviluppo di quel popolo e al genere di pericolo che lo colpisce. Dopo simile considerazione passerei ad analoga per l'altra forma di calamità che affliggeva allora l'Europa: la fame. Anche quella la dissero i contemporanei flagello di Dio per i peccati degli uomini. Dopo una tale premessa era facile considerare la ricchezza come causa di peccati e dell' ira di Dio. La povertà e il digiuno, che erano i tormenti di cui più si doleva allora l'Umanità, apparivano come le prove più adattate per il sacrificio. Quando una moltitudine si ubbriaca di simili idee trascina dietro a sè proseliti per quel contagio che hanno le idee come i mali; ed i proseliti venivano numerosi dalle campagne abbandonate, dalle città piene di poveri, da ogni luogo in cui la miseria avesse, tormentando il corpo, turbato lo spirito. A questo esaltamento e contagio di idee religiose, che ha pure relazione con coefficenti economici, è da aggiungere l'altro, che a più riprese si manifesta dalla metà del XIII secolo in poi, di numerosi stuoli di flagellanti, che vanno di città in città, laceri e mal vestiti, torturando sè stessi in continue macerazioni. Ed è per me assai notevole la leggenda raccolta da Giovanni Sercambi dalla viva voce dei Flagellanti che nelle loro peregrinazioni predicavano che Cristo era apparso ad un contadino, al quale aveva provato di essere Cristo in persona miracolosamente con un sacco che da vuoto era divenuto pieno di pane ('). (1) Le Croniche di GIOVANNI SERCAMBI pubblicate sui manoscritti originali a cura di SALVATORE BONGI, in pubblicazioni dell'Istituto storico italiano. Roma, 1892; Vol. II, p. 344. La persona che ha la visione e il miracolo compiuto mostrano il fondo tutto popolare della leggenda ed il suo carattere. Accanto a questa leggenda il Sercambi riferisce una profezia, nella quale si dice che nessuno pone rimedio alla pace del mondo; « e poichè le signorie, nè i prelati, nè i savi non si muovono, vuole la divina misericordia,. che in nelli huomini grossi et materiali si dimostri la sua potentia (1). Tutto ciò che fin qui si è detto può dimostrare la relazione che corre tra le condizioni del popolo e il grado di sviluppo del pensiero religioso; ma tutto ciò parrebbe fosse in contraddizione con la nostra tesi, con la quale vogliamo dimostrare un'influenza, sia pure indiretta, di questo momento di vita religiosa sullo spirito di ribellione che anima il popolo minuto. Infatti, mentre questo nelle sue rivolte mirava ad un miglioramento politico ed economico, i Minoriti, i Flagellanti tendevano all' effetto contrario, abbracciando quella povertà, della quale appunto i minuti popolani volevano liberarsi. L'osservazione è stata già fatta, ed é giusta in parte, però io osservo che quando in una società, da per sè stessa abbastanza ribelle, è lanciato un grido, sia pure da labbra mistiche, che lo stato primitivo, in cui non vi era nè tuo nè mio, è stato il più perfetto, e che la proprietà è una conseguenza del peccato originale, non tutti si sottopongono al sacrificio di spogliarsi della ricchezza; i più tireranno da quel precetto conseguenze ben diverse: il richiamo dello stato di natura sarà rievocato dai contadini, tumultuanti per le vie di Londra nel 1381, che massacrando alcuni nobili, cantavano: (1) Le Croniche di GIOVANNI SERCAMBI cit.; Vol. II, p. 344. Quand Adame bèchait, Où donc était Le gentilhomme? (1). Il principio che la proprietà è frutto del peccato farà ad Anversa proclamare la teoria che è lecito rubare al ricco per darlo al povero. E queste stesse idee turberanno da per tutto la coscienza popolare, faranno a Firenze concepire un Dio, solo esclusivamente protettore del popolo minuto, che si chiamerà Popolo di Dio, imaginando così una divinità tutta a proprio beneficio. Questi strani sentimenti religiosi scoteranno in qualche modo la convinzione della saldezza e della durata dei principii, sui quali la società si regge, faranno ritenere impossibile la conservazione di un simile stato di cose, dando così argomento a quelle profezie, che corrispondevano a bisogni di quelli presso cui si divulgavano, e che vagheggiavano con tali profeti un'età felice, in cui « i vermini della terra (è una profezia riportata da un cronista fiorentino della metàl del 300) crudelissimamente divoreranno leoni e leopardi e lupi; e le merle e gli altri uccelli piccoli ingoieranno gli ghiotti uccelli rapaci. Ancora gli popolani e giente minuta nel sopraddetto tempo uccideranno tutti tiranni e falsi traditori e disporrannogli del loro istato e grandezza co'molti principi e potenti signori. E saranno grande fame e mortalitade, per la qual cosa morrà parte della iniqua gente. E le chiese fieno al tutto dispogliate di tutti suoi beni temporagli. E questo faranno le comuni genti per lo struggimento (il testo ha: ducimento) dei falsi ipocriti. Ma poi si accorderanno i chierici e popolani e (1) Cfr. ANDREE Reville Les paysans au moyen age in Revue internationelle de sociologie, Anno III, n. 7, Giugno 1891. saranno contenti d'avere solo la necessità di vita loro >>> (1). La profezia si dice esposta da un frate minore nel 1368; gli avvenimenti dovevano aver luogo tra il 1377 e il 1378. Comecchessia, m'importa piuttosto notare che l'autore, se non è uno dei fraticelli della povera vita, accoglie tuttavia il precetto della povertà, ha nella mente la perfezione dello stato di natura, ma, prima di giungere a quello, attraversa un campo pieno di fame, di peste, di fiere lotte tra minuti e grandi. Non si vede in tutto ciò una prova di quel travisamento che ha ogni teoria attraverso la mente inferma del popolo? Si può dunque nello studio dell' ambiente politico di quel momento, in quella coscienza agitata di quei minuti popolani non credere all' efficacia di questo elemento religioso? La profezia che ho già riferita ci riconduce nel campo della storia fiorentina, nel quale sarebbe assai importante potere determinare fino a qual punto quelle idee fossero penetrate. Ho già detto che la profezia si trova nel Diario d' Anonimo. Il Gherardi nella prefazione al Diario cerca d' indentificare l'autore, e ricorda a tal proposito un certo Dionisio di Soullechat minorita, dottore della Sorbona, che nel 1368 fu imprigionato come eretico(2); nulla peraltro si conosce di lui, come profeta. Forse fa più al caso ricordare qualcuno di quegli eresiarchi che ebbero spirito di profezia, e dei quali pervenne notizia a Firenze. Giovanni Villani narra che nel 1310 Arnaldo Villanova di Provenza, anch' egli dei Minori, questionava ed annunziava per argomenti delle pro (1) Diario d' Anonimo cit., pp. 389-390. |