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Lo stile di datare è quello delle Olimpiadi, però è errato, poichè la 330 Olimpiade ci dà il 1320, cioè 11 anni prima che si incominciasse a costruire il palazzo.

Edit. Marcolini, Notizie Storiche della prov. di Pesaro e Urbino, Pesaro 1883, A. Nobili, p. 137; Laspayres, tav. V; Lucarelli, op. cit. p. 495; Faloci-Pulignani, Adeporico dell'abb. Costanzo, pag. 595; L. Cracken, Gubbio.

A. 1325-1340.

XXXVIII.

Cattedrale. Iscrizione in gotico della pietra consacrata della cappella gentilizia dei Gabrieli.

ISTUD ALTARE EST CAPELLE

DE GABRIELIBUS. HIC SUNT RELIQUIE
SACTORUM PETRI PAULI THOME ET

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ANDREE: AP(osto)LORUM XR(ist)OFORI :
FRANCISCI LUDOVICI AC S(an)C(t) ARUM :

AG(n)ETIS ET CLARE VIRGINIS

L'anno di questa I. non è noto. Siccome ivi presso eravi la tomba del Vescovo Pietro Gabrieli, e fra i santi di cui qui son menzionate le reliquie troviamo per primo di S. Pietro, e non S. Tommaso che era il titolare della cappella, ho creduto che tale I. debbasi al Vescovo Pietro Gabrieli. La bellissima grafia gotica risponde pienamente a quel tempo.

A. 1326.

XXXIX.

Iscrizione della mensa d'altare di S. Maria Nuova.

È andata perduta: la desumo dall' arch. Arm. I. C. 9,

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S. IHOANES. EVA(n)GT S. CATHERINA

S. AGNES. S. IACOBVS

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MAIOR.

La chiesa di S. Maria Nuova era un dì filiale dell'abbazia di Alfiolo, e forse furono quei monaci che l'edificarono.

XL.

A. 1328.

Iscrizione ora perduta, già esistente nelle mura dell'orto del monastero di S. Lucia. La desumo dal codice III. E. 13 dell'arch. Arm., p. 612.

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Forse si riferisce alla costruzione del detto muro di cinta.

XLI.

A. 1325.

Leggenda in gotico, circondato da doppio cordoncino globulare, del sigillo di Francesco vescovo di Gubbio.

S. FRANCISCI DEI GRATIA EPI EUGUBINI

Sigillo ogivale. Nel centro in alto la Vergine in semibusto col bambino in braccio; in basso i SS. Mariano e Giacomo divisi da una colonna, in fondo un vescovo in ginocchio in atto di pre

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Lunetta della porta del Palazzo dei Consoli con la iscrizione n.° XLII-XLIII.

Colasanti,

Gubbio, Istituto Ital. di arti grafiche, p. 80.

Al contrario, quelli, cui la lezione surriferita, faceva ostacolo nel difendere Matteo di Giannello di Maffeo, detto il Gattapone, come architetto del palazzo, lessero altrimenti l'ultimo verso.

F. Ranghiasci-Brancaleoni, « Dei palazzi municipale e Pretorio di Gubbio, Firenze, tip. Cellini, 1887, p. 17, lesse: STRUXIT ET UNUS MENSIS ANGELUS URBS VETERENSIS Con lui il Maffei, Memorie su la condizione attuale dei palazzi municipale ecc. di Gubbio, Firenze, Civelli, p. 19.

La sig.na Laura Cracken, op. cit. London. David Nutt. pubblicò l'iscrizione secondo l'interpetrazione che ne dava V. Pagliari nel giornale il Paese, Perugia 1903.

Egli leggeva:

STRUXIT ET IN MENSIS K ́ALENDIS
ANGELUS URBS VETERENSIS ·

Delle tre versioni di quest'ultimo stico, la seconda, paleograficamente non può sostenersi, sebbene nel senso convenga con questa dataci dal Pagliari, il quale, leggendo le abbreviazioni in mensis Kalendis (dalle calende di un mese a quelle di un altro) viene a sostenere che Angelo di Orvieto ha qui lavorato soltanto

un mese.

Io per mio conto, giudico preferibile la lezione del Mazzatinti:

1.° per ragione logica. L' I. non ci dà un ricordo particolare d'uno scalpellino, ma in riassunto, l'intiera storia del fabbricato, indicandoci l'anno in cui furon gettate le fondamenta del palazzo, l'anno ed il mese in cui fu posto l'architrave. La stessa cosa ci viene ripetuta in maniera più minuta nei versi leonini dell'arco, che chiudonsi con la celebre frase struxit... Angelus Urbsveterensis». La più elementare regola esegetica ci suggerisce che lo strucit deve esser preso nello stesso senso generico che ha il restante dell'iscrizione, e che quindi la parola strurit va intesa non della porta solo, come vorrebbero il Pagliari, il Ranghiasci ed altri, ma dell'intiero fabbricato. Strano inoltre sarebbe, il vedere in quest' iscrizione che riassume tutte le vicende del nuovo palazzo, preferito il nome di chi vi lavorò un solo mese a quello del vero architetto.

Confesso che l'« immensis » preso avverbialmente per indicare il gigantesco lavoro sostenuto nell' innalzare quell'edificio, non è di buon gusto; ma non occorre poi andar tanto per il sottile in una iscrizione in cui è chiamato < letus » un arco, in cui non sappiamo qual valore abbia un credatur od un concordat, comunque si voglia leggere l'abbreviazione; in cui finalmente, son tanti i barbarismi, da render piuttosto inesplicabile una buona frase latina quale è appunto l'« in mensis Kalendis ».

2.° per ragioni storiche: giacchè non è supponibile che Angelo di Orvieto, nel momento più glorioso della sua vita, venisse da noi ad aiutare un giovane architetto, di nome allora oscuro, e si prestasse al suo servizio per un mese e poi... a che fare? non a scolpire, poichè nulla di scoltura troviamo nel nostro palazzo; non ad architettare, poichè chi aveva concepita l'immensa mole dei due palazzi Pretorio e dei Consoli, e con tanta maestria ne aveva innalzata più della metà, non aveva bisogno di una guida che gl'insegnasse come proseguire il lavoro;

3. in ultimo per ragioni cronologiche; poichè se si cerca spogliare Angelo di Orvieto della gloria di avere innalzato questo fabbricato, è solo per rivestirne l'architetto eugubino, Matteo di Giannello, detto il Gattapone.

Ma di questo architetto noi non troviamo memoria alcuna prima del 1349, nel qual anno è chiamato a misurare le pareti di una camera del palazzo Pretorio, col titolo di « mensor comunitatis Eugubii » misuratore e non architetto; mentre poi la sua attività di costruttore di casseri, egli la spiega solo circa il 1360, e sino al 1380. In una parola, non è affatto provato che egli prima del 1360 esercitasse con fama l'architettura.

Resta quindi che lo struxit dell' I. riguardi non l'opera di un mese, ma quella della costruzione dell' intiero palazzo dovuta ad Angelo di Orvieto.

A. 1337.

XLIV.

Iscrizione che esisteva nella parete esterna della sacrestia di S. Pietro attualmente è nel museo municipale.

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