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scriptio et delineatio pubbblicata a Roma nel 1621, una pianta incisa in rame che porta il titolo: Vetus Exquilinus mons cum aliorum montium sibi adiunctorum partibus, adiectis nonnullis ex his quae nostra tempestate accesserunt. Questa pianta (di cm. 50 X 38) non è altro che una copia rimpiccolita (a due terzi, quasi esattamente come l'edizione Ehrle) dei fogli NOST della pianta del Bufalini. Il rame del De Angelis imita abbastanza fedelmente la silografia originale; le aggiunte si limitano a poche cose nella dicitura (p. es.: Sixti papae V Palatium appresso S. Maria Maggiore Vinea Card. Veralli nostra vero tempestate pars Sixti papae V vineae ecc.) ed alcune linee icnografiche tracciate in maniera ben diversa dalle originali (p. es.: la Via Gregoriana quae ducit ad Lateranum la Via Merulana secondo il tracciato di Sisto V presso S. Giovanni e S. Maria Maggiore). Nel testo della sua opera, il De Angelis non rivela donde egli abbia avuto l'esemplare della pianta: può essere che sia quello stesso della Biblioteca Barberini (1).

Poco dopo il De Angelis, Giovanni Severano, nelle sue Memorie sacre delle Sette Chiese di Roma (1630), pubblicò una Pianta della Chiesa e del Palazzo Lateranense disegnata dal noto architetto Francesco Con

Roma, 1914, p. 9. Debbo alla squisita gentilezza dell' illustre autore la conoscenza di quest' importante testo; nel rendergli pubbliche grazie, vorrei pregarlo di comprendere nell' « Ap<< pendice » della sua pubblicazione anche la rara e bella veduta del Quirinale, disegnata dal Maggi e pubblicata dal Mascardi nel 1612, ch'è tanto importante per la topografia del colle storico.

(1) Il De Angelis era in relazione con i Barberini, come si rileva dal fatto ch'egli nel 1640 indirizzò al cardinale Francesco la prefazione della sua operetta: Compendio delle cose che si trattano nella sacra historia de' titoli dell' Emin.mo Collegio dei ... Cardinali. V. EHRLE, 1. cit. p. 9, nota 3.

tini. Secondo che dice il Severano nel testo (p. 534), il Contini si era servito anche della « Pianta di Roma << antica stampata dal Bufalini in tempo di Giulio III », senza dire, dove egli abbia trovato questa stampa.

Più importante che queste constatazioni di fatto è il ricercare l'influenza che la pianta del Bufalini ha avuto sopra le piante più recenti. E naturale per sé che un lavoro così enorme quale fu la misurazione dell'intera città eseguita dal geometra udinese, non fu ripetuto senza necessità da coloro che dopo di lui lavorarono nel medesimo campo. Ma secondo il costume di quei tempi, ogni autore cerca di magnificare l'importanza del proprio lavoro, tacendo del merito dei suoi predecessori: e quindi possiamo giudicare sulle relazioni esistenti fra le diverse piante soltanto per ragioni intrinseche. Un'analisi metodica completa non si può dare senza numerosi facsimili: qui debbo limitarmi a pochi cenni.

La prima copia, e nel medesimo tempo una delle più fedeli, della Bufaliniana è quella pubblicata da Francesco Paciotto per cura di Antonio Lafreri nel 1557 (cat. n. 29). Chi la paragona con l'originale del Bufalini (non con la copia poco esatta di Cuneo) sarà sorpreso dalla perfetta concordanza fra ambedue: la configurazione del terreno nelle parti disabitate, il tracciato delle strade della città moderna, il corso del fiume e quello delle mura collimano a cappello. Ambedue hanno anche comuni molti errori sulla posizione relativa di edifizi antichi e moderni: finalmente l'orientazione e l'estensione del terreno rappresentato in ambedue sono perfettamente identiche (1). La sola diffe

(1) Questo si potrebbe dimostrare chiaramente, ponendo accanto una riduzione fotografica della pianta del Bufalini uguale alla misura della Paciottiana. Un'altra dimostrazione assai con

renza è che il Paciotto ha aggiunto l'elevazione del fabbricato, ed ha omesso, a cagione della misura assai ridotta della sua pianta, molti particolari. Che il Paciotto si sia interessato per la topografia della Roma moderna, anzi ch'egli abbia fatto rilievi topografici della città, risulta da una lettera scrittagli da un anonimo con la data: Padova, il 27 dicembre 1548 (1); ė chi sa, se egli non abbia, come il suo celebre contemporaneo Francesco de' Marchi, aiutato il Bufalini nella sua ardua impresa (2).

vincente sta in ciò che sulla pianta del Paciotto si può disegnare esattamente la divisione dei fogli della Bufaliniana mediante linee incrociantisi ad angolo retto: ciò che sarebbe impossibile, se ambedue non avessero comuni molti sbagli nella posizione dei singoli monumenti.

(1) V. BOTTARI-TICOZZI, Lettere pittoriche, vol. V, n. LXXII, p. 230: «Ma fatte, vi prego, che all' arrivo mio in Roma io vi << ci ritrovi, perché desidero non pur veder voi, ma quelle vo<<< stre belle onorate fatiche che voi fate sopra l'anticaglia di « Roma. La qual opera se mai conducete a fine, ella sarà ve<< ramente degna del felicissimo ingegno vostro, e recherà in<< sieme utilità grandissima al mondo, e a voi gloria immortale. << Ma di ciò non voglio parlar più oltre, percioché mi trapor<< terei in troppo lungo ragionamento. Solo vorrei che per amor << mio (se forse non l'avete già fatto) voi misuraste con somma << diligenza, come fatte sempre, le Terme Antoniane, non solo << nel corpo, ma nel recinto e in tutte l'altre apparenze e non << pur vorrei veder la pianta, e le parti mezzane e le somme, << rappresentandomi a parte a parte tutta quella grande e me<< ravigliosa opera in più disegni ». Sarebbe da ricercare, se di quei lavori del Paciotto rimanga qualche cosa fra i molti disegni anonimi relativi alle Terme, che si trovano nella Collezione degli Uffizi ed altrove.

(2) V. sopra ciò le osservazioni dell' EHRLE, Pianta del Bufalini, p. 19. Il fatto che il Paciotto ha potuto copiare nel 1557 così esattamente la pianta del Bufalini, serve pure a rifiutare l'opinione di coloro che hanno voluto negare l'esistenza di una edizione del 1551, ed hanno preso l'edizione del Trevisi data

Ma la pianta del Paciotto, tenuta a torto in poco conto dal Rocchi (1) acquista, un interesse speciale per il fatto seguente: l'editore di essa era Antonio Lafreri, l'incisore Nicola Beatrizet; è naturale quindi supporre che nella bottega del Lafreri abbia esistito un esemplare della silografia del Bufalini. E crederei che la «< pianta << di Roma antica, grande come la bottega » menzionata nell'inventario Duchet-Gherardi del 1594 (Ehrle, Pianta del Dupérac, p. 50, n. 190) sia stata appunto questa. Stabilito questo, si spiega più facilmente la grande influenza che l'opera del Bufalini ha avuto nel resto del sec. XVI.

Questa influenza si fa sentire anche, sebbene non in maniera tanto palese, nella grande pianta archeologica di Pirro Ligorio (cat. n. 31) pubblicata quattro anni dopo (1561). Mentre il Ligorio nelle sue produzioni precedenti del 1552 e il 1553 (cat. n. 10 e 15) si mostra indipendente dal Bufalini (v. più sotto p. 19 e 30), egli ne ha fatto largo uso per questo suo lavoro maggiore (v. p. 31 sg.). Ma l'indole del suo disegno, che riempie tutta la cerchia delle mura aureliane con un ammasso fantastico di templi, case e monumenti anti

«

alla luce nel 1560 per la prima: opinione rigettata con ragione già dall'EHRLE, p. 22. Dall'altra parte, la ipotesi espressa dal ROCCHI, p. 34, che la pianta « fosse stata già pubblicata nei primi anni del pontificato di Paolo III, e che l'edizione la quale ora si possiede non sia che una riproduzione, aggior*nata fino al 1551 », non ha nessun fondamento serio, e non deve essere rifiutata a lungo.

(1) « Questa pianta », dice il RoCCHI, p. 105, « non pre*senta né archeologicamente né topograficamente l'interesse << che desta il nome del grande architetto civile e militare che « la disegnò ... nulla di notevole presenta questa pianta in fatto «< di monumenti dell'antichità, i quali si vedono assai meglio « raffigurati nelle altre piante dell'epoca ».

Archivio della R. Società romana di storia patria. Vol. XXXVIII.

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chi di ogni genere, fa apparire meno chiara l'affinità fra la sua pianta e quella del Bufalini (1).

Assai più manifesta invece riesce l'affinità nelle due grandi piante moderne seguenti, del Kartaro (cat. n. 72) e del Dupérac (n. 73). Il Dupérac, il quale lavorò per l'editore Lafreri, avrà avuto a sua disposizione la copia esistente nella bottega di questo, come l'aveva avuta il Paciotto dieci anni prima di lui. Il Kartaro invece con i suoi lavori si deve considerare piuttosto come un concorrente del Lafreri. Il fatto ch' egli aggiunse alla sua pianta una « scala di mille « palmi romani » dimostra ch'egli abbia voluto dare al suo lavoro il carattere di una vera pianta geometrica, e non di una prospettiva a volo d'uccello; ma è perfettamente incredibile poi il Kartaro, che non fu architetto o geometra (2), ma artista ed in ispecie incisore, abbia ripetuto, venticinque anni dopo il Bufalini, il faticoso lavoro di una nuova misurazione della città. La sua grande pianta moderna dipende dalla Bufaliniana, come la piccola (n. 60) dalla Pinardiana. Del resto, questa affinità non diminuisce il merito che ambedue gli autori hanno per la rappresentazione dell'alzato, la quale, in ispecie presso il Dupérac, è assai accurata ed artistica.

Verso la fine del sec. XVI, le grandi riforme edilizie di Gregorio XIII e di Sisto V cambiarono perfettamente lo stato della città ed in ispecie dei quar

(1) Anche il grande disegno di Salvestro Peruzzi (v. sopra, p. 8 nota 2), fatto per un progetto di regolamento del Tevere, non mi pare indipendente dalla stampa del Bufalini.

(2) Che il Kartaro fosse tutt'altro che dotto, si rileva dai numerosi sbagli nel testo latino della sua pianta archeologica (v. p. 68 sg.). Neppure è riuscito a dare correttamente il titolo latino della sua pianta moderna, ove è scritto Novissimae Urbis Romae ... descriptio invece di Novissima.

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