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l'invasione turca; in sostanza, voleva giovarsi dei turchi, senza apparire ancora loro alleato.

Ma prima che le ultime lettere del Sadoleto giungessero a Roma, vi giungeva il 29 ottobre l'informazione del card. di Viseu, significante il rifiuto di Carlo V ad ogni trattativa di pace e l'ordine dato al legato di lasciare immediatamente la Spagna. Quindi il card. Farnese con lettera del 3 novembre richiamava il Sadoleto, essendo la sua legazione congiunta con quella del Viseu (1).

La lettera di richiamo arrivò in Angoulême il 28 novembre. Nel giorno seguente il Sadoleto prese congedo dal re e gli espresse il desiderio del papa di procurare un abboccamento tra i due sovrani e di intervenirvi, ma incontrò una recisa ripugnanza in Francesco I. Il quale gli disse che non sarebbe venuto in Italia con meno di 60,000 uomini; che un abboccamento col suo rivale lo avrebbe messo in sospetto ai propri alleati, e recatogli danno, come gli era avve nuto pel colloquio di Nizza, e che sarebbe intervenuto soltanto ad accordo già concluso, cioè per una sem plice cerimonia. E così ebbe termine la missione del Sadoleto, pienamente sterile (2), sebbene egli scrivesse al card. Farnese « come tutto quel frutto che Sua << Beat. poteva sperare di trarre dal congresso con << S. M. l'ha già in essentia tratto ».

Tale conclusione sembra strana, non meno di altri apprezzamenti che si sono letti. Certamente la missione di Sadoleto non poteva condurre a pace dal momento che uno dei due contendenti non voleva saperne. Ma è singolare che egli non lo comprendesse

(1) La lettera è pubblicata dal RONCHINI, op. cit. p. 66. (2) E così fu anche circa il Concilio e l'invio dei cardinali francesi a Roma.

alla prima notizia di tale fatto, e che ne traesse invece argomento a sperare. È singolare che nella cortesia di Francesco I e nelle sue generiche dichiarazioni pacifiche non vedesse che la vera mira di lui era di mettere il papa in tali circostanze da dovere uscire dalla neutralità e dichiararsi in suo favore. È notevole che egli non riuscisse mai a trarre dal suo interlocutore qualche cosa di preciso, né sapesse informarsene in altro modo; sicché le sue interminabili lettere sono più o meno discorsi generali, che potrebbero quasi dirsi amplificazioni o tesi di scuola (1). Straordinariamente ingenua è poi la sua fiducia nell'efficacia di ragionamenti morali o cavallereschi su Carlo V; si vede che era sempre lo stesso uomo il quale nel 1527 si imagi. nava che un incontro tra Carlo e Clemente VII avrebbe mutato la politica imperiale. Insomma egli è sempre l'umanista, abbondante di idee generali, scarso nella visione e nell' apprezzamento dei fatti, e dominato dalla infatuazione umanistica circa il potere irresistibile della parola e delle frasi.

ALESSANDRO FERRAJOLI.

(1) Leggendo le lettere del card. di Viseu si vede a colpo d'occhio la differenza tra i due legati. Il Viseu, avviandosi alla Spagna ebbe un solo colloquio con Francesco I, e da mezze parole che riuscì a carpirgli, comprese subito che il re intendeva di avere il Milanese, ritenere il Piemonte e non restituire nulla di ciò che aveva occupato nella recente mossa di guerra. E informandone il card. Farnese, concludeva « questo è quanto « ho a dire delle cose di Francia; delle quali non fo più fon«damento che tanto, perché veggo che parlano come chi sta << al disopra » (Arch. Vat. mss. cit. c. 37).

LA LEGAZIONE IN LOMBARDIA

DI GREGORIO DA MONTE LONGO

NEGLI ANNI 1238-1251

(Continuaz. vedi vol. XXXVII, p. 139).

XII.

GUERRA NEL PARMENSE E RISVEGLIO GHIBELLINO IN PIEMONTE. DEFEZIONE DI VERCELLI E DIFESA DI NOVARA. GREGORIO DA MONTE LONGO E LA CONGIURA DI PIER DELLE VIGNE. GREGORIO DA MONTE LONGO ELETTO DI TRIPOLI (febbraio 1248gennaio 1249).

Annunziando al Podestà di Milano la gloriosa giornata di Parma, Filippo Visdomini lo esortava a recarsi sollecitamente verso di lui con tutte le milizie ed il Carroccio,« poiché, diceva, Dio ci dischiuse la via, «<e noi dobbiamo percorrerla celermente, per ritogliere << ai comuni nemici le nostre terre e prender vendetta « di essi » (1). Al Podestà Piacentino dunque, non sfuggiva, che, se tutta l'importanza della vittoria di Parma stava nell'aver liberato la città ed umiliato il

(1) HUILL. BREH. VI, 592: « ... quia cum Deus aperuit no<< bis viam, procedere volumus per ipsam festinanter ut recu<< peremus contiguo burgum Sancti Domnini et Bersellum et alias << terras nostras, capientesque ... inimicos nostros et vestros << deleamus eos de libro viventium ... ». Cf. Doc. n.o XVII.

nemico, questo disperso, ma non interamente distrutto, non avrebbe mancato tra poco, di riordinarsi e muo vere di nuovo alla riscossa. Occorreva quindi non porre indugi se volevasi trarre un duraturo profitto dall'audace e fortunata impresa.

Due luoghi, intanto, premeva sopra ogni altro ai capitani guelfi di ricuperare al più presto, ed erano: Borgo S. Donnino e Brescello: l'uno chiudeva la via ai soccorsi di Milano; l'altro privava ancora la città di Parma, di ogni rifornimento di viveri, sbarrandone il naturale passaggio per il corso del Po. Il ricupero di Brescello si presentava certamente come il più necessario, poiché, se per il momento il nemico non stringeva più la città col suo cerchio di ferro, poteva tuttavia considerarla sempre in sua mano, finché fosse in possesso di quel luogo importantissimo. A tal ricupero pose mano il Legato, all'indomani della distruzione di Vittoria, mentre il Podestà muoveva alla conquista di Collecchio e degli altri castelli della valle del Taro, rioccupandone alcuni, e ristabilendo le comunicazioni con la Lunigiana ed i Malaspina (1). Lo svolgimento dell'impresa di Brescello, non appare però ben chiaro nell'unica fonte che parla di essa, cioè negli Annali di Piacenza. Secondo questi il Monte Longo, alla testa di una forte colonna parmense, (senza dubbio la stessa che aveva coperto la città durante la sortita, da ogni sorpresa di Enzo), mosse verso Brescello, mentre la sua marcia era secondata lungo il fiume da una flotta di Mantovani e Ferraresi. Senonché all'improvviso, sparsasi la voce del sopraggiungere di Federico, dalla parte di Torricella, a tergo delle truppe operanti, que. ste, colte da terrore, si sbandarono; la flotta, ritornando a Colorno fu sorpresa e distrutta dai Cremonesi e

(1) Annal. Plac. Gib. in M. G. H. XVIII, p. 497.

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