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NOTIZIE

Il dott. don Romolo Putelli ha pubblicato un ampio volume Intorno al Castello di Breno. Storia di Valcamonica, Lago d'Iseo e dintorni, da Federico Barbarossa a S. Carlo Borromeo (Breno, Associazione « Pro Valle Camonica » editrice, 1915, 8o, pp. xiv-624). Questo libro non è fatto solo per soddisfare alla curiosità degli amatori della storia locale; esso sarà utilmente ricercato anche dagli studiosi della storia generale dell' Italia settentrionale. Così, fin dai primi capitoli, sono molto preziose tutte le notizie che l' A. ha saputo raccogliere, sottoponendole a critica assai avveduta, intorno alla lunga guerra tra Brescia e Bergamo per il possesso di Volpino, durante la quale i Bergamaschi si appellarono a Federico Barbarossa, e i Bresciani al papa Alessandro III. L'imperatore aveva tutti i motivi per non rimanere indifferente a questa contesa, poiché la Valcamonica era sempre una delle vie più comode per cui gli eserciti tedeschi scendevano in Italia. È più particolarmente noto l'episodio della distruzione del castello d'Iseo, ordinata dal Barbarossa. Il Putelli, riprendendo in esame il racconto dato dal poemetto << Gesta Friderici imperatoris in Lombardia » e le opinioni già espresse dal Giesebrecht, dal Monaci e da altri, conclude per conto suo, con qualche buon argomento, che il fatto va posto al 28 luglio del 1162. Altro episodio notevole della lotta sostenuta dall'imperatore contro le città lombarde sarebbe la distruzione di un altro castello o luogo fortificato della Valcamonica, che sarebbe stato distrutto dallo stesso Barbarossa nel 1163 e poi riedificato nel 1167 dalla lega lombarda, come parrebbe attestare un'iscrizione frammentaria che il P. riproduce in facsimile. Ma la lezione che egli ne dà suscita ancora troppi dubbî, ed è da lamentare che egli non ne abbia dato addirittura la precisa riproduzione fotografica, in base alla quale soltanto sarebbe qui seriamente possibile tentare altra interpretazione. Non potrebbe trattarsi della distruzione e riedificazione della stessa

Milano, dato che si debba leggere MCLXII invece di MCLXIII? La Valcamonica, per la sua tendenza a mantenersi indipendente da Brescia, pare abbia generalmente favorito il Barbarossa, dal quale il 4 ottobre 1164 riceveva un ampio diploma, che il P. ritiene autentico, in cui, insieme con la sanzione dell'indipendenza comunale, è notevole l'autorizzazione a reggersi con proprii « consoli », per quanto obbligati alla ricognizione imperiale, quando appunto l'imperatore mirava ovunque a sostituire ai consoli i << podestà » imperiali.

Simili diplomi furono in seguito concessi pure da Arrigo VII (1 aprile 1311) e da Giovanni di Lussemburgo re di Boemia, durante le loro discese in Italia e furono come altrettante tappe di una lunga lotta, per la propria indipendenza e autonomia, sostenuta dalla Valle, nella quale predominava un forte gruppo di famiglie nobili ghibelline, contro la città di Brescia, dove generalmente ebbe maggior fortuna il partito guelfo. Dalla seconda metà del secolo XIII, Brescia riesce ad affermare, sebbene non stabilmente, il suo dominio sulla Valle, inviandovi pel governo suoi podestà.

La storia di Valcamonica è così intimamente legata alla storia di Brescia ed ha una parte di primo ordine, spesso decisiva, in tutti gli avvenimenti e le lotte combattute intorno a Brescia, per il possesso di questa città e delle regioni vicine, da Federico II, da Ezzelino da Romano, dagli Scaligeri, dai Carrara, da Pandolfo Malatesta, dai Visconti, dagli Sforza e da Venezia. Specialmente lo sforzo tenace di Venezia per il possesso di Valcamonica, fieramente contrastato da Milano, è ampiamente e benissimo illustrato dal Putelli. La Serenissima, nella sua tendenza di espansione in terra ferma, annetteva grande importanza alla occupazione di questa regione. Sono notevoli ad esempio nel 1416, quando Venezia riuscì a prendere Brescia al Visconti, le laboriose trattative, che il P. felicemente trae da fonti inedite, condotte dal Senato veneto presso il Legato del papa, la Repubblica di Firenze e il duca di Savoia, per ottenere pure, nei concordati di pace, la Valle Camonica. Quest'ultima parte, che tratta del dominio della Repubblica Veneta, è certamente la migliore e più interessante, per la grande quantità di materiale inedito che l'A. mette a profitto, frutto di lunghe e pazienti ricerche archivistiche.

Nuova e abbondante luce porta questo libro in tutte le intricate vicende delle leghe e delle guerre combattute tra i maggiori potentati dell'Italia settentrionale, specialmente nel se

colo XV, e si deve dire, ad onore dell' A., che il suo libro non potrà essere trascurato da chi ancora vorrà scrivere la storia dell'alta Italia di quei tempi.

Egli poi non si occupa soltanto degli avvenimenti esteriori, ma studia ancora ampiamente le interne condizioni del paese religiose, economiche, amministrative, dandoci specialmente nell'ultima parte un bellissimo saggio del modo come la Repubblica Veneta amministrava i paesi di terra ferma da essa occupati. Per la Valle Camonica è tipica la « costituzione » ad essa largita dalla Repubblica il 1° luglio 1428, e che tuttora si conserva originale nell' Archivio Comunale di Breno.

Il Putelli non è stato solo un ricercatore e ordinatore diligente e fortunato di un ingente materiale documentario, ma si dimostra pure un acuto critico di esso, come di tutti gli storiografi locali che lo hanno preceduto. Solo gli si può fare l'appunto che molto spesso, nella esposizione, da quel molto materiale raccolto sia stato come soffocato. Soprattutto nella prima parte, la lettura di questo libro riesce sovente fastidiosa per l'abituale citazione e inserzione nel testo, invece che semplicemente nelle note, non solo delle fonti, ma di frequenti brani di quanto hanno creduto bene di scrivere gli storiografi precedenti. Ciò nuoce all'A., che pure ha vivace ingegno e doti naturali per ben scriqualità necessaria ed essenziale anche in libri di storia e specialmente nuoce allo scopo particolare del libro, di maggiormente divulgare tra il pubblico la conoscenza e l'amore della storia paesana. Anche sotto questo rispetto, la seconda parte, riguardante il periodo della dominazione veneta, dove l'A. si vale prevalentemente delle sue originali ricerche archivistiche, è sempre la migliore. G. B. BORINO.

vere

La vita e le opere di Girolamo da Carpi hanno avuto recentissimamente un illustratore diligente ed acuto in Alberto Serafini. La monografia che gli ha dedicato (Girolamo da Carpi pittore e architetto ferrarese (1501-1556), Roma, Bocca, 1915), ampia di quasi 500 pagine e ricca di 199 illustrazioni, è importante non solo per la novità delle conclusioni, ma anche per il metodo.

L' A. ha dimostrato non di Girolamo da Carpi molte opere che la tradizione e gli studi precedenti gli attribuivano, e viceversa glie ne attribuisce con sicurezza altre completamente ignorate; e tutto ciò non solo in base a minuziosi confronti stilistici, ma, generalmente, a nuove ricerche d'archivio: il metodo storico-critico applicato con ottimo risultato alla storia dell'arte.

Lasciando da parte l'attività artistica del Carpi in Ferrara ed altrove, ci limitiamo al suo soggiorno in Roma. Il Carpi giunse in Roma col cardinale Ippolito d' Este nell'agosto del 1549. Quivi egli si diede affannosamente alla ricerca ed allo studio dell'antico acquistando in breve così larga conoscenza da farlo competere nei suoi giudizi cogli antiquari di professione che a Roma stavano divenendo numerosi tra gli artisti e i letterati. I disegni che egli preparò durante la sua permanenza in Roma sono andati perduti; rimangono tuttavia il disegno n. 1708 degli Uffizi rappresentante il torso dell' Ercole; i disegni 1699* e 1699 pure degli Uffizi, e due tavolette a chiaroscuro della Galleria del Campidoglio.

Ma l'opera pittorica più importante che il Carpi ha eseguito in Roma negli anni 1550-1551, e che ancora in parte ci rimane, è la decorazione di alcune stanze del primo piano dell'attuale palazzo Spada. Gran parte del cap. VI è dedicato dall' A. all'illustrazione di queste pitture.

Importantissimo è il cap. VII che l'autore dedica al Carpi come architetto, e dove rivendica al Carpi stesso i lavori di sistemazione del Belvedere al Vaticano e, cosa finora ignorata, la costruzione dell'attuale palazzo Spada.

Lunghe e diligenti ricerche riguardano il bel ciborio di Giulio III che dal 1553 al tempo di Benedetto VIII ornò l'altare maggiore di S. Maria dell' Aracoeli e che poi finì nella chiesa abbaziale di S. Martino al Monte Cimino feudo dei principi Doria-Pamphilj.

Il volume si chiude con un catalogo critico (pitture, incisioni, disegni, architettura) delle opere di Girolamo da Carpi. GIULIO BUzzi.

Nello studio su I manoscritti autografi su s. Nilo Iuniore, fondatore del monastero di S. M. di Grottaferrata pubblicato in Oriens Christianus (1904, pp. 308-370) D. Sofronio Gassisi aveva cercato di dimostrare che i codici greci B. a XIX, B. a XX, B. I della Biblioteca del detto monastero sono autografi di s. Nilo Juniore.

G. L. Perugi è ritornato sulla questione in un recente opuscolo I pretesi autografi di s. Nilo Iuniore della badia greca di Grottaferrata (Roma, Officina tipografica di pubblicità, 1915) dimostrando come i sopradetti codici siano del principio del sec. XII o tutto al più della fine del sec. XI, per lo meno posteriori d'un secolo a s. Nilo. G. B.

In un breve studio biografico sul P. Alberto Guglielmotti (Firenze, Tip. domenicana, 1912), del quale ci siamo occupati nel vol. XXXVII, p. 695 di questo Archivio, il p. Taurisano prometteva di ritornare sull'argomento, ed ha mantenuto la promessa.

L'Antologia del mare, il nuovo recentissimo volume del Taurisano (Firenze, Libreria editrice fiorentina, 1914), contiene una raccolta di brani scelti delle opere del p. A. Guglielmotti. Il volume è diviso in due parti: « Nella prima sono stati rac<< colti e coordinati con opportune note gli episodi più luminosi << della secolare e sanguinosa lotta contro il turco; nella seconda « è stato accuratamente disposto quanto riguarda le costruzioni << navali, le fortificazioni e le invenzioni attenenti alla marina e « all'esercito. In appendice si è aggiunto un saggio dell'episto<< lario e dei ricordi di viaggio ».

Auguriamo a questo volume, del quale ogni nave italiana ha già una copia, la più larga diffusione: modo degno d'onorare la memoria del grande domenicano che tenne alto il nome d'Italia e che, secondo la bella espressione dell'ammiraglio Leonardi-Cattolica, « fu nobilissimo simbolo della famiglia ma<< rinara italiana ». G. B.

In un articolo interressantissimo su La decorazione a fresco del XII secolo della chiesa di S. Giovanni « ante portam Lati« nam » pubblicato nella rivista Studi romani (1914), il dr. P. Styger då relazione d'una sua fortunata scoperta nella chiesa sopradetta. Si tratta di un intero ciclo di scene bibliche del Vecchio e del Nuovo Testamento del sec. XII: ritrovamento unico fino ad ora nella storia dell'arte romana. Vanno aggiunte a questo ciclo le decorazioni dell'abside: la composizione apocalittica lei quattro evangeli nella parete frontale; i ventiquattro « seniores », dodici per parte, nelle pareti laterali. Tutte queste decorazioni erano nascoste da una copertura di tela dipinta ad olio di brutto e gonfio barocco, e da una grossa mano di bianco.

Ridonandole all' ammirazione degli studiosi il dr. Styger ne fa una splendida illustrazione: l'articolo è corredato da nove riuscitissime tavole fuori testo e da numerose fotografie.

G. B.

Un'altra bella e importantissima scoperta è stata fatta recentemente dallo stesso dr. P. Styger dirigendo a S. Sebastiano gli scavi fatti eseguire dalla Commissione di archeologia sacra.

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