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BIBLIOGRAFIA

Francesco Nitti. Leone X e la sua politica, secondo documenti e carteggi inediti. Firenze, Barbèra, 1892.

Per cause estrinseche, che preoccuparono o distrassero la critica paesana, l'Italia udi prima l'eco della bella reputazione di storico acquistatasi dal Nitti, segnatamente fra i cultori degli studi in Inghilterra e in Germania, di quel che non contribuisse a formarla e non ne gustasse la prima soddisfazione. L'opera di lui sulla vita di Niccolò Machiavelli fu degnamente apprezzata prima nella patria del Brosch, dell'Acton, del Creighton che tra noi. E questo suo nuovo libro, uscito recentemente alla luce, se comprende solo « frammenti di più << vaste ricerche sulla storia politica del secolo decimosesto » (p. VIII), è quanto dire che è uno stralcio di quell'ampia serie di studi che necessitò la preparazione del secondo volume della sua opera maggiore sul Machiavelli. Si comprende del resto assai facilmente che in questa non avrebbero potuto trovar luogo acconcio certe indagini minute intorno alla condotta particolare di singoli personaggi, che compaiono solo aggruppati e sono assorbiti nella storia generale del tempo; e s'intende pure che quelle indagini, dovendo essere condotte a fondamento dell'altra opera, non isolate e come fine a sè medesime, anche la pubblicazione di esse proceda quasi parallela a quella dell'altro libro e trovi nell'esigenze di questo il suo limite. Ciò spiega pertanto come l'autore non fece oggetto del suo esame tutta quanta la politica di Leone X durante il suo non lungo pontificato, ma solo alcuni punti di essa, che dovevano più richiamare l'attenzione sua, per rispetto all'argomento che aveva tra le mani. Pertanto egli distinse la materia del suo nuovo libro, secondo gli argomenti ch'ebbe di mira, in due parti; l'una delle quali concerne la condotta di Leone X verso il fratello Giuliano e il nipote Lorenzo de' Medici;

l'altra la politica del pontefice nella gara di rivalità impegnata tra Carlo V e Francesco I per la successione alla corona imperiale. La prima comparse già sotto forma di saggio, non così ampia, intera e precisa nella forma, sulla Nuova Antologia (vol. XXVIII3, fasc. xv, 1o agosto 1890), e chi facesse ragguaglio fra le due pubblicazioni di questo scritto medesimo, anche dove non è questione che d'espressioni, rileverebbe il diligente lavoro di meditazione e di lima che il Nitti vi à condotto attorno in questa nuova edizione. Ma più sottile e fecondo apparisce il travaglio della ricerca e dell'analisi con cui, rintracciati nuovi materiali inediti, ei li à vagliati, li à messi a raffronto col ricco materiale già cognito, ponendo in rilievo le mende frequenti di chi, dandoli a luce, ne stabili con cura insufficiente le note cronologiche (cf. p. 173 in nota, pp. 201, 365, 443). E certo le Lettres de Louis XII e le Letters and Papers, edite dal Brewer, per quanto concerne l'incertezza della cronologia, non si trovano ormai in condizione molto diversa.

Nell'apprezzare le intenzioni, la condotta, l'esito delle pratiche di Leone, durante la gara di Carlo V e Francesco I, il Nitti adoprò cura ed acume grande, cercando di indagare e riprodurre tutte le esitazioni, gli ondeggiamenti, le mutazioni per cui trapassò l'animo del papa, stretto dalla necessità di decidersi per l'uno dei due competitori o di suscitarne un terzo, debole di forze e a cui il titolo dell'impero aggiungesse poco più, per contrapporlo, come avanzo dell'idealità medievale, ai due contendenti fortissimi già di tanti materiali possessi e non ben consapevoli del nuovo fondamento politico che eran chiamati entrambi a far valere. Ora, come ben osserva l'A., per gran pezzo prevalse tra gli storici la persuasione che, disperando Leone di poter riuscire a quest'ultimo intento, e costretto a scegliere tra Carlo e Francesco, egli preferisse il re di Francia, come il men pericoloso per la Chiesa, il più disposto a beneficare i suoi parenti, e però l'aiutasse quasi con sincerità ad ottenere il suffragio degli elettori. Se non che, comparsa la magistrale opera del De Leva, gli storici accennarono a mutare opinione, accordandosi coll'illustre professore di Padova e storico di Carlo V nel riconoscere che il papa, nell' interesse della sua politica, aveva desiderato, non già di vedere eletto un terzo meno potente, ma bensì l'uno dei due grandi competitori, apparentemente il re di Francia, per trarne maggiori vantaggi da una futura alleanza con Carlo, e in sostanza favorendo quest'ultimo e facilitandogli la finale vittoria. Il De Leva, per quanto concerne la conoscenza della politica ecclesiastica di questo periodo, s'era fondato su' dispacci veneziani, raccolti ne' Diarii del Sanudo, ne' quali gli oratori della repubblica trasmettevano al senato la no

tizia non solo delle parole che udivano, ma anche della fede che credevano meritassero. E poca ne meritavano, a dir vero, quelle di un pontefice che teneva tre nunzi in Germania presso gli Elettori, il cardinal de Vio, Marino Caracciolo e Roberto Orsini, dei quali non si dubitava che l'uno si adoperasse per Francesco, l'altro per Carlo, il terzo per un terzo. Del resto, il Lipomano, che aveva ragione d'essere nella grazia e nella fiducia del papa, trovavasi certo in condizione di ragguagliare per chi fossero le intime simpatie del pontefice. All'ultima ora, scrive il De Leva (Storia doc. di Carlo V, I, 418), « Leone si levò impunemente la maschera» a favore del re cattolico; e quest'opinione del De Leva, il Nitti crede che fosse accettata << dagli storici, grazie all'ingegno col quale fu esposta, sebbene non << appoggiata a veri dati positivi », finchè la pubblicazione fatta dal Guasti dei Manoscritti Torrigiani nel R. Archivio di Firenze, mettendo a luce molti documenti d'origine fiorentina della cancelleria papale, portò nuova contribuzione di fatti a schiarimento della questione. Primo ad avvalersi di questi documenti, tenendosi tuttavia sempre stretto agli estratti pubblicati dal Guasti, fu il Baumgarten, il quale per altro non diede, nella sua esposizione, importanza bastevole a tutti i fattori che cospirarono a modificare la mente papale a traverso delle mutevoli contingenze e ritenne che anche nella questione dell'elezione imperiale ei si lasciasse predominare dallo scopo precipuo della grandezza del nipote Lorenzo, per sino a che questi non fu morto (Baumgarten, Geschichte Karls V, I, 157). Ora il Nitti, per quanto riguarda la disamina del materiale, non si tenne contento all'edizione dei mss. Torrigiani fatta in estratto dal Guasti; ma ricercando con molta diligenza tutto quel fondo prezioso, ne trasse notizie utilissime e documenti importanti e nuovi, come il trattato tra il papa e Carlo V portante il sigillo reale appeso, firmato il 6 febbraio 1519 « in monasterio beate Marie de Monferrato » (p. 143), quello tra papa Leone e il ministro Caroz, autorizzato con speciale mandato ad obbligarsi per lui, del 17 giugno 1519 (p. 214), e l'altro tra Leone e Francesco I del 22 ottobre, segretissimo pur esso e firmato dal re (p. 261).

E al Nitti stesso si deve pure gran lode per aver curato di certificare quelle parti dubbiose del carteggio dell'ambasciatore Manuel con Carlo V, facendone trarre nuova copia dalla biblioteca della «< Academia de la historia » di Madrid. Segni di così delicata coscienza scientifica non paion frequenti, e tanto più son lodevoli, quanto più l'autore risparmia di ostentare il lavorio dell'analisi sua nelle citazioni a piè di pagina, sufficienti per chi è versato nella materia, insufficienti per gli altri. Per quello poi che concerne l'espo

sizione de' fatti e la critica delle fonti da cui li desume, il Nitti muove con grande argutezza di giudizio, perspicuità e spigliatezza di forma; ma forse confida troppo nella traccia scritta del pensiero degli uomini, per niegare a se stesso alcuna volta l'intravedere il vero oltre e contro il portato delle parole. E questo suo metodo precipuamente ci sembra che gli facesse parere « soggettiva in parte » la critica del De Leva, che giudicando dall' insieme de' documenti, da' vincoli contratti con Spagna, la quale aveva ricondotto dall'esilio in Firenze la casa Medici, stimò che il pontefice che sapeva Carlo V infermiccio, convulso, non ben noto per ingegno aperto e per natura audace, potente per signorie lontane, diverse e disperse, alle prese con la fiacca compagine dell'impero, nell'intimo della sua mente, malgrado le tergiversazioni efimere, risguardasse in ogni tempo come candidato preferibile il re cattolico. Pure una lettera di Giulio de' Medici al Bibbiena, contenuta ne' mss. Torrigiani e allegata dal Nitti medesimo, sembra convalidare quest'opinione (pp. 129-30 in nota). E il Nitti stesso riconosce che « Leone non desiderò mai se<< riamente la riuscita di Francesco I» (p. 153). Del resto, effetto del metodo medesimo ci sembra la lusinga ch'egli esprime (p 226) che il De Leva o altri possa riuscire un giorno mai a trarre dagli archivi Vaticani la bolla fatta per concedere a Carlo la dispensa dal giuramento di non congiungere la corona del regno di Napoli con quella dell'impero. Documenti di siffatta natura, seppure esisterono, non si registrarono nè si lasciarono conservare ad archivi, nè si abbandonarono in mani interessate, fin ch'ebbero valore; e pel clero ne avrebbero avuto in perpetuo. Tutta la storia non par che giaccia in documenti di cancellerie; nè tutta si pone in scritto.

Ma prescindendo da queste osservazioni di secondaria importanza, conviene riconoscere che da questi saggi del Nitti l'analisi storica arriva a tale finezza che diventa quasi psicologica dell'animo di Leone, il quale per fermo senti costantemente nella sua condotta politica l'utilità clericale al disopra di quella di famiglia, l'amore d'Italia dopo quello della casta sacerdotale o della sede apostolica, la cui indipendenza peraltro mal poteva essere tutelata da chi doveva difendersi senza arme << grazie ad una politica di continui destreggiamenti, simula«<zioni e duplicità e mercè l'alleanza d'uno dei grandi potenti d'Eu<< ropa, alleanza che si convertiva necessariamente in una servitù e << in un pericolo perenne pel più debole ». Giulio II, che primo intravide questa mortale infermità della Chiesa, aveva cercato d'accaparrarle la protezione de' Svizzeri, i quali costituivano allora la classe guerresca in Europa; Giulio II, che fondando la signoria temporale del clero, aveva pur preso da sè stesso la spada in mano, sentendo

la necessità viva delle armi in pugno a chi domina. Leone non potè neppure armarne i congiunti più prossimi, come il Borgia aveva fatto; tentò invece di conseguire «l'indipendenza morale e materiale della << Santa Sede col mezzo d'un notevole ingrandimento dello Stato « della Chiesa. Questo egli cercò sempre nelle sue trattative con « Francesco I, a base delle quali stava sempre, tacito o palese, il de<< siderio di Ferrara; questo egli cercò ed ottenne nel trattato con << Carlo V, che mentre gli dava Parma, Piacenza e Ferrara, conser<< vava la potenza spagnuola ed imperiale in Italia nelle condizioni << nelle quali era prima » (p. 459). Quindi con perfetta imparzialità conclude il Nitti che se Leone, giovandosi del credito senza forza e delle arti senza scrupolo di cui allora poteva valersi il capo della Chiesa, non può collocarsi a quell'altezza che spetta solo agli uomini che contribuirono politicamente all'opera grande della civiltà, non è da confondere in quella «< categoria spregevole d'uomini d'ogni «< classe d'ogni paese e d'ogni religione, che destinati al governo << d'una istituzione, sottomettono gl' interessi di questa ai loro propri » (p. 461) Recando pertanto il papa mediceo ad un livello più alto di quello cui non seppero sollevarlo gli stessi suoi panegiristi, il Nitti ne scolpisce la figura con tal verità di contorni, da scoraggiare l'adulazione a sprecarvi addosso vernice, per farla apparir più lucente, e indurre la critica spregiudicata a non ricusargli meriti incontrastabili.

O. T.

Fournier Paul.

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Le royaume d'Arles et de Vienne (11381378). Étude sur la formation territoriale de la France dans l'est et le sud-est. Paris, Picard, 1891 (1).

Gli stretti legami che uniscono la storia del regno Arelatense a quella dell'Impero, ci sembra che rendano opportuno il dare un sunto del contenuto di questo libro importantissimo per richiamare sovr'esso l'attenzione dei lettori dell'Archivio.

Verso la fine del secolo nono, la parte est e sud-est della Francia era divisa in due regni, sorti dalla decomposizione dell'impero carolingio: regno dell'Alta Borgogna e quello di Provenza. Or av

(1) La designazione di « royaume d'Arles et de Vienne », non usata prima della fine del secolo x11, offre un significato assai vago, poichè il regno di Arles non fu mai co

stituito in Stato a sè.

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