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scrittore che prescinda sistematicamente dai documenti. Tale difetto, che, se fosse più frequente, danneggerebbe gravemente l'opera, raggiunge nella critica dell' Infessura e del suo più recente e più completo e sagace editore, il Tommasini, la sua più chiara manifestazione. Contro giustizia afferma egli, che per il Tommasini l'Infessura dee essere ad ogni costo elevato a fonte al tutto degna di fede. Invece, nel definire i caratteri generali del Diario, il Tommasini ha rilevati con acume e con il più preciso rigore scientifico i varii elementi, che perturbano talvolta il giudizio od alterano l'esattezza della narrazione dell' Infessura: l'influenza dei dettami profetici, il sentimento popolare e colonnese, il pensiero suo personale, la fallacia infine della memoria, là ove i notamenti non sono contemporanei agli avvenimenti. E certamente il sentimento popolare e colonnese, e la passione personale dell' Infessura hanno avuta parte nella composizione del ritratto di Sisto IV; ed hanno naturalmente fatto sì, che il diarista raccogliesse volentieri, credesse e desse per verità quanto di male di Sisto IV dicevano gli offesi da lui. E nessuno storico, che indaghi, potrebbe prendere il ritratto dell' Infessura come base principale d'un giudizio delle qualità morali di Sisto. Tuttavia non si può considerare quel ritratto quale una studiata calunnia. Chi legge il diario dello scribasenato romano riceve, quasi da ogni pagina, l'impressione della schietta sincerità dello scrittore. Egli non solo crede sempre di narrare il vero; ma ha la preoccupazione della esattezza, e spesso distingue ciò che sa con precisione da quello che sa << non precise », quello che ha inteso da altri da quello che ha visto egli. E tra due opinioni che volessero, l'una dare una fede incondizionata al Diario, e l'altra negargliela del tutto, la prima sarebbe certamente molto meno lontana dalla giusta. Il suo racconto trova di frequente riprova precisa in fonti sicurissime. Ed anche per quel che riguarda Sisto IV alcuni dei fatti determinati dall' Infessura ricevono conferma dai documenti. Non è infatti più dubbio che egli frodasse dei promessi salarii i lettori dello Studio romano; e poco meno che accertate sono le accuse: che egli si facesse incettatore di grani, e che avesse ridotte tutte le pene a denaro. E, come il Pastor stesso non ha potuto non riconoscere, i dispacci senesi, pubblicati dal Tommasini, confermano la narrazione. dell' Infessura per gli avvenimenti del 1482. E gli epigrammi pubblicati da Schmarsow, e divulgati in Germania alla morte di Sisto, se non possono di certo valere come una riprova della verità delle accuse gravissime dell' Infessura, mostrano però nel modo più decisivo, che quelle in nulla furono invenzione del diarista romano, ma erano voci popolari, rispondenti o pur no che fossero alla verità.

Per quanto poco potesse la cosa valere a mutare il giudizio sul papato di Sisto, sarebbe stata tuttavia opera meritevole del Pastor, se egli avesse provata la falsità dei grandi vizii attribuiti dall'Infessura a Sisto. Ma qui, per la natura delle accuse, la prova della falsità è altrettanto difficile quanto quella della verità. Il tentativo fatto dal Pastor in questo senso è mal riuscito. Il più che si può affermare è: che l'accusa di libidine contro natura non è provata. L'argomento che il Pastor adduce per escluderla del tutto, che Sisto IV sarebbe stato il più grande ipocrita se, essendo dedito a quei vizii turpissimi, avesse adempito così fervorosamente, come faceva, ai suoi doveri religiosi ed avesse avuta quella devozione, che aveva, speciale per il culto di Maria, non ha alcun valore. Numerosi fatti accertati, d'ogni tempo e specialmente nel costume medioevale, dimostrano che le aberrazioni della voluttà, quando non vanno a dirittura congiunte o con aperto cinismo od anche con dure pratiche ascetiche, cercano, non di rado, pur senza cosciente ipocrisia, quasi un compenso morale nelle ostentazioni religiose. Così del pari il Pastor rinviene una prova della liberalità di Sisto nel detto, che gli attribuisce l'ambasciatore veneto Soriano, «< che ad un papa bastava un tratto di penna per aver quella somma che desiderava », mentre invece è una prova della innegabile tendenza e consuetudine sua a cavar danaro, come meglio poteva, senza aver riguardo nè ai dritti ed ai bisogni di chicchesia nè alla moralità ed al prestigio dell'ufficio suo di sovrano. In realtà in Sisto come di frequente nei caratteri simili al suo coesistevano

ed erano correlative la liberalità e l'avidità. Non la liberalità che viene da grandezza d'animo, nè l'avidità che viene dall'avarizia. I fatti mostrano che egli verso le persone che prediligeva, era liberale, anzi prodigo del danaro, che con mezzi buoni e cattivi, con la venalità e con lo sconoscimento d'ogni giustizia, tirava, grazie alla forza dell'autorità sua. Così la liberalità di Sisto nelle varie forme della quale si riassumono tutte le vantate grandi qualità morali sue era nel fatto una vera negazione d'animo giusto e nobile. Schmarsow ha due pagine (260-1) mirabili per acuta ed esatta penetrazione psicologica: in esse sono finamente analizzati l'ardente temperamento, la viva sensibilità intellettuale e l'ancor più viva sensibilità estetica, che caratterizzavano la natura di Sisto. Se lo scrittore avesse portata la sua analisi sino alle estreme conseguenze logiche, e poste queste a raffronto dei fatti, egli avrebbe trovato, che tutte le manifestazioni della vita di questo papa, anche quelle che avevano l'apparenza della grandezza o della bontà d'animo, si riducevano alla ricerca di quella specie di appagamento di se stesso, estetico-sensuale, che è la tendenza ordinaria, determinata dall'unione dei sopraccennati tre ele

menti, quando ad essi fa riscontro nessuna od una scarsissima sensibilità morale od ideale.

Sisto IV è giustamente considerato come il fondatore della politica dinastica papale: quella politica, che poneva la potenza e la signoria di dominio della famiglia del papa a scopo od a sostegno del regno papale. Lo Stato della Chiesa che, a mio giudizio, fu per la politica cattolica-papale un nuovo, quasi necessario, puntello, che le servi utilmente sino alla fine del secolo scorso, più che consolidarsi od estendersi, si può dire nacque, come conseguenza, non preveduta, di siffatta politica nepotista. L'opera viva ed aperta di Sisto per la sua famiglia rese naturale e facile la più vasta ed intraprendente politica di famiglia dei Borgia. E gli acquisti di questi si convertirono poi in beneficio dello Stato della Chiesa parte per necessità di cose, parte per opera di Giulio II e di Leone X; coi quali, per quanto almeno pare a me, gl'interessi, se non morali, materiali della Chiesa riprendono il sopravvento su quelli di famiglia. Ma anche, innanzi a questo punto di vista, lo storico dee riconoscere, che allo spirito ed alla mente di Sisto restarono del tutto estranee la previsione e la preoccupazione di questa conseguenza, d'ordine superiore, del suo nepotismo. Non v'è alcuna prova che ci possa far portare un giudizio diverso. I dritti e gl'interessi della Chiesa furono ben gridati altamente da Sisto ogni volta che entrò in lotta per causa dell'ambizione di Girolamo; ma gli stessi dritti ed interessi furono pure facilmente barattati da lui anche verso gli altri Stati, quando con tale abbandono guadagnava l'interesse dei nipoti, come nella prima alleanza con Ferrante di Napoli con la quale la mano d'una bastarda di questi per Leonardo della Rovere fu dal papa comperata mercè la rinunzia ad importantissimi dritti materiali e morali della Chiesa.

Il modo indulgentemente ambiguo, col quale, come abbiamo visto, il Pastor giudica Sisto IV, ci offre la prova più caratteristica dei varii difetti, che turbano talvolta, come abbiamo dal bel principio notato, la sua obbiettività. Se, qui ed altrove, il giudizio suo fosse stato determinato da una giusta valutazione dei risultati della sua propria analisi, noi crediamo che esso sarebbe stato notevolmente diverso da quello dato. Ma nella bontà e larghezza dell' indagine il libro porta da se stesso spesso il rimedio al parziale difetto di criterio e di forza sintetica. L'Autore è ancora al principio della lunga ed aspra via, per la quale s'è incamminato. Il nostro sincero augurio è: che l'opera sua, già ora per molti rispetti pregevole, possa raggiungere, nei volumi che verranno, un grado di serenità di discussione e di obbiettività di giudizi, che corrisponda alla grandezza del soggetto della sua storia. FRANCESCO NITTI.

NOTIZIE

Nello storico palazzo di San Giorgio tra il 19 e il 27 settembre di quest'anno si adunò in Genova il quinto Congresso storico italiano. All'ufficio di presidenza furono eletti i signori Paolo Boselli come presidente, Ugo Balzani come vicepresidente, Giovanni Sforza ed Emanuele Greppi come segretari. I seguenti temi erano stati presentati per la discussione:

I. Convenienza e modo di promovere presso le Deputazioni e Società Storiche uno studio completo di tutti i monumenti e ricordi che ci restano delle grandi vie che attraversavano l'Italia nel medio evo, e di coordinare il detto studio colla compilazione della carta archeologica e storica d'Italia, cui intende il Ministero della pubblica istruzione (comunicato dalla R. Deputazione di Parma). Relatore: dott. Giovanni Mariotti.

II. Dell'indirizzo e del metodo da tenersi per le ricerche intorno alla storia della scienza, nell'intento di porre in luce ed illustrare i documenti ancora ignorati o poco noti, coordinandoli in guisa che giovino a chiarire nuovi fatti e siano buon fondamento allo studio di questa disciplina. Relatore: prof. Gino Loria.

III. Della utilità di dar mano ad una biografia degli scrittori italiani, compilata per regioni, con uniformità di metodo e da stamparsi in uno stesso formato dalle singole Deputazioni e Società Storiche, tenendo presente l'opera del Mazzucchelli con le modificazioni richieste dai progressi della critica. Relatore: cav. Giovanni Sforza.

IV. Sulla uniformità da tenersi da tutte le Società e Deputazioni Storiche nel pubblicare documenti medioevali (comunicato dalla Società Storica di Alessandria). Relatore: prof. Francesco Gasparolo.

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