Imágenes de páginas
PDF
EPUB

Tali relazioni che la Chiesa aveva con i feudatari e i comuni, vennero a poco a poco trasformandosi per l'aumento di autorità che la Chiesa stessa ogni giorno più acquistava su di essi. Quanto il potere dello Stato si estendeva ed assodava, tanto si attenuava e indeboliva l'indipendenza delle sue parti, senza però che perdesse in breve tempo importanza, nè mai potesse scomparire del tutto.

Nel secolo succeduto a quello di cui si è superiormente discorso, la Chiesa si vede crescere in autorità sui comuni per mezzo di ripetuti atti di sottomissione che questi le facevano, per averne, come frequentemente avveniva, remissione o pagamento di debiti, difesa contro le prepotenze feudali, pacificazione delle discordie intestine (1). Di fatto, col sottomettersi, i comuni non perdean gran cosa, e forse anche guadagnavano, essendo loro. regolarmente confermata la giurisdizione inferiore, la elezione dei magistrati, la compilazione degli statuti, l'amministrazione del patrimonio civico, l'esenzione da talune tasse, la limitazione del servizio militare, e così via dicendo. Molto però perdevano invece i comuni, se si considera che essi accettavano ora come concessione ciò che prima avean tenuto come diritto, e venivan perciò nella dipendenza della Chiesa assai più che prima non vi fossero, perchè questa, essendo concedente, poteva regolare, con opportune limitazioni secondo i suoi interessi, il grado della libertà comunale, e poteva di più anche ritogliere ciò che aveva conceduto: nel 1456, per esempio, Calisto III revocò tutte le concessioni che erano state fatte ai comuni a riguardo di dazi ed altri proventi camerali (2).

Coi feudatari si procedeva in modo somigliante. I feudi non furono certamente aboliti, anzi a conservarli concorse

(1) THEINER, op. cit. III, 60, 196, 238, 251, 260, 263, 293, 343, 344, 345, 356, 321, 380, 409 &c.

(2) Ivi, III, 337.

l'ambizione che molti pontefici ebbero di arricchire i propri nepoti: basti ricordare il grande feudo che, smembrandolo, si formò nel patrimonio di Tuscia, quando Paolo III istitui il ducato di Castro, cui aggiunse la contea di Ronciglione. Ma, d'altra parte, i feudatari furono tratti in una più estesa e più rigorosa dipendenza della Chiesa, diventando membra. della sua politica costituzione, anzi che esserne elementi di pericoloso disordine. Ogni occasione giovava alla Chiesa per rivendicare sui feudi i propri diritti: ora intromettendosi nelle loro contese, vi faceva valere il suo giudizio, come allora che Calisto III ordinò tregue alla guerra fra gli Orsini e gli Anguillara (1); ora si poneva di mezzo tra i feudatari e i comuni, e quelli costringeva a restituire a questi il mal tolto, come quando a Viterbo si fece rendere Sipicciano da Tartaglia di Lavello (2), il quale poi fu da Martino V creato conte di Toscanella, con territorio che comprendeva molti comuni, fra cui Marta, Canino, Montalto (5). Ed oltre a ciò, quando si potea farlo, si cercava di togliere addirittura di mezzo i feudatari di cui si aveva ragione di temere, ciò conseguendo sia col destituire dal feudo la persona investita di esso, come accadde nel 1444 a Dolce Anguillara, alleatosi con Francesco Sforza nemico della Chiesa (4); sia col togliere il feudo stesso a tutta la casa che si voleva colpire, come si giunse finalmente a fare colla casa Di Vico (5), e come ripetutamente fecero i papi propensi al nepotismo, innalzando i parenti propri sulle ruine di quelli innalzati dai loro predecessori; sia ancora coll'abolire il feudo, incamerandolo, come si fece, distruttane la capitale

(1) THEINER, op. cit. III, 336.
(2) Ivi, III, 144.

(3) Ivi, III, 206.

(4) Ivi, III, 300.

(5) CALISSE, I Prefetti, cit. p. 208.

per forza di armi, collo Stato feudale di Castro e Ronciglione. E cosi procedendo, potè alla fine il papato aver la forza di dichiarare che feudi non dovevano ulteriormente mai più costituirsi coi beni della Chiesa, e che di quelli già costituiti conveniva per ogni via rivendicare quanto più si fosse potuto. Così stabili infatti nel 1567 Pio V (1), il cui esempio imitarono anche altri fra' suoi successori, e molte furono le rivendicazioni che la Chiesa. fece in tutto il suo Stato, fra le quali, per ciò che si limita al Patrimonio di Tuscia, sono da annoverarsi, oltre a taluni castelli, molte tenute nei territori di Montalto, Allumiere, Civitavecchia, Civitacastellana, Tolfa, Orte, Toscanella, Montefiascone ed altrove (2).

In

questo modo, il Patrimonio di S. Pietro in Tuscia dalla antica disuguaglianza delle sue parti si avvicinava sempre più a prendere un assetto uniforme, sotto l'azione accentratrice del Governo assoluto. E poichè altrettanto avveniva delle altre provincie della Chiesa, tutto lo Stato

di

questa si faceva più omogeneo, senza per altro, come si è già avvertito, che non rimanessero della naturale varietà delle parti lunghe tracce e conseguenze importanti.

Quando, dopo la restaurazione del 1815, si volle riordinare lo Stato, Pio VII lamentava ancora che « mancava allo Stato quella uniformità che è così utile ai pubblici e privati interessi, perchè, formato colla suc«cessiva riunione di dominî differenti, presentava un "aggregato di usi, di leggi, di privilegi fra loro natural« mente difformi, cosicchè rendevano una provincia bene spesso straniera all'altra, e talvolta disgiungeva nella « provincia medesima l'uno dall'altro paese » (3). A tale disordine Pio VII provvide colla nuova Organizzazione

(1) THEINER, op. cit. III, 436.

(2) Ivi, III, 438, 439, 452.

(3) Moto proprio della S. di N. S. P. Pio VII in data 6 luglio 1816.

governativa (1): ma pur così provvedendo non cancellò tanto le tracce dell'antico, che questo non tralucesse sotto alcune delle nuove istituzioni. La provincia di Toscana si continuò pur sempre a chiamar Patrimonio: e siccome in essa, senza romperne l'unità, erano stati istituiti tre governi o distretti, quelli cioè di Viterbo, di Civitavecchia e di Orvieto, secondo l'antica divisione delle regioni della provincia stessa, la bolsenese, cioè, o Valdilago, la marina e la centrale dei Cimini (2); nell'ordinamento di Pio VII, compiuto poi da quello di Gregorio XVI del 1831, ai detti tre governi corrisposero le tre delegazioni, a cui sono succeduti i tre attuali circondari, nei quali si comprende quasi tutto il paese che già formò il Patrimonio di S. Pietro in Tuscia.

(1) Ivi, titolo I, art. 1-23.

(2) V. p. 7.

DOCUMENTI VATICANI

CONTRO

L'ERESIA LUTERANA IN ITALIA

PL desiderio di un'accurata investigazione di quanto successe in Italia al tempo della rivoluzione religiosa di Germania ci ha fatto ricercare nell'archivio secreto Vaticano tutti i brevi che furono scritti, o contro le persone, o in favore dei mezzi per impedire nel nostro paese l'estendimento dell'eresia luterana. Le conchiusioni del nostro studio furono già accennate in un primo volume intitolato: Renata di Francia, duchessa di Ferrara, e più ampiamente saranno svolte in un secondo volume che vedrà la luce fra non molto. Non volendo defraudare intanto gli studiosi dei documenti di cui siamo in possesso, sui quali potranno esercitare l'acume della critica, ci è parso di dover mandare innanzi questa pubblicazione, premettendo alcune considerazioni, non indispensabili, ma non soverchie.

E primieramente, questi brevi sono trascritti tutti di mano nostra, meno quattro che abbiamo avuto cura di rivedere col confronto del testo. Ogni errore sarebbe adunque imputabile a noi; ma, salvo quelli che possano sfuggire

« AnteriorContinuar »