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Altro compendio istorico dell' Ariccia, Albano etc. fu scritto
da Giulio, o Fulvio Mattia Sorentini dell' Ariccia, poi arciprete
d'Albano e vicario generale sotto il cardinal Gio. Battista Pallot-
ta, quale si conserva nella libreria Chigi di Roma, e l'originale
esiste presso di me. Di questo parla Valentino Stebero medico di
Castel Gandolfo nella lettera de' 24. gennaro 1663., scritta al
P. Kircher (1) sopra l'antichità dell' anfiteatro albano, e di Civi-
ta Lavinia, nella quale sinceramente confessa di non essersi fidato
del proprio sapere, e perciò aver consultato l' arciprete d' Albano
suo amico, uomo adorno di dottrina non volgare è indagatore in-
signe delle antichità. Pronette in fine di mandargli tra poco un
commentariolo non solo su questi luoghi ; ma ancora su moltissi-
me altre cose spettanti alli luoghi convicini, e singolarmente a'
Nemorensi, Aricini, e Alba longa raccolto e compilato dal so-
pracitato arciprete d' Albano, e dal medesimo promessogli in im-
prestito subito che lo avesse ricuperato da un monaco Vallombro-
sano, a cui prestato l'aveva, affinchè da esso il P. Kircher ne ri-
cavasse ciò, che di migliore e più degno di osservazione vi tro.

vasse .

Gio. Battista Barbetta dell' Ariccia, arcidiacono e teologo
prebendato d' Albano scrisse parimente sopra Albano e l'Ariccia,
ma le sue carte si sono affatto smarrite (2).

cardinal Pietro Ottoboni, e di poi per or-
dine del Pontefice Benedetto xiv. grande
amatore dell'antichità furono trasportati
nella Biblioteca Vaticana, come attesta il
Nerini Hist. SS. Bonif., et Alex. de Urbe
Appendice SS.not.45. pag. 484., il quale fa.
cendo menzione di Castel Gandolfo, così
si esprime:,, Quas autem, quantasque in
» fosterum vicissitudines, dominerumque mu-
tationes subierit
monumenta publica
» ostendant, quæ in unum collegit Dominicus
Jacovacci in lib. ad Alexandrum VII.,
» quem inscripsit: Notizie di Castel Gan-
"delfo. Ilujus celeberrimi Auctoris opera
omnia mss. ex Bibliotheca Oʻtoboniana nu-
per in Vaticanam illata sunt. „

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(1) Verum etiam non nisus propria
scientia convenire putavi R. D. Archipres
byterum Albanensium, virum haud vulga-
ri doctrina insignitum, et antiquitatis
præcipuum indagatorem, amantissimum
nei..., de quibus omnibus, et plurimis
aliis rebus in hisce finitimis plagis, præ-
cipue Nemorensibus, Aricinis, et Alba
longe observatu condignis exactiorem com-
municabo Sue Rev. intra brevem tem-

a

poris intercapedinem notitiam, quam
præmemorato Archipresbytero Albani haTM
buero, qui multa præclara hac super re
sedulo olim ab se animadversa, et in com-
mentariolum redacta cuidam Religioso
Vallis Umbrosæ apud Deiparam Ariciaam
degenti se concessisse effatus est, et pol
licitus se mihi omnia, ubi ea repetere po-
tuerit, mutua daturum, ut Sua Rev. quod
melius atque observabilius inde judicave-
rit, sibi idipsum depromat. Kircher Lat.
vet. et nov. lib. 2. cap. 8.

(2) Potevano anche nominarsi dal sig.
abb. Ricci il Sorentini, e il Barbetta co-
me Albanesi per ragione del beneficio, e
a questi potevano aggiungersi Agostino
Pezzi di Albano similmente arcidiacono
e vicario generale sotto li vescovi Fabrizio
Serbelloni, e Francesco Gioacchino Pierre
de Bernis, il quale per molti anni fu ret-
tore del collegio Ghislieri di Roma, e
v' insegnò le scienze legali. Nè dovea om-
mettersi monsignor Tommaso Mancini,
che dall' arcipretura di Albano fu assunte
alla sede vescovile di Città della Pieve.

Domenico Dotti d' Albano, prima canonico, poi arcidiacono e teologo prebendato di quella città, segretario nell' ultimo Sinodo Albanese dell' anno 1686., e vicario generale d'Albano sotto il cardinal Girolamo Grimaldi, dopo il Jacovacci è quegli, che più di tutti ha illustrato la sua patria (1).

(1) Compilò e continuò sino all' anno 1700. il Dotti una serie de' vescovi d'Albano in poco dissimile da quella dell' Ughelli; ma l'illustrò con notizie interessanti per tutta la diocesi, descrivendo le azioni de' vescovi, che a pro della loro chiesa e diocesi operato aveano; e la corredo con la serie de' vescovi suffraganei, de' vicarj generali, e de' cancellieri vescovili, e con l'erezione de' capitoli, monasteri e conventi di tutta la diocesi, opera di poi esistente presso la ch. me. del cardinal Garampi, il quale ne faceva molto conto, come più volte mi disse. Scrisse ancora il Dotti due tomi sulle famiglie il lustri di Roma, ma questi credonsi smarriti. Poteva dunque aver luogo anche questi nella Storia d'Albano del sig. abb. Ricci, al quale, penso io, sia fuggito dalla mente di trattare questa materia. Poteva a questo aggiunger anche Gian Domenico Corradi vissuto a' nostri giorni, uomo perito nella scienza-legale, del quale si servi in qualità di segretario il cardinal Barberini nella sua Legazione d'Avignone, e scrisse la storia della Casa Barberini. Nè doveva preterii si Nicola Coluzzi di Albano vissuto a' nostri giorni, il quale fu versatissimo nelle scienze legali, e grand' amatore della poesia, le di cui opere furono pubblicate colle stampe di Venezia nell' anno 1777., il quale dopo aver per molti anni con sommo plauso esercitata la Curia Romana, fu finalmente eletto Commissario di Ferrara, ove morì. Ma sopra tutto potevasi far menzione di quelli, i quali al presente accrescono colla loro scienza il lustro alla città di Albano, e sono il sig. Filippo Vannini, il quale dopo aver con applauso universale esercitata la medicina nelle prime città del Lazio, ritrovasi ora medico primario in Orvieto; il ch. monsignor D. Michele di Pietro a tutti noto per la profonda sua erudizione nelle scienze umane e divine. Di questi due ho dovuto farne gloriosa men

zione per consiglio del mentovato cardinal Garampi, il quale ne faceva gran conto, e ne aveva grande stima: e finalmente il Rmo P. D. Pietro Paolo Bedini monaco Certosino, il quale dopo aver occupato le più luminose cariche del suo ordine si ritirò nel monastero di Casamare per attendere alla vita solitaria, ove morì.

Prima del Dotti avea già scritta la storia d' Albano Giulio Cesare Santorio arcidiacono parimente diacono parimente, e vicario generale d'Albano sotto li vescovi Fra Girolamo Bernieri, Antonio Sauli, Gio. Battista Deti, e Andrea Peretti. Questa fu trovata tra le carte di un pizzicarolo di Roma nell' anno 1758., e a me da un amico, il quale non ho più in memoria, prestata, e ne feci fare una copia, che tengo pres so di me. Poteva anche di questo far menzione il sig. abb. Ricci, tanto più, che in un istrumento di vendita di vigna fatta da Giovanni Marescialli, e Lucia di lui moglie, rogato per gli atti di Gio. Pietro Arzani notaro dell' Ariccia sotto li 20. gennaro 1627. leggesi sul principio: Coram Perillustri, et Rmo D. Jiulio Cesare Sanctorio Nob. Albanen. J. V. D. Prothonotario Apostolico, et Illmi, et Rmi D. Card. Pe-. retti Episcopi Albanen.Vicario Generali: Poteva, dissi, nominarsi questo soggetto, e con esso illustrare la storia albanese con dilucidare il dubbio, se in Albano sianvi state famiglie nobili. A questo proposito poteva anche aggiungersi Mercone, che da Francesco Zazzara tom. 1. della Casa de Conti di Marsi si dice signore di Albano, de' Conti del Tuscolo, il quale fece una donazione alla Badia di s. Benedetto e Scolastica di Subiaco, e riporta le seguenti parole dell' istrumento: Anno 12. Bonifacii Pape II. ind. 13. die 11. Iunii Merco Nobilis Vir, magnificus, natione de Albano, modo Dei gratia Monachus in Monasterio SS. Benedicti, et Scolastica, et offert Gregorio Episcopo, et Monacho, atque Abbati pradicti Monasterii, et ipsi Monasterio

Non deve ommettersi il cardinal Fabrizio Paolucci vescovo d'Albano, il quale nella visita della diocesi inseri in compendio le più celebri notizie istoriche profane e sagre di Albano e di tutti i luoghi della sua diocesi.

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Gio. Pietro Arzani dell' Ariccia, vicario generale d' Albano sotto il vescovado del cardinal Cesare D' Estrees, uomo versatissimo nella scienza de' sagri canoni, nella teologia e nella poesia, raccolse molte notizie riguardanti la città d' Albano, e altri luoghi della diocesi, ma soprattutto dell' Ariccia, e le unì in due protocolli, che conservansi nell' archivio della chiesa collegiata dell' Ariccia, di cui fu egli canonico. Il capitolo dell' Ariccia venererà sempre la memoria di questo canonico, il quale oltre le sudette raccolte estrasse da' pubblici archivj tutti gl' istromenti, che riguardavano il suo capitolo, li copiò di proprio carattere, e senza veruna spesa de' canonici li fece rendere autentici da Gian Pietro di lui padre, e da Matteo di lui fratello ambedue notari dell'

Ecclesiam S. Petri Apostoli cum Curtinis suis ia supradicto Albano cum silvis,arboribus etc. actum Subiaci etc. Da questo documento si rilevano molte cose interessanti all' istoria albanese. E primieramente, che Merco ne della famiglia de' Conti Tusculani era signore d'Albano, come asserisce il sopracitato Zazzara. Albano dunque fu alcun tempo sotto il dominio de'Conti Tusculani. Inoltre si rileva, che Mercone era nobile e nato in Albano, e che li monaci Benedettini furono altre volte possessori della chiesa di s. Pietro d'Albano. Questa notizia servir potrebbe a sciogliere il dubbio, se li monaci Benedettini siano mai stati padroni di questa città. Io leggo a questo proposito nel lib. 1. Doc. var. Cap. Aricia pag.193.: La città di Albano, che in tempo di Pasquale 11. si dice fosse della R. C. Apostolica, passò molti anni dopo nel dominio de' vescovi pro tempore, da' quali tornò alla detta Cainmera, e da questa furono investiti li Padri Benedettini, i quali in tempo di Eugenio Quarto la venderono al Sig.

Savelli

per cinque mila fiorini, attesa la poca rendita, che ne cavavano, e la spesa maggiore, che erano obbligati fare nel mantenere il presidio nella fortezza, che stava, dove oggi è il monasterio de' Padri di s. Alessio di Roma contiguo alla chiesa di s. Paolo, chiamata nel Beneplacito Apostolico Fortelitium, quale serviva per la difesa della città, che si restringeva tra

l'arco unito al forno sino al principio della piazza di s. Rocco, e dalla casa delli Santori a tutta la chiesa cattedrale, conoscendosi sino al giorno d' oggi li vestiggj delle mura.

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Dal che non è meraviglia se fu venduta per poco prezzo e se l'entrate fossero tenui; perchè ciò non solo procedeva dal poco numero degli abitanti, na ancora perchè li beni, e terreni erano allodiali, e proprj de' cittadini, e gli affitti del forno, macello, osteria e pizzicaria o non vi erano, o pure spettavano al Pubblico, che in progresso del tempo, e senza poter penetrarsene la vera cagione, è restato privo di tutti li retroscritti proventi appropriati alla Camera Baronale del principe, è del dominio delli terreni.

Sin qui si è fatta menzione degli Albanesi illustri nelle lettere. Abbiamo anche Niccolò Masi illustre nelle armi, il quale seguendo il partito de' Savelli contro i nemici del Pont. Clemente vi. nell' anno 1527. sotto la terra di Gavignano venne a singolar battaglia contro del Gen. Oranges: ma mentre questo (così leggesi nella manoscritta Istoria del Sacco di Roma di Fabrizio De Rossi part. 13. cap. 10.) faceva prova più da Soldato, che da Capitano coll Albanesi, fu da quei del Castagneto (luogo, ivi vicino, ove eransi ritirati altri nemici ) colpito con due archibugiate in guisa, che quivi cadde morto da cavalle.

Ariccia, e formò con somma fatica un grosso volume, in cui descrisse tutti li diritti, prerogative e beni del suo capitolo.

Finalmente ritrovasi un manoscritto presso il canonico D. Fran cesco Brignoli, che porta in fronte il nome di Gian Battista Conti Pinci di lui pro - zio materno, in cui accuratamente è descritta la storia profana di Albano dell' Ariccia e di altri luoghi vicini, divisa in sei giornate.

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CA P. I I.

Della fondazione dell' Ariccia.

Non vi fu città, non vi fu nazione,

che fra mille favole non

involvesse la propria fondazione ed origine, per renderla più celebre e più famosa. Si dà, dice Livio (1), all' antichità questa licenza. Ha l' Ariccia anch'essa la sua fondazione favolosa ripetendola da Ippolito figliuolo di Teseo re di Atene. Portatosi questo alla guerra di Troja, e rimasta in Atene Fedra sua moglie, s' invaghi ella d' Ippolito suo figliastro, e tolerar non potendo le replicate ripulse del casto giovane, convertito in odio l'amore, con la più nera calunnia l'accusò presso il padre d'aver quegli tentato violare il di lui letto convenne pertanto ad Ippolito per salvarsi dall' ira del troppo credulo padre darsi prontamente alla fuga. Da questo fatto si prese motivo di favoleggiare, che nel mentre Ippolito se ne fuggiva, spaventati da un mostro marino i suoi cavalli lo rovesciasser dal cocchio, e rimastegli avvinte al braccio le redini strascinato per luoghi spinosi e dirupati perdesse lacerato in mille guise miseramente la vita. Chi poi lo finse da Diana portato in cielo, dove tuttavia risplende fra gli astri col nome di Auriga celeste (2). Chi finse, che a'prieghi di Diana ravvivato, Dite indignante, con succhi d' erbe da Esculapio, nuovamente morendo rilegato venisse in un perpetuo tenebroso carcere dell' Inferno senza speranza di più escirne (3). E chi finalmente finse, che ravvivato, come si disse, da Esculapio, Diana cambiatolo di volto e di nome, e datogli, perchè riconosciuto non destasse l'altrui invidia, un aspetto più vecchio, il venne a celare nella sua selva Aricina, dove fu poi fra gli Dei minori col nome di Virbio venerato (4). Virgilio ancora adottò questa favola, aggiungendo, che

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nella guerra tra Turno ed Enea marciò in soccorso di Turno anthe Virbio figlio d' Ippolito e di Aricia (1).

Questa è la favola, alla cui finzione diedero causa, ed il nome d' Ippolito derivato da hippos (cavallo), e l'amor della caccia, ond' era Ippolito predominato, e la di lui castimonia, ed il tempio col bosco Aricino, dove special culto si rendeva a Diana e ad Ippolito, e finalmente il nome di Aricia, che la città prossima aveva; e questa è pure la favola, che fe nascere in progresso di tempo la fama, che l' Ariccia fosse stata fondata da Ippolito, e così denominata dal nome della di lui sposa. Ma una origine e fondazione favolosa può ben servire di ornamento, ma non già di fondamento ad una storia.

La città dell' Ariccia è molto più antica della Guerra Trojana, nel cui tempo vissero Teseo, Fedra ed Ippolito. Imperocchè in quella medesima età, cioè subito dopo la distruzione di Troja, era di già l' Ariccia una città potente e popolata, avendo somministrato a Turno re de' Rutuli un valido ajuto di soldati nella guerra contro il re Latino, ed Enea, come vedremo, allorchè si farà discorso d'Ippolito e di Virbio. Dobbiamo dunque cercare la sua fondazione in secoli più rimoti.

Solino ci fa sapere (2), che fu fondata da Archiloco duce de' Siculi, e che dal medesimo trasse il suo nome. = Aricia ab Archiloco Siculo, unde et nomen (ut Cassio Heminæ placet ) tractum. = Il nome dunque dell' Ariccia non derivò da Aricia moglie d'Ippolito, ma bensì da Archiloco suo fondatore. Quello pertanto di Erminiu, che gli scrittori de' nostri tempi le danno nella sua prima origine, se non è un equivoco preso da Emina cognome di Cassio sarà forse tratto da' sogni di Annio da Viterbo. Ma d'onde mai traevan l'origine i Siculi? ed in qual tempo regnaron essi in questa parte d'Italia ? Questo appunto è quello, che involto fra le tenebre de' secoli più vetusti, conviene alla meglio che sia possibile di rintracciare, rimontando sino ai primi re ed ai primi abitatori d'Italia.

Quantunque tanto i Greci, che i Latini scrittori della storia. Romana abbiano di molto approssimata ai re Latini l'epoca del regno di Saturno e di Giano, per dar così più facilmente a credere, che da essi l'origin sua traessero i Romani; la verità però si è, che molti secoli prima regnarono quelli in Italia. Il Volterra

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no,

noribus unus. Ovid.Metamer.l b.ss. (1) Ibat et Hippolyti proles pulcherri

ma bello

Virbius, insignem quem mater Ari

cia misit

Eductum Ægerie lucis. Ænead, lib.7. (2) Polyhist. cap. 8.

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