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« Nè sarebbe quasi minor fatica, sceverando, raccogliere «< alcune parti di queste, le quali a voi sembrano più utili, « qual si farebbe di alcuni fiori; non potendo farsi la scelta << delle parti se non più diligentemente compiuto il tutto. Ma << nondimeno se durate nel vostro desiderio, non vi dispiaccia << il nostro consiglio, qualunque esso sia. Alcuni desiderosi << delle nostre consuetudini, e della ragione del nostro vivere, << spediscono qui un dei loro che veggono essere di mente, << onde non solo coll'udire ma anche col vedere apprenda ciò << per cui è mandato; e in tal guisa, chi un anno e chi anche < più lungo tempo si ferma qui, come uno dei nostri. Final<< mente istrutto di tutto torna con sicuro ed allegro animo << al suo monastero. Ci pare che questo stesso consiglio, ove « vi tornasse grato, cadrebbe acconcio; in guisa però, che << provvedendo noi al vostro decoro, voi anche facciate lo << stesso verso questo luogo, e per cagion di noi, e della biso<< gna. State sani, e perpetualmente viventi in Cristo » —

vellemus. Quasdam autem partes quæ vobis utiliores videntur quasi quosdam flores decerpendo colligere non minor fere difficultas esset, partium electio nisi toto diligentius perfecto fieri non possit. Verum tamen si in vestro perseverare volueritis desiderio, nostrum quotcumque vobis non displiceal consilium. Plerique nostræ consuetudinis, nostræque conversationis cupidi, de suis quem cognoscunt ingenii, unum huc transmittunt, qui non solum auditu, verum etiam ipso visu pro quibus mittitur perspiciat; eoque modo, quasi unus ex nobis, hic quidam per unicum annum, quidam etiam diutius manent, tandem omnibus perspectis, ad sua certus cum gaudio redit. Hoc idem non ab re nobis videtur, si vobis placeat consilium: sic lamen ut honori vestro consulentes, hujus loci, cum nostri, tam eliam hujus rei causa commodo el honori providealis. In Christo valeatis, vigeatis, sine fine vivat's. ·

Ritrattosi adunque dal governo dalla Badia Giovanni II, un altro Giovanni Beneventano successegli costui fu di coloro, che per la elezione di Mansone se ne partirono dalla Badia ed andarono peregrinando ai luoghi santi. Stettesi sul monte Sinai per un sessenio, solitario in molta penitenza, poi nel monastero del monte Agynore in Grecia, indi come narra Leone, tornò in Italia per superne ispirazioni. Vecchio era ed austero: aspreggiò i monaci col suo reggimento. Non rifinivano intanto i vicini gastaldi, e specialmente quello di Aquino, di arrecar tribolazioni agli abati, delle quali o fosse poco tollerante, o non si sentisse in forza da cessarle, Giovanni III recossi in Capua per chiedere di soccorso il principe di quella città. I monaci, vedendolo allontanato, come quelli che malissimo comportavano il governo di lui, colsero quel destro per crearsi un altro abate, e questi fu Docibile di Gaeta, uomo di semplicissimi costumi, che poteva ristorarli de'rigori sofferti. Il buon monaco, vedendosi levato a quell'ufficio, volle subito esercitarlo, ponendosi in viaggio a visitare il patrimonio di S. Benedetto; nelle quali peregrinazioni era costume che i vassalli regalassero il nuovo abate in segno di suggezione. Vide gli Abruzzi, calò nella Marca, ed oltre ai vassalli, varî maggiorenti delle terre e città per cui dava lo presentavan di ricchi doni, di bellissimi cavalli (1). Ma fatto fu, che i figli di Benzone, uomini poderosi della città di Penne, vedendolo così ben provveduto d'ogni cosa, gli tesero agguato, e lo dispogliarono di tutto. Della qual ruberia risaputo Berardo conte de'Marsi, venne ad incontrarlo, e di tanti cavalli lo regalò generosamente di quanti aveanlo rubato i Pennesi. Allora l'abate giunto in un luogo detto Forca Pennese, voltosi ai circostanti, scagliò una maledizione contro i figli di Benzone, e benedisse il conte Berardo, dicendo-Sia la casa di Benzone sempre suggetta a quella di Berardo, e non mai si allontani da essa la spada dell'ira di Dio-Ricondottosi alla Badia, e

(1) Leo. Ost. C. 28.

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scorsi appena sette mesi dalla sua elezione, eccoti venir da Capua Giovanni, il quale lo cacciò di seggio ed egli che era uomo semplice, senza far motto tornossene onde era venuto. (1010)

Come in vita si fu Giovanni aspro e prepotente uomo, tale fu in morte. Poco tempo innanzi che questa avvenisse, Rotondolo suo nipote, canonico diacono della Chiesa di Benevento, avea indossato l'abito monastico in Monte-Cassino; e per carità di parente, o per altre cagioni volle Giovanni, lui morto, succedessegli nel governo; e fu abate. Ma alla maggior parte de' monaci non talentando quella elezione, che non era punto a tenore delle loro vecchie consuetudini, si volse a Pandolfo principe di Benevento, pregandolo che volesse venire a comporre le cose di loro, togliendo d'ufficio Rotondolo, e ponendovi il figlio di lui Atenolfo, il quale era monaco, (1) che avrebbero riconosciuto a loro abate.

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Quando Ottone II raltrovavasi in Capua nel 981 per la spedizione che fece contra i Greci in Calabria, condusse seco Atenolfo ancora fanciullo come ostaggio, per tenere in sua fede Pandolfo II padre di lui, e lo rinchiuse in un monastero, forse di Germania, perchè fosse nudrito e guardato. Avvenne, che scorso alcun tempo, colui che guardavalo, lo consigliò a fuggirsene, e ad indossare l'abito di monaco, per celarsi. Ma tornandosene in Italia il giovanetto, gravemente infermò via, e a risanare fece voto a Dio di non ispogliarsi più di quella cocolla che egli avea preso per finzione. Ricuperata la sanità, e tornato in casa del padre, ricordando del voto, non volle fermarvisi, ma andò a rinchiudersi monaco nel monastero di S. Modesto, che era nella città di Benevento. Di là trasselo il padre Pandolfo, e cogli arcivescovi di Benevento e di Capua, Pandolfo ed Alfano, venne a Monte-Cassino, e cacciato Rotondolo, che poi prepose al monastero di S. Modesto di Benevento, a pieni suffragi de' monaci, lo fece pubblicare abate. (1011)

(1) Cod. MS. 3. pag. 138.

Levato Atenolfo al seggio Badiale, avendo innanzi alla mente il pensiero della santità della vita, cui obbligavalo la condizione di monaco, quasi perdette la memoria della stirpe principesca da cui aveva i natali; e fu uomo assai umile ed umano di costumi (1). Tre anni dopo la sua elezione, avvenne in Roma la incoronazione imperiale di Errico detto il Santo. (1014) Colse questo destro Atenolfo per ottenere dal nuovo imperadore un precetto o carta di confermazione di tutte le possessioni badiali (2) ed un privilegio da papa Benedetto VIII, (3) nel quale il pontefice conferma le giurisdizioni spirituali dell'abate tali quali furono concesse da papa Zaccaria; e minaccia la scommunica a coloro che volessero violare il diritto di elezione dell'abate che avevano i monaci, e la interezza del patrimonio. Sono queste due carte scritte in Roma nell'anno dell'incoronazione di Errico.

Raffermate con queste papali ed imperiali ordinazioni le giurisdizioni ed il possesso della florida signoria, volse l'animo Atenolfo a belle opere di arti. Fece innalzare un'alta torre per campane di ottimo lavoro, in mezzo della quale era un allare sacro alla S. Croce ; e innanzi la porta della Chiesa, ai due lati, su colonne di marmo gittare due volte, come due portici, in un dei quali pose un altare alla Trinità, nell'altro a S. Bartolomeo. (4) L'Absida maggiore della Chiesa ornò di bellissime dipinture a fondo d'oro; e ristorò la Chiesa di S. Stefano che era alle porte della Badia e vi levò un altare a S. Adalberto vescovo di Praga, il quale da poco tempo era morto martire per la fede, e che era stato monaco in Monte-Cassino. Il piccolo monastero, e Chiesa di S. Angelo in Valle-luce fatto costruire da abate Gisulfo ristorò ed aggrandi; e lo dette ad abitare ai monaci di S. Benedetto, essendovi stati fino a quel tempo monaci Greci condottivi dal B. Nilo, come fu detto, sotto abate Aligerno. Dopo le incursioni de'Saraceni per cui fu distrulla

(1) Leo. Ost. Cap. 31.
(2) Ved. Docum. L.

(3) Ved. Docum. M.
(4) Leo. Ost. 32.

la Badia e messo a morte Bertario, era rimasta quasi distrutta la città di S. Germano per la furia di quei barbari: Atenolfo la rilevò in gran parte e ne fu quasi secondo fondatore (1). Abbiamo argomento a credere che questo abate applicasse l'animo a fare scrivere codici per uso dei Monaci; stante che ve n'ha uno che contiene i comenti di S. Ambrogio sul Vangelo di S. Luca (2) in cui è anche un'offerta di questo codice che Atenolfo fa a S. Benedetto.

Mentre questi teneva la somma delle cose Cassinesi, nuova generazione di uomini e non conosciuti per lo innanzi, venne in queste regioni dell'Italia cistiberina, dico i Normanni, che alle presenti cose erano per dare anche nuovo assetto, su le cadenti dominazioni Lombarde formare la propria, e finalmente ne'fatti Cassinesi venire a prendere moltissima parte. Vennero prima aiutatori di Guaimaro di Salerno contro i Saraceni, poi di Melo nobile Barese contra i Greci. Malissimo governo facevano questi de' Pugliesi, sì che dalle oppressioni de'Saraceni in altre più dure pareva fossero passati : Bari gemeva più che altri sotto questo giogo. Era in questa città un Melo nobile uomo, ricco e di molto seguito, che alle miserie della patria compiangendo, intese a generosi sforzi per liberarla con un suo cognato Datto di nome. Armò i Normanni, e con varia fortuna combattette; ma finalmente gli fu forza ritrarsi da quel ballo, e recossi in corte di Arrigo II.° imperadore di Germania, per ottenere aiuto nella pietosa impresa. Arrigo si peritava, intanto che Melo moriva. Tolto quest'ostacolo, i Greci aggrandivano un di più che l'altro, non solo nella Puglia ed in Calabria, ma anche a danno de' principati di Salerno, Capua e Benevento. Per la qual cosa riscossesi il papa Benedetto VIII, il quale non potendo far altro, fidò in mano di Datto un castello presso il Garigliano, perchè vi stesse a guardia con buona mano di Normanni. (3)

(1) Leo. Ost. C. 32.

(2) Ved. Doc. Dei Codici MSS.
(3) Leo Ost. Amatus Hist. Norm.

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