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dipinta una delle insegne dell'ordine certosino, cioè il monogramma formato dalle tre prime lettere del nome « Cartusia ». Attigui a quei chiostri veggonsi altre serie di caseggiati d'aspetto assai meschino, che racchiudono spazi coltivati ad orto ed aie.

L'antica chiesuola diventò, come accennai, il presbitero d'una chiesa ad una sol navata, di modeste proporzioni. Gli stalli che servivano all'uffiziatura dei monaci non ne furono rimossi; essi non offrono alcunchè di rimarchevole, sono però in buon stato. Constano di quattro serie: due di esse stanno addossate alle mura laterali da dove finisce il presbiterio fino alla metà circa della chiesa; le altre due serie erano, secondo lo stile certosino, situate di seguito alle prime ma perpendicolarmente alle mura laterali con un'apertura nel mezzo e formavano così un secondo presbiterio. Queste due ultime serie di stalli sono ora collocate contro la parete di fondo della chiesa (1).

Gli edifizi ed i poderi di Banda, come quelli di Montebenedetto, continuarono ad appartenere ai certosini fino alla soppressione degli ordini religiosi decretata nei primi anni del secolo che sta per finire. La certosa di Collegno deputava uno dei suoi religiosi, col nome di procuratore di Banda, ad amministrare ciò che essa possedeva nella valle di Susa. Nella ristorazione dell'anno 1814 la tenuta di Banda e quella di Moschiglione furono rivendicate per cura del Governo, acquistandole da coloro che all'epoca della soppressione ne erano diventati proprietari: non le riebbero tuttavia i certosini, i quali invano le reclamarono, e vennero invece assegnate in dote al capitolo della cattedrale di Susa. Incamerate di bel nuovo colla liquidazione dell'asse ecclesiastico sono state vendute, e presentemente l'ex-certosa di Banda è divisa tra diversi proprietari che vi fanno dimora. La chiesa, rimasta alcun tempo in abbandono, fu riaperta or non è molto al divin culto.

(1) Così stavano le cose nel luglio 1896.

PARTE SECONDA

(I due capitoli precedenti di questa seconda parte sono inseriti nel 1° volume del presente lavoro; Miscellanea di Stor. Ital., ser. 3, vol. I, dalla pag. 131 a 180).

CAPITOLO TERZO

La certosa di Mombracco dal secolo XV al XVIII.

La certosa di Mombracco dal secolo xv al xviii. I Torosani di Bagnolo, Azzo di Saluzzo, i Romagnani, benefattori di quel monastero. Questioni pei tributi con Saluzzo.

I Trappisti a Mombracco. Stato attuale dell'antico monastero.

La certosa di Mombracco, alla quale consacrai due capitoli della parte seconda nel primo volume di queste Notizie (1), fu incorporata come quella di Banda, alla certosa di Collegno l'anno 1642 (2). Ragion vuole quindi che prima di narrar la fondazione di quest'ultima io esponga le vicende della casa monastica di Mombracco dall'epoca in cui termina il secondo degli anzidetti capitoli, vale a dire dal fine del secolo XIV.

Questo monastero certosino, i cui primordi risalgono alla metà del decimo terzo secolo, riconosce per suo primo fondatore Sinibaldo Fieschi dei signori di Bagnara nel Tortonese il quale, fatta costrurre una chiesa in onore della Vergine Maria sul Mombracco, ne fece dono all'ordine certosino in persona di Donna Giacoma, priora del monastero di Belmonte (3). Venuta meno la

(1) Miscellanea di Storia Italiana, vol. cit. pag. 131-180.

« Col nome di Mombracco viene designata una montagnola tra Saluzzo e Pinerolo, col« legata da un colle assai depresso al massiccio delle Alpi che separa la valle del Po da quella << del Pellice. Il Mombracco si alza quasi perpendicolarmente sulla pianura del Piemonte, colla << quale confina a levante: a ponente di questo monte giace la fertile valletta di Barge ». (Ivi, pag. 131).

(2) Ivi, pag. 6.

(3) Miscellanea, vol. cit. pag. 135 e seg. Alla pag. 139 di quel volume cercai di indagare il motivo che spinse Sinibaldo Fieschi ad edificare sul Mombracco la chiesa di Santa Maria ed a farne dono all'ordine certosino. Tralasciai però una circostanza, che non fu, forse, estranea alla esecuzione di quel fatto. Beatrice Fieschi, seconda moglie di Tommaso II di Savoia, conte di Fiandra, poi signore del Piemonte, era zia di Sinibaldo perchè sorella di suo padre (Vedi la tavola genealogica nel citato volume, pag. 296). Ora è da sapersi che il prefato principe Tommaso aveva disposto per testamento che in un luogo dei suoi dominii in Piemonte venisse eretta una certosa (İvi, pag. 1-2). Gli infortunii di quel principe furono senza dubbio la causa per cui i suoi figli ed eredi trascurarono il pio divisamento del genitore. Ma quel che non eseguirono essi lo fece il cugino loro Sinibaldo, esortato forse

certosa di Mombracco verso il fine del XIII secolo, essa risorse l'anno 1323 per la munificenza di Giorgio e di Bonifacio dei marchesi di Saluzzo (1).

La casa religiosa di Mombracco, benchè largamente beneficata dai signori di Saluzzo e da altre generose persone, non raggiunse mai uno stato di vera floridezza, ben diversa in ciò dalla sua consorella di Montebenedetto. Già negli anni 1380-1384 i monaci di Mombracco studiavano ripieghi per migliorare la loro situazione, mettendo a profitto le benevoli disposizioni del pontefice d'Avignone Clemente VII a loro riguardo (2). La cagione della accennata diversità tra la certosa di Montebenedetto e questa di Mombracco è da attribuirsi in gran parte, secondo che a me pare, alla differenza delle regioni in cui l'una e l'altra giacevano. Il sito di Montebenedetto, benchè più elevato (metri 1200 sul livello del mare) e più alpestre, possedeva intorno a sè assieme a folte boscaglie vaste praterie sulle quali dalle alte giogaie delle Alpi scorrono acque abbondanti, di guisa che vi trovavano alimento grosse mandre, grandemente profittevoli al monastero. La casa di Mombracco si trovava in una situazione assai diversa; collocata a 980 metri d'altezza in un avvallamento che si apre verso la pianura, gode d'una vista stupenda sopra gran parte del Piemonte. Ma il monte Bracco che s'innalza ancora 320 metri al disopra del monastero, unito solo nella sua parte bassa colla catena delle Alpi non ne riceve la copia d'acque che fecondano le adiacenze di Montebenedetto; laonde le sue praterie non danno grande profitto, ed il maggior reddito di quelle regioni consiste nel prodotto dei castagni, i quali colla ricca loro vegetazione danno bensì un vago aspetto a quelle pendici, ma quanto a reddito non sono da paragonare cogli ubertosi pascoli della certosa di Val Susa. Il nome stesso di Monte « bracco», che si vuol fare derivare dal nome volgare dell'Erica, pianticella legnosa che cresce nei luoghi aridi ed offre solo un magro alimento alle bestie ovine e caprine, indica la natura sterile di quella montagna.

Per l'intelligenza dei documenti di cui si discorrerà in questo e nei seguenti capitoli fa d'uopo tener presente che alla certosa di Mombracco erano annesse due chiese; una di grandezza discreta ad una sol navata, dedicata alla Vergine Maria, fa parte degli edifizi dei quali si componeva la certosa: è dessa la chiesa fatta costrurre da Sinibaldo Fieschi. L'altra, una piccola cappella, sotto l'invocazione del SS. Salvatore, era collocata sul poggio che sorge a notte della certosa, alla distanza di forse 500 metri dalla medesima. Questa chiesuola ripete la sua fondazione da un sacerdote per nome Taurino che vi pose mano tra gli anni 1253-57 (3).

La certosa di Mombracco costrutta, come dissi, attorno alla chiesa dedicata alla Vergine Santissima, prese il nome di « monastero di S. Maria di

ed anche aiutato dalla vedova di Tommaso, Beatrice. La località scelta per l'impianto della certosa, non faceva parte della signoria passata da Tommaso ai suoi figli, però non ne era separata che da una breve distanza. Nello stesso capitolo, il primo della seconda parte, mi occupai altresì del monastero di monache certosine detto di Belmonte, cercando di determinarne la situazione. Vedasi a tal riguardo quel che ne scrissi nell'introduzione al presente volume.

(1) Miscellanea, vol. cit., pag. 156.

(2) Ivi, pag. 177.

(3) Ivi, pagg. 133, 140, 178.

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Mombracco ». Nella prima metà del quindicesimo secolo cominciò ad usarsi la denominazione « monastero del SS. Salvatore » ed indi in poi vennero adoperati quando l'uno, quando l'altro nome; però negli annali dell'ordine certosino prevalse il titolo « Certosa del SS. Salvatore (1).

Non tanto per il suo intrinseco valore quanto per l'epoca a cui risale merita, a mio avviso, di comparire fra i documenti annessi a questo volume la parte dispositiva di una convenzione colla quale il monastero di Mombracco e la comunità di Barge descrissero i confini tra le rispettive proprietà in seguito al collocamento dei termini poco prima eseguito: questa convenzione reca la data del 29 giugno 1330 (Documento 96).

Le largizioni che nei secoli XV e XVI pervennero alla certosa di Mombracco non sono nè molte, nè, ad eccezione di alcune poche, di grande utilità. Tuttavia, anche gli atti di donazioni meno vistose si raccomandano talvolta all'attenzione degli studiosi per alcune notizie che loro possono tornare gradite. Guidato da tale criterio imprendo l'esposizione delle beneficenze largite alla certosa in discorso nell'epoca sovra espressa.

A breve distanza da Barge verso Pinerolo trovasi la terra di Bagnolo, la quale contava fra i suoi antichi signori gli Albertenghi ed i Della-Torre; il nome di questi ultimi si trasformò coll'andare del tempo in Torresani, Torosani o Tolosani (2). La prima di queste famiglie continuò fino ai giorni nostri, mentre l'altra finì al cadere del XVIII secolo (3).

Verso il 1400 alcuni di quei Torresani, consignori di Bagnolo, tenevano la loro residenza a Barge ove possedevano case e poderi. Uno di essi, Antonio Torosano, aveva in moglie Antonia, figlia di Pierino Ferrero da Saluzzo, assai ben provveduta di beni di fortuna ed animata in pari tempo da vero affetto verso il monastero di Mombracco, secondo che ne fanno fede i documenti dei quali vengo a discorrere. Antonia Torresano, benchè non colpita a quanto pare da grave malattia, fece testamento a Barge il 5 settembre 1412 in casa di suo marito, eleggendo la propria sepoltura nel cemetero del detto monastero, con gli onori funebri convenienti alla sua condizione sociale (4). Legò dieci fiorini d'oro per ciascuna a tre povere figlie in occasione del loro matrimonio, riservando a sè ed al priore certosino la designazione di quelle tre zitelle. Istitui erede suo marito Antonio Torosano dei signori di Bagnolo vietandogli di vendere alcuno degli immobili urbani o rustici compresi nella sua eredità, e gli sostituì vulgariter et per fidecomissum » il. convento di Mombracco (5). Il consorte ed erede d'Antonia Torosano non ebbe a godere delle benevoli di lei disposizioni: addì 4 ottobre seguente egli

(1) Miscellanea, vol. cit. pag. 177.

(2) Ricavo queste informazioni dall'opuscolo del Bar.ne Manuel di S. Giovanni: Un episodio della Storia del Piemonte (Vol. XV, prima serie della Miscellanea di Storia Italiana, pag. 36). (3) Ivi, pag. 49. Il B.ne Manuel scrive che gli Albertenghi signori di Bagnolo si estinsero l'anno 1821. Risulta invece positivamente che nell'agosto 1847 mori un conte Francesco Albertengo di Monasterolo e di Bagnolo, del quale vivevano ancora i genitori: egli però non lasciò superstiti nè figli, nè fratelli, cosicchè nel suo padre si estinse, molto probabilmente, quella nobile famiglia.

(4) « Quam (sepulturam) fieri iussit decenter pro ut sibi pertinet et convenit secundum << statum suum.» (Regolari Certosini - Mombracco, ser. 3, vol. 19. Copia su carta di due o tre secoli più tardi).

(5) Ivi.

già era sceso nel sepolcro, e la sua vedova fece in tal giorno, alla presenza di Stefano e Francesco Torosano, fratelli, consignori di Bagnolo, una donazione alla anzidetta certosa, disponendo a tal effetto d'una casa situata nel borgo vecchio di Barge alla quale era coerente fra altri il nobile Stefano Torosano, ed un palazzo con una casa « piana », un cortile, un portico, una aia ed alcuni terreni situati nel territorio di Barge, a San Massimo (1). Di quelle sostanze la pia gentildonna si riservò l'usufrutto, ed impose l'obbligo al priore della certosa di dare annualmente dieci fiorini a tre povere zitelle per collocarle in matrimonio. I due atti or nominati sono rappresentati nel cartario certosino da copie assai posteriori alla loro data ed alquanto scorrette. Vi si trova invece l'atto originale d'un'altra donazione d'Antonia Toresano al monastero più volte nominato, la quale donazione, quanto alle cose che ne formano l'oggetto, si differenzia poco o punto da quella testè descritta: se ne distacca invece riguardo alla data, ai testimoni ed all'obbligazione imposta quale correspettivo ai donatori. Questa carta mi par meritevole di comparire fra i documenti annessi a questo lavoro, esponendone intanto qui brevemente il tenore. Antonia Toresano, mossa dall'affetto che nutriva verso il monastero e la casa di Mombracco e di S. Salvatore, la << cui chiesa è fondata ivi dappresso» memore anche della benevolenza dimostrata a quel pio istituto da suo padre e da suo marito, non che dei benefizi ricevuti dai certosini, fece loro donazione d'alcuni stabili, nella persona del priore d'essa certosa frate Simondo dei Corderi di Mondovì. Con questa largizione Antonia Torosano si propose altresì di concorrere, mediante l'oblazione sua e di altre divote persone, ad accrescere il divin culto « nel << monastero di S. Maria di Mombracco e del SS. Salvatore ». L'atto fu stipulato a Barge il 29 dicembre 1412, nel borgo vecchio, in casa del notaio ricevente Tommaso Gaiferio del luogo medesimo. Formavano l'oggetto della donazione in discorso i seguenti beni stabili: « una casa con solaio e cami<< nata bassa colle rispettive pertinenze (2); essa era situata nel borgo vecchio di Barge e confinava con una strada pubblica, colle proprietà di Stefano Torosano dei signori di Bagnolo, ed altri; un palazzo colla caminata sul davanti, con il cortile e l'aia; più dieci giornate (4 ettari circa) di terreno coltivato a viti ed a prati, formante un corpo solo col palazzo, il tutto situato nel territorio di Barge, regione di Panroato, tra le coerenze indicate nell'atto di donazione (3). In corrispettivo di questa oblazione Antonia Toresano domandò, ed il priore a nome del suo convento le promise, che si sarebbero celebrate ogni anno nella chiesa del monastero trenta messe secondo le di lei intenzioni, soggiungendosi nell'atto di donazione che quella serie di sacrifizi eucaristici chiamavansi « Messe di S. Gregorio » (4) (Documento 97).

(1)« Palatium unum cum domo plana curte tecto et ayra... ad sanctum Maximum finis « Bargiarum » (Come sopra).

(2) Camminata » o « Caminata », camera principale di una casa, provvista di camino; nelle case comuni la cucina solamente possedeva il camino.

(3) Nei pressi di Barge verso il piano, a notte del Montebracco, trovasi un podere coi rispettivi edifizi, chiamato « Panruà ».

(4) « La Messa di S. Gregorio » scrive il CIBRARIO nella Storia di Torino, t. 2, pag. 134, << così chiamata da un consiglio dato da quel santo all'abate Prezioso, consisteva nel dire,

< per trenta giorni continui successivi al transito d'alcuno, una Messa pel suffragio di quella << anima e nel salmeggiare durante la Messa l'ufficio dei morti. »

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