Imágenes de páginas
PDF
EPUB

<< tuto della certosa » (1). All'altra obiezione del « Patrimoniale » avente per oggetto il mantenimento dei religiosi si replicò da parte del monastero che << al presente sono, et da molti anni in qua sono stati in numero di proffessi << et laici, oltre i necessari altri servienti et operari, in numero di venti circa << che sono vissuti e vivono a spese et costo di detto monastero... S'aggiunge « esser sempre stato et esser di presente consuetudine e regola de' superiori << delle certose nell'eretione e mantenimento d'esse di calcolare la spesa di << scuti cento Romani per cadun religioso per suo vitto vestito et spese neces<< sarie ». I certosini aggiunsero ancora un altro argomento facendo valere come una conferma della contestata concessione del « tasso » le visite « che « Sua Maestà (2) si è degnata personalmente più volte di fare in detto mona«stero con suo espresso gradimento et dichiaratione di voler piutosto ampliare le sue Reggie gratie in sostenimento et augmento di detto monastero << et monaci (3) ».

Se la causa dei certosini avesse dovuto subire il rigore col quale fu allora applicato l'editto per la riunione alla Corona delle ragioni patrimoniali alienate a privati, non v'ha dubbio che l'annualità di quattro mila lire sarebbe stata soppressa. Buon per loro che il favore sovrano continuò anche in quell'occasione a proteggerli. Una sentenza della Camera dei Conti, in data dei 22 giugno 1720, dichiarando cessato l'assegnamento alla certosa sul « tasso » di Saluzzo, stabilì a di lei favore « l'onere a carico delle Finanze << d'un annualità equivalente da continuare a beneplacito di Sua Maestà » (4).

(1) Il Valperga, disegnatore della certosa di Collegno, non apparteneva, per quanto sembra, al casato nobilissimo dei Conti del Canavese. Tre Valperga ingegneri vissero nel secolo XVII: Maurizio; già nell'anno 1626 professava l'ingegneria sotto il Conte di Castellamonte; Andrea, suo figlio, fu eletto ingegnere ducale con patenti del 20 marzo 1667; Antonio Maurizio; nel 1645 fu alla battaglia di Rosas in Catalogna: nel 1649 il cardinale Mazarino lo nomino sergente di battaglia; l'anno 1660 era ritornato in Piemonte. Carlo Emanuele II lo elesse suo primo ingegnere nel 1662; andò in missione a Roma nell'anno 1671, e tre anni dopo era a Vercelli per ragione della sua professione. Addi 13 settembre 1672 fu investito del feudo di San Marzanotto col titolo baronale, del qual feudo Giuseppe Antonio, figlio d'Andrea e nipote di Antonio Maurizio, si spogliò vendendolo all'auditore Garagno dal quale passò per alienazione al conte Baldassarre Roero di Sciolze (Notizie statemi favorite dal barone Gaudenzio Claretta).

Il disegno della certosa deve essere stato compilato negli anni 1643 0 44 (Vedi alla pag. 217 preced.); sembra quindi probabile che ne fosse autore Maurizio Valperga. (2) II Re Vittorio Amedeo II.

(3) Regol. Certos. - Mombracco, ser. II, vol. 20.

(4) Ivi.

CAPITOLO SECONDO

La costruzione della certosa di Collegno.

Progetti per l'erezione del monastero a Collegno Antiche chiese parrocchiali del luogo Capelle di S. Rocco e di S. Sebastiano Assetto definitivo degli edifizi della Certosa.

Discorrendo nelle prime pagine di questa terza parte intorno ai primordi della certosa di Collegno accennai di passaggio all'importanza che voleva darsi agli edifizi dei quali doveva comporsi. La vertenza testè riferita tra quel monastero ed il Governo per l'annualità sul « tasso » mette in luce altre informazioni riguardo al progetto architettonico della nuova certosa. Raccogliere le notizie che si hanno del disegno che doveva eseguirsi nella sua costruzione, e descrivere quello che ne fu mandato ad effetto sarà il tema del presente capitolo.

L'ampio spazio di terreno, in mezzo al quale era da collocarsi il monastero, aveva la forma d'un quadrilatero i cui fianchi più lunghi correvano da mezzanotte a mezzogiorno, accanto al paese di Collegno dal lato di levante. Nel terreno compreso in quel tracciamento, trovavansi, oltre al palazzo già spettante al Conte di Collegno, alcune case di poco valore che la Comunità del luogo aveva vendute a Madama Reale ed altre cedute dai proprie. tari stessi ai certosini senza troppe difficoltà (1). Ma il quadrilatero compren deva altresì un edifizio di maggior importanza, la chiesa di S. Pietro, una delle antiche parrocchie di Collegno, collocata entro la periferia del futuro recinto e vicino alla medesima.

E qui mi sia permesso di farmi alquanto addietro nella storia ecclesiastica di quella terra.

Nei secoli precedenti al XVII la sua popolazione doveva essere assai numerosa, decrescendo poi notevolmente, tanto che, mentre per l'assistenza spirituale di quei terrazzani erano in antico state erette tre parrocchie, una sola sopravisse, raccogliendo sotto di sè l'intiero paese. La tradizione vuole che a Collegno si recasse soventi San Massimo, vescovo di Torino nel se

(1) V. il Documento 109 e la postilla alla pag. 215. Nelle 35 giornate, attigue al palazzo del già tesoriere Datta, e vendute dal Comune di Collegno al Patrimonio ducale, era situata una casa d'un tale Mastallone, segretario del Conte Collegno. Il padre Argentino volendo comprendere tutte le 35 giornate nella clausura fece por mano a demolire la casa predetta. Succeduto al priore Don Argentino il padre Grasseteau, questi modificò il tracciato della clausura di guisa che la casa Mastallone ne restava esclusa, ed il proprietario, in compenso della cominciata demolizione, ricevette dai certosini un'adeguata indennità. Essi riconobbero poi la convenienza di possedere quello stabile affatto vicino al loro monastero, e l'acquistarono dal Conte di Collegno che n'era intanto divenuto proprietario (Regol. Certos. Mombracco, serie I, vol. 1).

Nel vol. 7o della 2a serie è inserito l'acquisto d'una casa dai fratelli Bonino, nel cantone di S. Rocco o di Nogua, l'8 novembre 1689.

colo v, per raccogliersi nello spirito in una chiesetta dedicata a S. Giovanni Battista, nel luogo ove poi fu costrutto il sacro tempio sotto l'invocazione del santo Vescovo (1). Fatto sta che in tempo assai remoto esisteva a Collegno la pievania di S. Massimo, la quale aveva a sè soggette le due chiese curate del luogo stesso intitolate a S. Pietro ed a S. Lorenzo, non che altre chiese di paesi circonvicini (2).

L'arcivescovo di Torino, Carlo Broglia, considerando per una parte il minor bisogno di chiese curate a Collegno atteso il numero assai ristretto degli abitanti, per altra parte lo stato miserabile delle chiese parrocchiali ivi esistenti, promulgò addì 4 marzo 1608 un decreto col quale riunì in una sola le tre or menzionate parrocchie. In questo rescritto l'arcivescovo premette che due di esse (S. Massimo e S. Lorenzo) sono campestri, e l'altra

(1) Bollandisti; t. VII iunii (27 della collezione), pag. 43 e seg.

Intorno alla vita di S. Massimo abbiamo poche notizie autentiche. Parecchie sue omelie e parecchi discorsi pervennero sino a noi: risulta anche positivamente che egli intervenne ad alcuni concilii ecclesiastici del v secolo. Brunone Bruni, chierico regolare delle scuole Pie, per incarico del S. Pontefice Pio VI, raccolse diligentemente e con sincero desiderio di ricercare la verità, le opere di S. Massimo, aggiungendovi il racconto della vita di lui. II lavoro del P. Bruni ebbe l'onore d'una splendida edizione che il Papa predetto dedicò a Vittorio Amedeo III re di Sardegna, e fu pubblicata l'anno 1784 (*). Sgraziatamente la buona fede del Bruni fu tratta in inganno dal noto autore del Pedemontium sacrum, il prevosto Meiranesio, il quale gli comunicò 15 omelie e 14 discorsi, tratti, al dire del Meiranesio, da codici che egli minutamente descrisse, ma da nessuno visti mai e che si ha ogni motivo di credere non aver mai esistiti (Vedi Gli antichi vescovi di Torino del prof. Fedele Savio. Torino, Speirani, 1888).

I Bollandisti raccolsero nel loro articolo intorno a S. Massimo (luogo citato) le tradizioni, fondate, in gran parte, sopra una leggenda composta per uso della chiesa di S. Massimo di Collegno», da un monaco di Novalesa, non prima del XIII secolo; questa leggenda che, in mezzo a molte cose poco credibili, contiene forse alcun che di vero, i Bollandisti l'ebbero per copia dal padre Gian Giacomo Turinetto rettore della casa dei Gesuiti a Torino l'anno 1654. S. Massimo, stando ai calcoli più probabili, avrebbe governata la chiesa Torinese dall'ultimo lustro del secolo IV al 465, incirca (Savio, 1. c.).

Nel primo volume Chartarum dei « Monum. Historiae Patriae » col. 587, è inserita una donazione d'un tale Isnardo, suo figlio Adelberto ed il loro vassallo Arnolfo, al monastero di S. Giusto in Susa della chiesa di S. Massimo vescovo e confessore situata « nel castello di S. Massimo ». Similmente le predette persone diedero al monastero di S. Giusto la chiesa di S. Pietro esistente nel luogo stesso, cioè « infra castellum sancti Maximi ». Colle chiese predette donarono pure le primizie, decime, il battistero ed il cemetero annessi alle medesime. Sul fine della carta i donatori, volendo spiegare meglio il loro intento, aggiunsero << videlicet ecclesiam beati Maximi cum tota parrocchia cum signis et ornamentis ecclesiasticis. Ecclesiam S. Petri simul cum parrocchia cum signis et ornamentis ecclesiasticis..... << Actum xv kal. mai (17 aprile) infra castellum sancti Maximi ante ecclesiam beati Petri << apostolorum principis Imperante rege Henrico et regnante dom. nostro Ihū Xpō ». In nota il conte Cibrario esprime l'opinione che tale atto abbia avuto luogo l'anno 1057 o poco dopo. Nessuno dubita che sotto il nome di « castellum Sancti Maximi » debba intendersi Collegno.

(2) La regione ove trovavasi e trovasi tuttora a Collegno la chiesa di S. Massimo aveva nome, tempo addietro, la Ruà o Ruata: in una carta dell'11 marzo 1633 è fatta menzione di un campo nella regione detta della Ruata ossia S. Massimo (Regolari Certosini - Mombracco, ser. II, vol. 7o). Una delle strade che circoscrivevano i terreni venduti dalla Comunità al patrimonio ducale (30 aprile 1641; vedi postilla (1) alla pag. 215) aveva pur nome « La Ruata », perchè percorreva la « Ruata » dirigendosi verso S. Massimo. Il vocabolo « Ruà, _Ruata » s'incontra in parecchi paesi del Piemonte, specialmente verso le Alpi (Giaveno, Cumiana...); esso ha comune la sua origine, a quanto suppongo, colla parola francese << Rue » via, ossia strada fiancheggiata da case. Però, col vocabolo « Ruata » vengono, ordinariamente, significate strade che uscendo dal centro del paese, dal « Borgo », si dirigono alla campagna in mezzo ad una serie di abitazioni, rustiche per lo più. In sostanza « Ruata » equivale a sobborgo: dal che vien dimostrato che la chiesa pievania di S. Massimo colle case che l'attorniavano formava un sobborgo di Collegno.

(*) Il nome del benemerito autore di quell'opera insigne leggesi nell'approvazione della medesima dal Maestro del Santo Uffizio alle pag. CXCI e CXCII.

(S. Pietro), fuori dell'abitato, vicino ad esso. Il rettore di questa parrocchia era morto poco prima; della chiesa di S. Massimo era curato Don Antonio Ratto e di quella di S. Lorenzo Don Gioffredo Riccio, il quale rinunziò a quella prebenda mediante una pensione di 40 scudi da nove fiorini, pagabili di semestre in semestre anticipatamente, a carico del rettore di S. Massimo. Sappiamo inoltre da quel documento che le rendite della parrocchia di S. Pietro erano stimate 16 scudi d'oro all'anno, quelle di S. Lorenzo 20 e quelle di S. Massimo 25 scudi. In forza del decreto arcivescovile la prebenda parrocchiale, consolidata nella persona di Don Ratto, riteneva il nome di S. Massimo ed aveva la propria sede nella chiesa di Santa Croce « della comunità d'esso luogo ». Il parroco della parrocchia così riformata doveva tenere due capellani, ed in ogni settimana aveva l'obbligo di far celebrare due messe nelle antiche chiese di S. Massimo e di S. Lorenzo (1).

Altre più minute informazioni dell'aspetto compassionevole che presen tavano le antiche parrocchie di Collegno vengon date dagli atti della visita pastorale dell' arcivescovo Antonio Provana, dei signori d'esso luogo, l'anno 1637

Fungeva tuttora da chiesa parrocchiale il tempio di Santa Croce, sotto la cura di Don Giov. Battista Gays, Piovano. La chiesa di S. Lorenzo, oltre l'altare maggiore « sprovvisto d'ogni cosa, ad eccezione dei candellieri di legno colorito », aveva tre altri altari, uno dei quali dedicato a S. Giovanni Battista con una sua statua « decente ». Degli altri due, minaccianti rovina, l'arcivescovo ordinò la demolizione. Il corpo della chiesa di S. Lorenzo, guasto per causa della vetustà, constava di tre navate rustiche senza volte, col tetto appoggiato a quattro colonne costrutte di mattoni, ed aveva per pavimento la nuda terra.

Non dissimile era la condizione a cui era ridotta la chiesa di S. Pietro, composta di tre navi divise da sei colonne di laterizi sorreggenti un tetto rustico assai sdruscito e cadente. In questa chiesa, per causa delle ingiurie arrecatele dal tempo, non celebravasi alcun uffizio parrocchiale, ma solo qualche volta nell'anno la santa Messa all'altar maggiore. Avendo però l'arcivescovo riconosciuto che esso stava sotto un soffitto di legno mal sicuro, e che tutta la chiesa era rustica ed indecorosa, colpì il suddetto altare d'interdetto che non doveva cessare fintantochè le cose rimanevano in quello stato. Dal lato dell'epistola, rispettivamente al maggiore altare, se ne trovava un altro dedicato alla B. Vergine, a S. Antonio ed a S. Lucia, abbastanza decente.

Dalla stessa parte, ed all'estremità della navata vedevasi la capella dedicata alla Vergine SSma sotto il titolo del Rosario, chiusa da cancelli di ferro. Ivi era fondata la compagnia del SS. Rosario.

La terza chiesa parrocchiale, chiamata S. Massimo, a mezzo miglio dal paese verso mezzodi, constava essa pure di tre navi. L'altare maggiore fu trovato dall'arcivescovo sufficientemente provveduto dell'occorrente per il servizio del divin culto.

Stava sopra del medesimo una statua di S. Massimo col pastorale in mano, indorata, in assai buon stato. In capo alla navata, dalla parte dell'epi

[blocks in formation]

stola, esisteva un altare laterizio sprovvisto di tutto. La stessa nave era in alcuni tratti scoperta, e la chiesa medesima in parecchie sue parti minacciava di cadere in rovina; laonde l'arcivescovo significò al sindaco Antonio Ruffinatto che essa doveva venir riparata a spese del Comune. Davanti alla chiesa stava un portico bisognoso anch'esso di ristauro. Fin qui la relazione della visita di Monsignor Provana (1).

Dissi già che la pievania di S. Massimo teneva, in tale qualità, il primato fra le chiese curate di Collegno: venuta meno la popolazione nella parte del paese ove stava quel sacro tempio, diminuì d'assai l'importanza del medesimo acquistandone invece la chiesa di S. Pietro attigua all'abitato, e ne abbiamo una prova nella Compagnia del Rosario ivi eretta a preferenza delle altre parrocchie. Allorquando i certosini vennero a Collegno l'anno 1641 la chiesa di S. Pietro, come testè vedemmo, non era in istato guari migliore delle altre due, S. Lorenzo e S. Massimo, e fungeva da parrocchiale il tempio di S. Croce. Quei monaci pensarono perciò ad ottenere la demolizione dell'antica chiesa sudetta, appropriandosene, con un giusto compenso, il sito e le adiacenze. In tal modo il disegno della certosa acquistava maggior regolarità, e si precludeva la strada a dissidi facili a prevedere e che non tardarono poi molto a scoppiare. Corsero trattative dei certosini colla Comunità e col parroco, accordandosi di dare ad un geometra l'incarico di fare l'estimo di quel vecchio edifizio. Ma il valore attribuitogli di seicento lire parve eccessivo ai monaci i quali ne offrirono non più di quattrocento, e così non se ne fece nulla. Ciò succedeva l'anno 1649 (2). Alquanto più tardi la popolazione di Collegno pose mano alla ricostruzione della chiesa di S. Pietro per farne la sede dell'unica parrocchia intitolata a S. Massimo, S. Pietro e S. Lorenzo. L'antico cemetero accanto alla parrocchiale di S. Pietro continuò a servire al suo scopo. Nè a questo stettero contenti i Collegnesi; essi volevano che la nuova chiesa avesse il suo campanile e si accinsero all'opera ponendone le fondamenta al lato destro della chiesa presso al limite del monastero.

In tutto questo modo di agire i certosini intravidero quasi una provocazione da parte degli uomini di Collegno ed intentarono una lite al Comune ed al parroco, la quale ebbe il suo svolgimento negli anni 1675 e seguenti. Gli atti di quel processo contengono delle deposizioni di testimoni presentati dalla certosa dirette a provare che « mai vi è stato alcun campanile nella <«< chiesa di S. Pietro ma solo due pilastrelli con una campana di un rubbo «< circa (3), e che il campanile della comunità era vicino al giardino del << signor Conte discosto duecento passi circa dalla detta chiesa... e che per << sola emulazione si è messa la parte avversaria ad ampliare detta chiesa e << principiare il campanile per impedire il disegno della certosa... Che ele<< vandosi detto campanile sarebbe di grandissima soggezione al monastero < per l'aspetto e prospetto sin nelle celle dei Padri, e di incommodo e disturbo

[blocks in formation]

Mombracco, ser. II, vol. 10. La visita ebbe luogo nei giorni 21 e

22 settembre del detto anno 1637.

(2) Regol. Certos. - Mombracco, ser. II, vol. 10.

(3) Poco meno d'un miriagramma.

« AnteriorContinuar »