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< domestici e servienti, la farmacia e la chiesa intitolata all'Annunziazione << di Maria Vergine (1).

« A questi edifizi è sottoposto un ampio sotterranneo ove dopo l'anno 1814 << furono trasportate dal soppresso Eremo di Torino le tombe dei cavalieri < del Supremo Ordine dell'Annunziata (2).

<< La menzionata chiesa era stata edificata a spese della Duchessa Cri<< stina (3).

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« Da quel primo cortile si passa in un secondo più ampio ancora e più << elegante e regolare: esso è di forma perfettamente quadrata e tutto all'in<< torno vi gira un porticato sostenuto da 128 colonne (4).

« Egli è sotto a quell'immense volte che annualmente, il giorno del Corpus « Domini, si fa quella processione alla quale usa d'intervenire il Re e la Real << Famiglia (5). Attorno a questo cortile stanno le celle dei monaci; caduna « è composta di quattro camere, due al pian terreno e due al primo piano << e di un giardinetto entro il quale sta una cisterna d'acqua.

<< Parlando della certosa non devesi tacere della rinomata farmacia che << vi tengono quei religiosi, la quale fa uno spaccio grande di medicine in << quei dintorni e nell'istessa capitale.

(1) I locali qui menzionati, ad eccezione della chiesa, avevano bensì l'accesso dal primo cortile ma occupavano, come già accennai, gli edifizi che si estendevano a notte del cortile stesso. La chiesa occupava il corpo di fabbrica che separava il cortile d'entrata dall'altro ove stavano le celle ed aveva l'accesso dal porticato che dal primo cortile, a sinistra di chi vi entra dalla porta grande, si prolungava nel secondo.

(2) Il sotterraneo qui menzionato sta al disotto della chiesa dalla parte opposta alla porta, cioè sotto il presbitero.

(3) La Duchessa Cristina erasi impegnata a costrurre la chiesa progettata nel disegno della certosa, ma, come avvertii, quel progetto non fu eseguito. Vedi le pagine 217 e 228 precedenti.

(4) Tav. 24 nel citato ms.

(5) Dopo l'anno 1847 questo intervento non ebbe più luogo.

<< Negli scorsi secoli il numero dei monaci vi fu talvolta maggiore di cinquanta, non contando i laici e le persone del servizio le quali erano << talvolta in numero ancor maggiore di quello dei padri stessi; ora (1853) << più non se ne noverano che diciotto, quale numero va ancora in decrescimento (1).

Questo convento fu al finire dello scorso secolo assai daneggiato dai << Francesi, i quali portarono via dei dipinti, dei marmi ed altri ornamenti << della chiesa; fu il fabbricato riparato dopo il ritorno del Re avvenuto « l'anno 1814, e nell'anno 1818 addì 6 di ottobre, giorno di S. Brunone, fu<< rono i monaci rimessi in possesso del loro convenuto e di parte degli << antichi beni e ripresero l'abito del loro ordine ».

(1) Chi informò l'autore di questa notizia circa il numero dei monaci presenti nella cer tosa di Collegno « nei secoli scorsi » non aveva presi in serio esame i documenti che l'avreb bero istruito della verità delle cose. Lasciando stare l'epoca precedente all'anno 1720 segnatamente la seconda metà del xvii secolo, nel qual tempo i religiosi erano pochi assai, (V. sopra, alla pag. 219), sappiamo che nell'anno suddetto (1720), la certosa noverava, tra professi, ossia sacerdoti, e conversi, venti soggetti, oltre gl'inservienti e gli operai (Vedi pag. 222. Uno scritto, del quale mi occuperò fra breve, spiegherà l'equivoco occorso a questo riguardo e darà intorno al presente argomento notizie più attendibili.

CAPITOLO TERZO

I certosini a Collegno dall'anno 1720 all'anno 1855.

I certosini a Collegno dal 1720 al fine di quel secolo.
Elenco generale del patrimonio; farmacia.

Possedimenti a S. Raffaele. Soppressione del monastero l'anno 1800. Condizione dei suoi edifizi durante l'occupazione francese. Riapertura l'anno 1818. La chiesa della certosa dichiarata cappella dell'Ordine Supremo. Una parte del monastero convertita in manicomio. · Legge di soppressione l'anno 1855. I certosini costretti ad abbandonare il monastero di Collegno.

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La descrizione degli edifizi certosini colla quale termina il precedente capitolo ci ha condotti assai vicini al nostro tempo, passando sopra a parecchie non trascurabili informazioni di data più antica, che io raccoglierò qui di seguito; continuando poi il racconto fino alla soppressione ultima della certosa di Collegno, porrò fine al presente lavoro.

La regola data da San Brunone ai suoi discepoli permette loro di uscire a passeggio fuori della clausura una volta alla settimana entro certi limiti stabiliti dai superiori. Per la certosa di Collegno la designazione di quei limiti venne fatta dai priori delle certose di Pavia e di Milano, visitatori del monastero di Collegno, l'anno 1709. Essi determinarono che i termini dello << spatiamento fossero, a levante sino alla capella di S. Rocco (1); a mezzo<< giorno sino alla cascina del Presidente Della Serena exclusive, e sino alla Beletia (2); a settentrione sino alla Veneria exclusive, e Druent exclu<< sive (3); all'occidente sino alla Croce dorata » (4). Questa carta porta impressi i sigilli delle certose di Pavia e di Milano (5).

I due comuni di Rivoli e Veneria, residenze estive della Real Casa, trovavano la via più facile di comunicazione tra loro passando per Collegno, ove esisteva fin d'allora un ponte di solida costruzione sulla Dora. Per unire Collegno alla Veneria fu decretata dal Re Vittorio Amedeo II la costruzione d'un'ampia strada, la quale nel suo percorso incontrava qualche tratto di terreno annesso alla masseria « La Marocchina » di spettanza della certosa. Questa cedette, mediante equo compenso, quelle sue proprietà al regio patrimonio: l'atto seguì il 28 marzo 1722; il Governo vi fu rappresentato dal

(1) Cappella chiamata volgarmente S. Rochetto, sulla strada che tende direttamente da Torino (Borgo S. Donato) a Collegno; dista da Torino un chilometro e mezzo circa. (2) Villeggiatura nell'agro torinese.

(3) La Veneria, comune con villeggiatura reale. Druent, altro comune, non molto distante da Veneria.

(4) Cappella a poca distanza da Rivoli sullo stradale di Torino.

(5) Regolari Certosini - Mombracco, serie I, vol. 52. I due sigilli sono riprodotti nel libro di G. VALLIER, Sigillographie de l'ordre des Chartreux, pag. 202, tav. 22, n. 17, e pag. 237, tav. 26, n. 4.

conte Maffei, « Gran Mastro dell'artiglieria e capo dell'Eccellentissimo Consiglio d'essa artiglieria, fabbriche e fortificazioni » (1). Mancava ancora una strada che mettesse in buona e diretta comunicazione Collegno collo stradale tra Torino e Rivoli: a ciò provvidero i certosini essi stessi, quindici anni più tardi, prolungando in quella direzione ed in retta linea lo«stradone », del quale già feci cenno altrove (2). Il cartario certosino contiene una scrittura in data del 28 marzo 1737, col titolo: « Testimoniali di trasferta del « vassallo Giacomo Filippo Vassarotti, intendente della città e provincia di « Torino, a Collegno per prendere le determinazioni necessarie alla costru <<zione della nuova strada che dalla piazzetta rotonda avanti la porta grande < della certosa tende in retta linea allo stradone di Rivoli. » Risulta da questo documento che la certosa, prendendo l'iniziativa di quell'opera e sostenendone la spesa, dispose di quella parte dei suoi poderi che la nuova strada doveva occupare, e per la parte del suolo stradale spettante ad altri proprietari ne corrispose loro il voluto compenso (3).

L'esenzione, di cui godeva « ab antiquo » l'ordine certosino dai pedaggi, dalla « leida » e dai diritti sui mercati, estesa poi agli altri tributi che si vennero introducendo, si mantenne fino ad un'epoca da noi non troppo lontana. Nel primo volume di queste « Notizie » mi avvenne più d'una volta di trattare del «pedaggio », considerandolo sotto due aspetti, riguardo alle certose di Losa e di Montebenedetto: per una parte ebbi a constatare come imperatori, principi e prelati andassero, per dir così, a gara nell'esentare quei monasteri dai pedaggi negli stati e territori dipendenti da quei sovrani signori (4). Per altra parte ho detto che sul prodotto del dazio di Susa il conte Tommaso I di Savoia assegnò una sovvenzione annua ai certosini di Montebenedetto sia come contributo per l'anniversario del principe Umberto suo figlio, sia collo scopo di somministrare a quei religiosi il vitto nella solennità di Natale e nei due giorni successivi (5).

La leida, vale a dire, quel tributo che il signore del luogo percepiva sul peso delle derrate smerciate sui mercati, non è guari nominata nelle carte d'esenzione accordate ai certosini di Val-Dora (6). A Susa il provento della << leida » spettava al monastero di S. Giusto e per esso al suo abbate (7). Non mi vennero fra le mani documenti dai quali risulti che i certosini di

(1) Regolari Certosini - Mombracco, ser. II, vol. 8.

(2) Vedi alla pag. 228 precedente.

(3) Regolari Certosini - Mombracco, ser. II, vol. 10.

(4) Miscellanea di Storia Italiana, ser. III, vol. 1, pag. 19, 21, 25, 36, 45, 49, 56, 61, 62. (5) Ivi, pag. 47, 49. L'assegnamento qui menzionato ebbe la conferma da parecchi fra i successori del conte Tommaso fino ad Emanuele Filiberto che emanò a tal riguardo un suo rescritto del 23 maggio 1565, a relazione del presidente patrimoniale Giorgio Provana. (Regolari Certosini - Mombracco, ser. III, vol 19).

(6) È menzionata la « leida » nella salvaguardia accordata dalla Contessa d'Albon alla certosa di Losa verso il fine del XII secolo. Vedi Miscellanea, vol. cit., pag. 186, ove è anche meglio spiegato il significato della parola « leida ».

(7) Il conte di Savoia Tommaso I, permutando Vigone con Mathie e Menone, ceduti a S. Giusto di Susa, vi aggiunse parecchie altre ragioni, tra le quali la leida, i pedagi minuti ed il mercato di Susa, e di parte della valle omonima; l'atto reca la data del 5 marzo 1212 (Hist. Patr. Mon. Chart. I, coll. 1183. SACCHETTI, Memorie della chiesa di Susa, p. 87).

Losa o Montebenedetto ne fossero dichiarati esenti. Nulla di meno sembra doversi ritenere per certo che essi godessero di quel favore, sia perchè il monastero di S. Giusto, fin dalla introduzione dell'ordine certosino in ValSusa, gli si mostrò pieno di benevolenza, sia perchè ne troviamo un argomento nella carta di cui prendo a trattare. Essendo abbate commendatario di S. Giusto Don Vittorio Amedeo Biandrate di San Giorgio « Elemosiniere di Sua Real Maestà », i certosini di Collegno gli presentarono un ricorso chiedendo di poter introdurre liberamente i prodotti delle loro terre nel mercato di Susa. In appoggio della domanda medesima essi mettevano in rilievo << l'interesse che tenevano dell'antichissimo monastero di Montebenedetto o «sia Banda di Villarfocchiardo a loro aggregato ove possedevano quattro cascine con beni annessi, «li frutti dei quali sono soliti a tramandarli in << vendita... nella città di Susa e per quali sono sempre per l'addietro e da << tempo immemorabile stati esenti dal pagamento della leida, pedaggio ed << altre gabelle, in dipendenza massimamente degli antichissimi privilegi al << detto monastero e loro beni come situati in detti territorio e valle con«cessi. » L'abbate Biandrate annuì alla richiesta dei certosini dichiarando « dovere la certosa di Montebenedetto o sia di Banda di Villarfocchiardo « e suoi monaci gioire dell'esenzione del pagamento della leida alla nostra « abbazia di S. Giusto spettante nella città di Susa per quei frutti però so<lamente che dalli medesimi monaci si perceveranno da' loro beni a detta << certosa spettanti, e situati nel territorio di detto luogo di Villarfocchiardo, « e che per conto loro immediato trasmetteranno a vendersi nella città sud« detta di Susa e non altrimenti..... ». Il decreto reca la data del 20 gennaio 1732 (1).

Non dissimile era l'origine delle immunità di cui godevano i certosini di Collegno riguardo alle vettovaglie destinate alla loro alimentazione, non che per i tessuti necessari a vestirli. Per godere di questo indulto doveva il monastero, per mezzo del padre procuratore, presentare, ogni anno, a chi si spettava, una dichiarazione, dalla quale risultasse il numero delle persone componenti la famiglia religiosa e la quantità di derrate o di merci che loro occorrevano. Esistono fra le carte certosine sei di quelle dichiarazioni, che vanno dall'anno 1724 al 1743: da una di esse impariamo che l'anno 1732 la Comunità monastica a Collegno constava di 13 monaci, 8 conversi, 3 donati e 19 inservienti. Siamo ben lungi dai cinquanta monaci, non contando i conversi, dati come presenti nel monastero dal Rovere (2). Ciascuna delle citate attestazioni è munita del sigillo della certosa (3).

(1) Regolari Certosini - Mombracco, ser. III, vol. 19. Dal leggersi in questa carta nominata << la certosa di Montebenedetto o sia di Banda » male argomenterebbe chi ne deducesse avere a quell'epoca ancora esistito una comunità religiosa certosina nel monastero di Banda. Risulta infatti dalle cose dette in questo mio studio che la famiglia religiosa cessò di sussistere a Banda quando fu iniziata la certosa a Collegno. Uno dei monaci di questa casa, chiamato « Procuratore di Banda » aveva l'incarico d'amministrare le proprietà annesse a quell'antico monastero e si dava a quella parte del patrimonio certosino il nome di « Obbedienza di Banda ».

(2) Vedi sopra a pag. 233.

(3) Regolari Certosini - Mombracco, serie II, vol. 29. Due dei sigilli rappresentano l'Annunziazione di M. V. Gli altri quattro contengono il monogramma della certosa. Essi trovansi riprodotti nella già citata Sigillographie di G. Vallier, tav. 34, n. 4, 5, 6, 7, 9 e 10; sono descritti ivi alle pagine 312 e 313 sotto i detti numeri.

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