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Il medico saluzzese, dott. Vincenzo Malacarne, che pubblicò pel primo l'atto di fondazione del Monastero di S. Quintino di Spigno (1), afferma di averne desunto il testo da un apografo favoritogli dall'ab. G. B. Vasco di Bastia, il quale, a sua volta, l'aveva tratto dall'Archivio comunale di Savona nell'aprile del 1786.

Più attendibili o almeno più circonstanziati particolari circa alla provenienza del documento in parola ci vengono forniti dal ch. G. B. Moriondo, a cui siamo debitori d'una seconda e migliore edizione del documento stesso nei < Monumenta Aquensia » (I, n. 7, col. 9).

Racconta egli, infatti, in una delle note che fanno seguito alla serie dei documenti (I, col. 629), come nel 1785 avendo avuto occasione di conoscere in Acqui mons. D. Belloro, vicario generale della Diocesi di Savona, ebbe da questi promessa che, capitandogli sott'occhio qualche documento che avesse attinenza colla cronotassi dei vescovi e degli abati acquensi, a cui egli allora attendeva, non avrebbe mancato di dargliene comunicazione; e come effettivamente, pochi mesi dopo, gli venisse trasmessa, da parte dello stesso mons. Belloro, copia d'una pergamena trovata dal fratello di costui, Gio. Tomaso (2), fra vecchie carte di famiglia, e da lui giudicata del secolo XIV; pergamena contenente, appunto, l'atto di fondazione del Monastero di S. Quintino di Spigno.

Ricorda in proposito il Moriondo che, non essendogli sfuggita la somma importanza dell'apografo pervenutogli dall'erudito savonese, si fece un dovere

(1) De' Liguri Statellati, lezioni accademiche, edite nella poligrafia Ozi letterarii, Torino. Stamperia Reale, MDCCLXXXVII, vol. II, pag. 230.

(2) Gio. Tomaso Belloro, savonese (1741-1821), fu letterato ed archeologo di polso, in rapporti di stima, d'amicizia e di studi coi migliori letterati ed eruditi dei suoi tempi, quali il Tiraboschi, il Parini, il Passeroni, il Cesarotti, il Bettinelli, il Bondi, il Roberti, il Solari, il Massucco (che ne dettò l'elogio, edito coi tipi di Felice Rossi in Savona), l'Oderico, i due Cordara, lo Żamagna, il Cunick, il Morcelli, il Vernazza, ecc. Il Tiraboschi ne fa onorevole menzione nella Storia della Letteratura italiana (VI, 311, 1382). Federico Alizeri scrive di lui che sono brevi cose e timide in apparenza le scritture onde illustrò la sua patria; ma tutte sostanza, e, quel che monta, tutte critica e verità (Notizie dei professori del disegno in Liguria, dalle origini al secolo xvi, I, p. 95. n.).

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di. comunicarlo agli amici M. Cavalleri e ab. G. B. Vasco; e aggiunge che quest'ultimo, ritenendolo preziosissimo, sopratutto per lo studio delle origini dei marchesi di Monferrato e di altre famiglie marchionali del Piemonte e della Liguria, avrebbe vivamente desiderato di poter confrontare l'esemplare avuto in comunicazione dal Moriondo, vuoi coll'autografo, vuoi con altra pergamena antica, ma che ciò non gli era mai riuscito (1).

Ciò stante, dalle citate testimonianze - a prescindere, anche, dalle circostanze di fatto che verremo più sotto esponendo sarà lecito inferire con tutta

certezza che i due editori lavorarono su di uno stesso testo.

Se, infatti, il Malacarne, secondochè egli stesso dichiara, ebbe il testo dall'ab. Vasco; e se questi, come ce ne informa il Moriondo, non conobbe mai altro testo che quello comunicatogli dal Moriondo medesimo, è chiaro che tanto il testo edito dal Malacarne nel 1787 quanto quello che servì alla pubblicazione del Moriondo nel 1789 derivano, nonostante la diversità di lezione, da una stessa ed unica fonte: da una pergamena, cioè, esistente allora in Savona e di cui mons. Belloro avea trasmesso una copia all'autore dei << Monumenta Aquensia ». Che poi questa pergamena appartenesse all'Archivio comunale di Savona, come accenna il Malacarne, o non piuttosto alla famiglia Belloro, giusta l'asserto del Moriondo, è cosa di secondaria importanza; la quale trova, del resto, la sua spiegazione nel fatto che il Gio. Tomaso Belloro era appunto in quel tempo archivista del Comune, come lo fu dopo di lui l'avv. Gio. Battista suo figlio.

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Pare che dopo la morte di G. T. Belloro, avvenuta nel 1821, la pergamena in discorso sia andata dispersa, poichè l'importantissimo documento in essa contenuto non figura punto nella silloge del conte di San Quintino, dove peraltro è citato più volte come atto d'indubbia fede (2), e nè tampoco nei volumi « Chartarum » dei « Monumenta Historiae Patriae » della nostra Deputazione; segno, questo, evidente che tanto l'autore delle Osservazioni critiche quanto gli editori dei volumi « Chartarum » ne fecero invano ricerca dove avrebbe dovuto trovarsi in base alle citate testimonianze, vuoi nell'Archivio comunale di Savona, vuoi presso la famiglia Belloro.

Fortunatamente il prezioso cimelio non andò molto distante: e i cultori delle patrie memorie apprenderanno oggi con piacere che il capitano marittimo cav. G. B. Minuto, solerte e benemerito indagatore delle antichità savonesi, ebbe qualche tempo addietro la fortuna di ritrovarlo a caso e acquistarlo in Cairo Montenotte, presso una famiglia di origine e provenienza savonese. Che la pergamena testè acquistata dal cap. cav. Minuto e oggetto della presente pubblicazione sia quella stessa d'onde vennero desunti i due esemplari di cui si servirono il Malacarne e il Moriondo, non può mettersi menomamente in forse.

Basta porre a confronto i tre testi per convincersi che quelli del Malacarne e del Moriondo sono esemplati su di uno stesso archetipo, che è quello,

(1) « Optasset autem vehementer meum quod ei dederam exemplum cum autographo, aut veteri aliqua membrana conferre, at nuspiam hoc sibi concessum fuisse, uti paucis abhinc diebus mihi narrabat » (Ibid.).

(2) GIULIO DEI CONTI DI S. QUINTINO, Osservazioni critiche sopra alcuni particolari della storia del Piemonte e della Liguria nell'undecimo e dodicesimo secolo, I, pag. 15, 17, ecc.

appunto, proferto dalla pergamena Minuto; come un esame accurato delle varianti che presentano le due edizioni ci permette di rilevare che le molte del Malacarne debbono ritenersi per la maggior parte apocrife; quelle, invece, del Moriondo semplicemente errori di trascrizione.

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Un'obbiezione s'affaccia bensì spontanea, ed è che la pergamena di Savona, per quel che ne riferisce il Moriondo il quale però non la conobbe de visu veniva giudicata dal Belloro quale una copia del secolo XIV; mentre quella oggi posseduta dal Minuto dee ritenersi indubbiamente sincrona, presentando tutti i caratteri della scrittura carolingia perfezionata del secolo X, e concorrendo per di più in essa tutti gli estremi che contrassegnano un istrumento originale, secondochè ebbero a giudicarne parecchi eruditi d'incontestata competenza nella soggetta materia, ai quali mi feci premura di sottoporla, fra cui i colleghi, comm. Francesco Carta, prefetto della Biblioteca Nazionale di Torino e prof. conte Carlo Cipolla.

Senonchè una tale obbiezione non ha, chi ben guardi, che una base puramente subbiettiva, quale è l'apprezzamento individuale d'un erudito che, per quanto colto e benemerito degli studi storici, non era specialista in paleografia; senza contare che ai suoi tempi la scienza paleografica non possedeva a gran pezza i criterii di cui oggi dispone per lo studio analitico e comparativo delle fonti.

Nel caso concreto, questa e ogni altra possibile obbiezione viene eliminata da un argomento che preclude ogni adito al dubbio, perchè dedotto da una circostanza di fatto, ed è che ambedue le lezioni, del Malacarne e del Moriondo, presentano un'unica lacuna dopo le lettere « al..... » con cui comincia il nome, certamente topografico, che fa seguito a quello di « pereto » (Moriondo, ibid., col. 11, linea 25); lacuna che arguisce una corrispondente soluzione di continuità nell'originale. Ora, questa stessa lacuna riscontrasi nel testo della pergamena Minuto (linea 22); e ne è causa una soluzione di continuità della membrana logoratasi pel lungo uso nel punto d'intersezione di due piegature (1).

Posta così in sodo l'identità della pergamena Minuto con quella savonese, archetipo dei testi Malacarne e Moriondo, nessuno vorrà contestare la convenienza di mettere il recuperato documento al sicuro da un'altra possibile dispersione, fissandone il testo mediante una copia più esatta di quelle conosciute, a malleveria della quale stia in confronto un facsimile eliotipico della grafia dell'archetipo.

Viene per tal modo a colmarsi la lacuna che l'assenza dell'insigne documento lasciava nella serie diplomatica dei volumi « Chartarum », e alla quale non poteva certamente supplire il testo pubblicato dal Moriondo; sì perchè questi non ebbe sotto gli occhi l'originale, sì perchè, nonostante la bontà della copia di cui si servì, la sua lezione non andò esente, come si rileverà al confronto, da ommissioni ed errori di trascrizione; sì, finalmente, perchè tanto egli quanto il Malacarne raffazzonarono il testo secondo le regole dell'ortografia e della punteggiatura moderne, mentre è conveniente che venga

(1) Havvi un'altra soluzione di continuità nella 1a linea, ma sulla restituzione del testo ivi mancante non può cader dubbio di sorta.

rispettata, quanto più sia possibile, la forma originaria, e ciò anche in omaggio al metodo seguito nella pubblicazione delle carte medioevali da questa R. Deputazione di Storia patria.

Dopo tutto, il documento è tale da non sembrar superfluo un trattamento di favore. A prescindere anche dall'alta data a cui risale (4 maggio 991) e dalla sua peculiare importanza per la storia delle istituzioni monastiche del Piemonte nel medio evo, non può sfuggire ad alcuno la ricchezza del suo contenuto per quanto risguarda l'onomastico locale, come niuno potrà disconoscere il valore degli elementi da esso forniti per lo studio della giurisdizione marchionale e dei controversi rapporti giuridici fra il Marchese e i Conti della Marca, non meno che per la conoscenza delle formule e dei riti del dritto salico, coesistente a fianco del romano e del longobardo, durante il periodo marchionale,

Ma ciò che, sopratutto, giustifica il gran conto in cui lo tenevano il Vasco e il Moriondo, e il titolo di « preclarissimo di cui lo qualifica quest'ultimo, è il contributo dei dati relativi alla genealogia dei primi Aleramidi e più particolarmente allo stipite dei marchesi di Monferrato.

Risulta, infatti, dal documento che fondatori del Monastero di S. Quintino di Spigno furono il marchese Anselmo, figlio del fu march. Aledramo (Aleramo), colla moglie Gisla, figlia del march. Adalberto, e i nipoti Guglielmo e Riprando, figli del fu march. Oddone, fratello di Anselmo.

Completando questi dati colle notizie che circa agli stessi personaggi ci vengono fornite da ulteriori documenti, avremo il seguente schema:

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rappresentativo del ceppo vecchio » a cui fanno capo gli alberi genealogici della maggior parte delle antiche case marchionali del Piemonte cispadano e della Liguria occidentale.

Non tenendo conto di Guglielmo I, premorto al padre senza discendenza, e di cui il documento non fa menzione, rimangono Oddone I ed Anselmo I, stipiti di due grandi linee marchionali parallele.

La linea di cui fu stipite Oddone è quella dei marchesi di Monferrato, coi rami collaterali di Occimiano, Montechiaro, ecc.

La linea che fa capo ad Anselmo è quella detta dei marchesi di Savona. Essa si esplicò da una parte nel ramo, presto disseccatosi, di Sezzè; dall'altra

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