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Cappelle, e delle loro respettive Prebende; della Vita Comune menata da quei primi Canonici, chiamati perciò in qualche Cartapecora anche Monaci, e del loro vitto ordinario; parla delle Reliquie a quella donate, delle oblazioni di denaro, di pane, e di vino, che vi si facevano in quei tempi nella celebrazione de' divini Misteri, delle Indulgenze, e dei Privilegi ad essa accordati dai Sommi Pontefici, e dalla Signoria di Firenze, e finalmente diffondesi ad illustrare i Monasteri, le Chiese, e gli Oratori, che ad essa appartengono (1), e ne sono fuori ne' suoi distretti: e ovunque vi si leggono erudite memorie di molte antiche costumanze attenenti alla Storia Ecclesiastica, e alla Chiesa universale, e Fiorentina. Tutto questo ho potuto ricavare parte dalla scienza comune, e parte dai nostri privati ragionamenti. Del rimanente quanto volentieri, per contentare chi legge questi miei fogli, ne averei voluto parlare non così superficialmente, ma con maggior fondamento, se alle mie reiterate istanze mi fossero stati da chi gli ha in custodia comunicati gli Scritti. Ma più assai ne deve dolere, che egli non la protraesse con una seconda Parte fino ai tempi nostri, e contento soltanto fosse di assegnarle per confine, e termine, l'erezione della Chiesa presente avvenuta sui principj del Secolo XV. Se però in que. sta parte non corrispose alla comune espetsativa, non tra

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(1) Ad insinuazione del Ch. D. Lami appose di primo tempo. alla sua Storia molte note, in cui presentasegli l'occasione, parlava a lungo dell'origine, e vicende dei Monasteri, delle Chiese, e degli Oratorj, che erano, e sono nel Distretto della Parrocchia di S. Lorenzo; quindi mutato pensiero le rigettò, ne sì sà, ove elle siano al presente. "

scurò l'altra non meno necessaria di tessere, cioè, una lunga serie di Uomini illustri per santità, e dottrina, che in essa fiorirono.

Ma mentre il Cianfogni tutto era rivolto ai vantaggi della sua Basilica non trascurava perciò le sue Teologali incombenze nella Fiorentina Accademia, di cui era ben degno Socio. Conciossiachè, finchè visse, non lasciò di procurarne il suo lustro, accrescendo il numero degli Accademici, e frequentandone le Adunanze, nelle quali faceva sempre spiccare la sua dottrina con argomenti robusti, e dissertazioni erudite, e la sua eloquenza con eleganti Lauree, colle quali condecorava il merito dei novelli Associati. E in primo luogo si celebra qnella, che ei pronunziò nell' ammettersi per Accademico il chiarissimo P. Maestro Stratico, poi Vescovo di Città Nuova, ed al presente di Lesina.

E quantunque il suo attaccamento fosse per quella parte di Teologia, che si raggira sul Dogma, nulladimeno non trascurò l'altra parte, che chiamasi Polemica, lungi per altro da qualunque altercazione, o spirito di partito, come quello che era fornito non meno di critica giudiziosa, che di sana, e inappuntabile dottrina. Ne voglio in prova di questo, passare sotto silenzio un fatto non a molti noto, che non sarà discaro alle oneste persone di udirlo. Regnava in quei tempi uno zelo persecutore di riforma, che estorta avendo a forza di raggiri la protezione del bene intenzionato Sovrano, e divenuta ragion di Stato, autorizzava una Masnada di sedicenti Teologi a perturbare gli antichi nsi della Disciplina Ecclesiastica, che rignardavano poco che sogni di Vecchierelle rimbambite, e fole di ciar

meno,

liere nutrici; intenti a stabilirne una nuova a norma dei loro capricci, e secondo i precetti, dicevano, dei Maestri di Portoreale: ma colla differenza, che quanto quei Solitari erano irreprensibili, e dotti, tanto erano questi furbi, ed ignoranti. Altro zelo non avevano costoro, che l'interesse privato, procurato a danno della pubblica tranquillità; che andavano ogni giorno turbando; ora coll' inopportuno scuoprimento delle Immagini Sacre, ora colla barbara demolizione degli Altari, ed ora coll' inalberare Stendardi di Carità menzognera. Ma come questi erano persone avvilite per l'odio pubblico, che si erano con simili novità conciliati, pensando quanto lustro si sarebbe dato alla lor Setta, se vi avessero potuto contare un Cianfogni, ogni sforzo fecero per attirarvelo: Sapevano esser vano l'adescarlo con promesse di onori, con lusinghe di ricchezze, e col fasto dell'autorità, onde procurarono di sorprenderlo coll' inorpellare le loro massime col nome di sana dottrina; con cui si andavano destramente insinuando nel di lui animo, non senza fallaci argomenti cavillosi, e paralogismi, naturale linguaggio di quei fanatici. Ma, troppo era egli dotto, e prudente per non si avvedere fino dal suo principio, ove andavano a parare le mire di quei pessimi subornatori. E tanto dispetto ne concepì, che sempre ne ha fatte in pubblico, e meco ancora in privato, le più amare doglianze.

Ma non vorrei, che vi dessi a credere, secondo il parere del volgo, uso a non riguardar la pietà, se non in lurido sembiante, e maninconico, e in abito cencioso, evile la filosofia dei sapienti, che il Cianfogni menasse la sua Vita o nascosto nei Santuari men frequentati, o negli angoli più riposti delle Librerie, e degli Archivi, e non si facesse

veder giammai nelle culte Società manieroso, affabile, elegante; che troppo torto fareste ad una persona, che un immenso sapere, una lealtà senza pari, e un cuor generoso accoppia va ad un esteriore avvenente, di cui si poteva dire a ragione.

Gratior & pulchro veniens in corpore virtus Io parlo de' nostri tempi, e quanti l'hanno conosciuto me ne siano i testimoni, se in tutte quelle degne Compagnie, che frequentava, non si rendeva la delizia di chiunque ascoltavalo; tanto era singolare la di lui maniera di temperare colla vivacità dei piacevoli inotti la filosofica gravità. E se nella Metropoli sapeva insinuarsi nell' animo dei Cittadini, non meno nelle Campagne l'affetto guadagnavasi degl' idioti. Erano i suoi giornalieri diporti nei luoghi più solitari; che ancora in questi il sapiente ritrova il pascolo alle sue brame. Vedeva egli per avventura gl' innocenti villanelli ristorare sulle prode dei Campi il corpo affaticato con duro, e scarso cibo, ma più saporoso, perchè frutto de' propri sudori, e non provento d' indegne azioni? E ad essi bellamente accostandosi felicitavali di vero cuore, trattenendosi in semplici, e familiari discorsi. Entrava talora nelle vili officine, e godeva del rozzo colloquio di quei poveri operai, che consigliava dubbiosi, confortava affaticati, o incoraggiva codardi.

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Incontravasi per via con passeggieri mendici, e sovvonendoli con opportuno sussidio, prendeva quindi occasione d'interrogargli della causa dei loro viaggi, e da suoi detti onta sentivano i vagabondi, e coraggio coloro, che a tal sorte di Vita necessità conduceva. Talchè sembrava, che lo scopo de' suoi passeggi fosse la ricerca di simil gente, affine di procurare l'utile altrui col proprio diletto.

era,

E questa ilarità, che faceva il suo carattere, altro non che una certa espansione di quella interna contentezza, che sdegnosa di starsi negli animi tumultuanti ama di vi vere nei cuori tranquilli. Aveva imparato già da gran tempo dalla filosofia, che solo è contento chi sà livellare le sue brame al potere, e che bene ancora col poco si vive, quindi pago di quella sorte mediocre, in che l' avea posto la Provvidenza, pareagli vano, e dannoso tutto ciò, che sopravanza al bisogno. Bella lezione per chi si affanna a correre dietro gli onori, che altro non producono ad essi, che cure, fatiche, servitù, e pentimento. Ma questo non fù solo il bene, che ricavò da così savia moderazione. Conciossiachè promettendosi dalla sua robusta costituzione di poter vivere molti anni, tutti volle rimuovere quegli ostacoli, che per l'umana imprudenza vi si sogliono opporre per abbreviarne il loro corso.

Quindi oltre il conservarsi internamente tranquillo, amò la regolata parsimonia nel vitto, cibandosi, e bevendo, quanto basta a rinvigorire il corpo, e rallegrare lo spirito, alternando il moto alla quiete, amando di passeggiare per luoghi salubri; e memore esser sempre nociva qualunque cosa, che si faccia fuor d'uso, uno stesso sistema di vivere invariabilmente mantenne: le qnali cose, avvalorate dal suo forte vigoroso temperamento, gli procurarono una sana decrepitezza, che ben poteasi chiamare una gioventù prolungata.

Non sono questi doni da invidiarsi da chi la felicità conosce di vivere una lunga vita, e felice? Qual prò per altro se dobbiamo tutti giungere a quel termine, che adegua sudditi, e Regi, nobili, e plebei, filosofi, ed igno

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