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REGESTO DELLA CHIESA DI TIVOLI

PREFAZIONE

La chiesa di Tivoli, illustre al pari di ogni altra del Lazio per antica origine e per fasti gloriosi, non è men chiara per insigni memorie e per numero di antichi documenti. Alcuni di questi però, essendo sparsi in collezioni e luoghi diversi, o chiusi dove finora non era dato di vederli, restarono ignorati o mal noti agli scrittori medesimi delle cose tiburtine. Ma ora che per sapiente consiglio di Leone XIII, con grandissimo beneficio degli studi, furono alleviate le severe cautele colle quali, nell'archivio vaticano, custodivasi il codice del Regesto tiburtino, che ne contiene la parte maggiore e più importante, parve opportuno di comunicarlo agli studiosi, affinchè nella loro integrità si conoscessero quelli che finora erano noti solamente per sunti, o che erano inediti.

Benchè i documenti che in esso contengonsi non siano molti di numero, sono tutti pregevoli per la qualità e antichità loro, e tali che da questi soli sappiamo ciò che s'ignora d'altronde. Fra questi è la celebre carta cornuziana, così denominata dalla narrazione della fondazione e dotazione della chiesa di s. Maria in Cornuta di Tivoli, fatta da Valila goto, la quale essendo dell'anno 471, non computando due atti più antichi scritti su papiro (Marini Pap. n. 57 e 73), è la carta più antica che si conosca. Pregevolissime, benchè non così antiche, sono le altre, delle quali sette sono del secolo X, cinque dell' XI e sei del XII, fra le

quali, nove sono quelle che finora rimasero inedite. Quelle poi che furono pubblicate, salvo cinque, non furono tratte dal codice, ma da una copia che è nella biblioteca Barberiniana e viene da Giuseppe Maria Suarez, che fu poi vescovo di Vaison, il quale vide e trascrisse il codice, quando dall'archivio episcopale di Tivoli passò nel pontificio di Castel s. Angelo. Questa copia però non è intera, nè interi vi sono i documenti trascritti. Dopo il Suarez nessun nuovo documento ne emerse fino a Gaetano Marini, il quale, essendo custode dell'archivio, ne pubblicò altri cinque inediti (Pap. p. 229 e 231.255.316.317). Per cortesia di Marino Marini, nipote al sommo Gaetano e suo successore nella custodia dell'archivio, nel 1826 lo vide Carlo Fea, e ne trascrisse un brano della bolla di Benedetto VII, che erroneamente credette ancora inedita (Miscellanea antiq. idraul. ec. Considerazioni ec. Roma, Bourliè 1827, p. 49). Ma, intento egli ad una speciale ricerca, non se ne giovò che quanto era sufficiente al suo scopo, e la menzione ch'egli ne fece, confusa fra molte altre notizie, restò inosservata. Dopo di lui, non so che sia stato veduto da altri, e fu così ignorato, che non si sapeva ove fosse, ed anzi temevasi che gli avvenimenti politici del principio del secolo l'avessero fatto smarrire. A ricercarlo ne fu guida un antico catalogo dell'archivio, comunicatoci dal ch. sig. Leone Nardoni, ma non fu senza noia, perchè in archivio il suo luogo fu trovato vuoto, e fu solo dopo qualche tempo che il ch. P. D. Gregorio Palmieri cassinese ebbe la sorte di ritrovarlo.

Il codice è segnato colla antica numerazione Armar. XIII. caps. V. n. 1; ed è in membrana del formato di un volume in 4o, dell'altezza di trenta centimetri, e della larghezza di venti. Non ha alcun titolo, ma è chiaro che è il Regestum dei documenti più antichi e più importanti della sede di Tivoli, che uno de' suoi vescovi riunì in un solo corpo, facendoli trascrivere da originali, dei quali alcuni dei più antichi erano forse in papiro, e da copie, che, come appare da alcune lacune che qua e là s' incontrano, già erano in parte rose e consunte. Diciotto sono i do

cumenti che comprende in cinquantasette carte, che generalmente hanno ventisei linee di chiara scrittura per ciascuna pagina, e che appariscono numerate con cifre arabiche, quando il codice entrò nell'archivio. Fra questi documenti, il più antico è la carta cornuziana già nominata, e il meno antico un' altra del 1169, che oltre all'avere questa data, fa menzione di quel Simone abbate sublacense che fu dipoi cardinale e viveva appunto in quel tempo (Mirzio Chron. Sublac. c. 19. Iannucelli Mem. di Subiaco e sua Badia p. 170). Nè di ciò, nè della forma dei caratteri di quel secolo si addiede il Suarez, che nel pubblicare la carta cornuziana, stimò che il codice fosse exaratus ante annos (ut videbatur) sexcentos aut septingentos, cioè nel secolo IX o X (Ex libris Tertulliani de execrandis gentium diis, fragm. etc. Romae Typis Vaticanis 1630, p. 8), mentre è chiaro che è da assegnare alla seconda metà del XII, e probabilmente al tempo del vescovo Ottone, del cui episcopato, benchè siano perite le notizie dopo il 1157, si ha però un indizio di lui nel 1160, e nessuno se ne ha del suo successore Milone prima del 1179 (Giustiniani De' vesc. e governat. di Tivoli. Roma 1665, p. 45. Ughelli-Coleti T. I, p. 1308). I documenti poi che vi sono trascritti non seguono l'ordine cronologico, e sembra che poste in capo del volume, per la loro importanza, le bolle pontificie, si scrivessero gli altri secondo che venivano innanzi. A noi però nel pubblicarli, anzichè attenerci alla casuale disposizione ch'ebbero dall'amanuense, parve meglio ordinarli secondo gli anni ai quali appartengono, perchè in tal modo si appresentano secondo l'ordine storico, più spontanea e chiara apparisce la ragione dei fatti e si serve al comodo degli studiosi. La scrittura è tutta di una sola mano, e quale era in uso nella età sopra indicata, ma qua e là vi sono segni di una seconda mano che cercò notare e correggere gli errori della prima, e appose nel margine alcune dichiarazioni che specialmente indicassero i luoghi dei fondi accennati nel testo. In età più tarda una terza mano vi fece altre note e sottolineò molte parole e tratti che importava fossero spe

cialmente osservati per la notizia dei fondi e dei diritti dell'episcopio. Il codice in generale è ben conservato, ma l'umidità ne danneggiò il primo foglio, onde ne fu guasto il disegno che è nel verso, e la maggior parte di un atto che alcuni anni dopo e da altra mano fu scritto nel retto, e nel quale, come di trapassato, si fa menzione del vescovo Guido che ancora viveva nel 1138. Più grave danno fece l'umidità negli ultimi sei fogli, e principalmente in due, dei quali, consunta la pergamena, si perdettero alcune linee.

Colla età che le date cronologiche e la paleografia ci fecero assegnare al codice, convengono pure i cinque disegni che accennano ai documenti ai quali furono aggiunti. I primi quattro, stando in fronte alle bolle, rappresentano i papi Marino II (tav. I), Benedetto VII (tav. II), Giovanni XV (tav. III), Giovanni XVIIII (tav. V), che seduti in cattedra, ed assistiti i due primi da un vescovo, consegnano ai vescovi di Tivoli le impetrate Bolle di privilegio. Nel quarto disegno sono espressi i principali cittadini di Tivoli, quando nell'anno 1000, promisero a s. Lorenzo, per sè e pei loro discendenti, di pagare ogni anno un denaro nel giorno della sua festa. Il modo con cui questi concetti furono espressi, è conforme a quello che si vede in altri codici e pergamene, e talora anche nelle scolture, quando figuratamente rappresentano atti di concessioni o di offerte. Ne porgono esempio e confronto colla tavola IV, la prima pagina del codice Vallicelliano B. 25, 2, nella quale è disegnato a contorno. s. Lorenzo, che, seduto in cattedra, accoglie il dono di un libro che gli presenta un suo divoto suddiacono (Vettori Dissertatio philologica p. 89, Romae 1751), e la tavola I del Regesto farfense, nella quale, con disegno parimente a contorno, è rozzamente ritratto lo scrittore Gregorio da Catino che presenta alla Vergine il suo volume (Il Regesto di Farfa pubbl. da I. Giorgi e Ugo Balzani vol. II, tav. I). Nel Regesto tiburtino le tavole hanno il pregio di essere colorite, ma il disegno è rozzo e manca di prospettiva,

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