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Che diranno i Ghibellini del secolo XIX di questi Ghibellini del secolo XII i quali deponevano nelle mani de' cherici sino il pubblico erario, mentre essi pretenderebbero spogliarli anche dello stesso loro patrimonio, e dichiararlo proprietà dello stato? Enorme differenza! i Ghibellini d' allora decretavano inviolabili i luoghi consacrati alla religione o alla carità, e con sacramento solenne s'obbligavano a rispettarli, difenderli e custodirli; i Ghibellini presenti invadono i luoghi pii, i monasteri, ne usurpano gli averi, e ne disperdono i pacifici abitatori: quelli sebbene non troppo amorevoli verso il clero, pure ne veneravano il sacro carattere, e almeno venivano a patti coll' autorità competente, quando si trattava di procedere contro alcuno de' suoi membri (45) questi trascinano a' loro tribunali í ministri del Signore, si fanno giudici di coloro dai quali debbono essere giudicati, aggravano le loro miserie propagandole e pubblicandole a disdoro dell'augusto loro ministero, e per colmo d'avvilimento gli cingono delle medesime catene e gli chiudono nelle medesime carceri co' più infami facinorosi (46). È vero che gli antichi Ghibellini trascorrevano talvolta ad atti violenti e sacrileghi,

(45) Si noti anche il contesto d'alcuni statuti superiormente addotti.

(46) Le nostre leggi toscane hanno provveduto a tutto questo, concordando colla s. Sede il modo per cui si abbiano i debiti riguardi ai sacri ministri senza arrestare il corso della giustizia.

come narrerò in avvenire; ma era questo un impeto subitaneo e passeggiero, e perchè avevano fede grande, nè per tutto il mondo avrebbero patito d'esser divisi dal seno della Chiesa, a una rimostranza o minaccia del Papa o del Vescovo ponevano giù le ire e davano edificanti riparazioni, laddove i Ghibellini moderni, la cui fede e religione non è nel fondo del cuore, ma sul fiore delle labbra, hanno tradotto in sistema e in diritto l' oppressione e lo spogliamento della Chiesa, ed ai giusti reclami di lei addivengono più insolenti e pertinaci . Se costoro non temono i giudizi di Dio che presto o tardi gli raggiungeranno, almeno, specchiandosi in questi raffronti della storia, si vergognino di se stessi, e se non vogliono tener conto degli addotti esempi de' loro padri, ne' ripudino affatto le tradizioni e l'eredità.

Non è da tacersi però, come quelle fatali contese del potere politico col potere spirituale che più violenti insorsero nel secolo precedente germogliassero il tristissimo frutto della simonia la quale, travolgendo in mercato le più sublimi prerogative che Iddio abbia posto in mano dell' uomo, venne a recare nel cuore del cristianesimo una ferita mortale, degradando il sacerdozio e spogliandolo d'una gran parte di quella efficacia che ha in se stesso e che dee dispiegare a salute e benefizio dei popoli. Ognuno conosce la questione così lungamente ed acremente dibattuta delle investiture, per le quali gl' imperatori arrogandosi le prime parti nella

elezione de' vescovi e de' grandi dignitarii ecclesiastici, che erano anche baroni e feudatarii dell'impero, cambiavano in una promozione politica quella che era una missione divina, preferivano i cortigiani e i soldati agli uomini virtuosi e chiamati dall' alto, spesso il broglio aulico e la stessa moneta sonante teneva il luogo d' ogni merito e dei titoli più giusti alle sacre dignità.

Era ben naturale che quegli uomini intrusi nel santuario, come in un campo a sfruttarsi dall'ambizione e dall' interesse, leggermente s' emancipassero dai vincoli delle ecclesiastiche leggi e dei loro sacri doveri, e la casa di Dio si vedesse sozzata da tutte le turpitudini del secolo. Il funesto esempio de' primi pastori non lasciava di produrre i suoi perniciosi effetti nel clero inferiore, per modo che il concubinato era cosa ordinaria, scadevano i sacri studii e le buone discipline, erano abbandonate le opere del divin culto, e il gregge di Cristo privo de' pascoli salutari, e scandalizzato dalla vita scostumata di molti cherici era ridotto a tal misera condizione che toccava d' appresso il suo esterminio, se la divina misericordia non avesse provveduto a tanti mali, sostenendo la virtù e la sollecitudine instancabile dei romani pontefici che non si rimasero mai dal combattere quegli abusi, e suscitando forti e santissime anime e novelli ordini religiosi che presentarono una diga insuperabile alla soverchiante fiumana, come avvenne in questa nostra patria nella guisa che ora dirò.

Sul cominciare del secolo XI un giovane fiorentino prode nell' armi e di spiriti ardenti riportava la più gloriosa delle vittorie, trionfando di se stesso e concedendo generosamente la vita all' uccisore del fratello, mentre era in suo potere di prenderne una strepitosa vendetta imposta dalle leggi di cavalleria e lungamente desiderata, solo perchè questi inginocchiato in supplichevole atteggiamento e prostrato al suolo segnava colle stese braccia l'augusto segno della croce, e perchè quel giorno appunto era il venerdì commemorativo della passione e morte di Gesù Cristo. Piacque tanto a Dio l'atto magnanimo e la pietosa cagione, che subito larghissimamente lo ricambiò, facendo penetrare in quel cuore affogato negli affetti del mondo un raggio dello stesso fuoco celeste che conquise l'anima riottosa di Saulo, e in un momento del persecutore più fiero ne fece una delle più salde colonne della nascente Chiesa cristiana. Giovanni Gualberto, tal' era il nome del cavaliere, divenuto altro uomo da quello di pria in un attimo dimenticò le armi, la gloria del mondo e le avite ricchezze. E perchè è proprio della grazia celeste d'investire l'anima dell'uomo per forma che, senza mutare la natura o recarle violenza, nobiliti e volga in meglio le inclinazioni e le qualità di lei, così Iddio si valse dell' indole guerriera dell'animo di Giovanni a farne un prode campione della Chiesa deturpata dalla impurità e dalla avarizia de' suoi ministri. Egli dovea liberare la madre da quei

proci osceni ed interessati, dovea sbarazzare una tal peste del santuario. E pieno di quel misterioso pensiero che non comprendeva per anco, ma che non dava posa all' agitato suo spirito, entra in una chiesa non lontana dalla città, e prossima al luogo in cui perdonò così generosamente al nemico: si prostra innanzi all' imagine del Crocifisso, bagna la terra di lacrime, prega scongiura la divina pietà di por fine all'interno combattimento che tanto lo affanna, e mostrargli quai disegni sopra di se abbiasi Iddio. Ed ecco quel divino capo coronato di spine e abbandonato nella morte animarsi inopinatamente d'una vita miracolosa, ed amorosamente volgersi verso di lui, (47) quasi gli dica; vedi, Giovanni, queste mie piaghe e queste mani e piedi trafitti? esse ti dicono quanto mi costano le anime redente dalla servitù del mio irreconciliabile nemico, ed a qual prezzo mi sia conquistato la mia sposa diletta la Chiesa. Va, salvami queste anime, combatti e disperdi i miei falsi ministri avari e voluttuosi che contristano questa mia sposa e ne infoscano il candore verginale.

Giovanni penetrato da questi accenti sì trasferisce nel monastero contiguo, spoglia le ricche vesti, recide la chioma, indossa il ruvido sacco di cenobita. Nè le rimostranze del santo abbate

(47) S. ATTHO EPISCOPUS PISTORIENSIS in vita s. Ioan. nis Gualberti abbatis congregationis Vallisumbrosanac instituttoris. Cap. 3.

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