non si possano contrapporle molte eccezioni: e basti, senza neanche uscire dai limiti di questa brevissima silloge, citare in proposito così il Myrmidon della gemma in esame, come l' Hermia del num. 19, il Philon o Philonicus del num. 17 ecc., tutti nomi servili, secondo che non pure è lecito arguire dalla loro grecità, ma vien confermato indubbiamente da documenti epigrafici (1). Piuttosto è il caso di distinguere i tempi; imperocchè mentre non si può dubitare esservi stata un' epoca in cui l'uso degli anelli gemmati era un esclusivo privilegio della classe ingenua, non è però men certo che in tempi posteriori non solo a liberti ma perfino a servi venne estesa la facoltà di portare al dito una gemma figurata o litterata ad uso di sigillo, del che porgono irrecusabile testimonianza i non pochi nomi servili inscritti appunto sulle Diomede rapitore del Palladio, in atto di scendere dall' ara su cui ha perpetrato il furto, nudo, tenendo il simulacro colla sinistra involta per riverenza nella clamide, e colla destra la spada sguainata e un ramo di palma. Dietro la testa, luna falcata; dinanzi, astro. Corniola presso il cav. Bellezza in Lucca. Uno dei tanti Diomedi che corrono per le mani degli amatori di pietre incise. Secondo la congettura del Visconti, è probabile che l'originale di questa celebre composizione sia stata una pittura di Polignoto in uno dei tempietti di fronte ai Propilei di Atene (2). Certo, essa deve derivare da uno dei più grandi maestri dell'antichità, se si ha l'occhio al nu (1) GARRUCCI, Syll., 1063, 1579, 1443, 1522; WILMANNS, Exempl., 164, 2535; MOMMSEN, C. I. L., I, 1011 etc. (2) Mus. Capit., tv. 15 nota; Op. var., I, p. 203; Mus. Worsl., p. 208. mero delle ripetizioni, vuoi su bassorilievi (1), vuoi sopratutto su gemme, e se si consideri che parecchie di queste portano il nome dei più valenti incisori antichi, come Solone (2), Gneo (3), Dioscoride (4), Policleto e Calpurnio Felice (5), e altre, tuttochè anepigrafi, accusano la mano d'un artista di primo ordine come le due della Galleria di Firenze (6). Altre pietre di buona esecuzione esemplate sullo stesso originale possono vedersi citate o pubblicate da Mariette (7), de Stosch (8), Beger (9), Fabretti (10), Dolce (11), Winckelmann (12), Visconti (13), Raoul-Rochette (14) ecc. Quest'ultimo scrittore espone l'opinione che alcune delle pietre incise in cui si è creduto ravvisar Diomede, ma sulle quali non figura il Palladio, esprimano invece Oreste rifugiato nel santuario di Delfo, desumendo da ciò un argomento in favore della sua teoria relativa all' impiego presso gli antichi d'uno stesso tipo applicato a due personaggi diversi in una circostanza analoga. (1) MAFFEI, Mus. Veron., LXXV, 4; RAOUL-ROCHETTE, Mon. ined. d'antiquit. figur., pl. XXXII, 2. (2) CAYLUS, Recueil d'ant., etc., V pl. LII, 3. (3) BRACCI, Comment. de ant. scalpt qui sua nom. incid. I, 50. (4) Id., Id., II, 61. (5) E. Q. VISCONTI, Mus. Cap., tv. 15 nota. (6) WINCKELMANN, Descr. des pierr. gr. de la coll. de Stosch, p. 391; GORI, Mus. Flor., II, tb. XXVIII, 3; ZANNONI, Gall. di Fir., serie V, I. tv. IV. (7) Traité des pierr. gr., Paris 1750, I, p. 94. (8) Gemmae ant. cael., Amst. 1724, p. 38. (11) Descr. del mus. di C. Dehn, II, p. 74. (12) Op. cit., p. 388 e seg. (23) Mus. Cap.,tv. 12, 15; Mus Pio-Cl. III, tv. 41 nota, Mus. Worsl., p. 98; Op. var. II, p. 124, 278, 279, 280, 357, 358, III, p. 422. (14) Mon ined. d'ant. fig. p. 198. Fu osservato, non ricordo da chi, che i monumenti rappresentanti il ratto del Palladio provengono di preferenza dalla Magna Grecia; del che potrebbe trovarsi una spiegazione anche nel fatto che diverse città della Lucania, della Calabria e della Apulia vantavansi di possedere il Palladio stesso (1). Ma sonvi altre cause a cui si può attribuire la frequenza e la diffusione in Italia di questa rappresentazione: anzitutto, la credenza che il Palladio fosse un pegno misterioso del romano impero, una delle sette cose fatali nelle quali stava riposta la salute di Roma (2); poi il culto e la speciale devozione di cui fu oggetto Diomede tanto lunghesso il littorale dal mar Jonio, dove l'eroe avea altari a Metaponto e a Turio, quanto su quello dell' Adriatico, massime fra i Daunii dell' Apulia, nel cui territorio il Tidide profugo da Argo avea, secondo la leggenda, chiuso il ciclo della sua epopea, fondandovi un possente impero, di cui sopravviveval la tradizione non solo in quella regione ma fin oltre le foci del Po. L'intaglio di cui c'intratteniamo si differenzia dagli altri congeneri, vuoi per la luna e la stella, le quali crederei esservi state aggiunte dall' incisore a significare che l'azione succedette di notte, anzichè in senso astrologico, vuoi per il ramo di palma che l'eroe tiene nella destra, vuoi finalmente per l'iscrizione, che io leggerei VLITI(), ritenendo il secondo elemento come nesso di l ed i; la quale interpretazione permette di supporre che questo Ulizio possessore della gemma abbia scelto a tipo del suo sigillo appunto il ratto del Palladio per allusione onomastica ad Ulisse, ch' ebbe parte non secondaria in quell' impresa, tanto che vedesi associato a Diomede in altre rappresentazioni figurate della impresa stessa (3). (1) SERVIO ad Aen., III, 550; ECKEL, Doctr. numm. vet. II, p. 484. (2) SERVIO ad Aen., VII, 188. (3) E. Q. VISCONTI, Mus. Pio-Cl., III, tv. 41 nota, Op. var., III, p. 279. Maschera di Sileno. Diaspro nero nella Galleria di Firenze, num. 2296-302. La lezione del primo membro è incerta, non avendo io avuto agio di esaminare la pietra sotto un buon punto di luce. La voce suavis è ovvia in senso di acclamazione su anelli gemmati; qui peraltro sembra piuttosto nome proprio di donna, moglie o più probabilmente serva dell' individuo il cui nome al genitivo precede il suo. Il nome Suavis è più sovente maschile, ma non mancano esempi del suo uso nell' altro genere, come nell' iscrizione di Suavis vinaria sulla parete esterna della basilica di Pompei (1). Testa di Pallade coperta di ricca galea attica con alto cimiero sorretto da un grifo e crestato. Pasta di vetro presso il signor Lazzaro Bonaiuti in Siena. Il nome di questo Apollodoto, cui il Visconti qualifica artefice di stile assai semplice, benchè non molto corretto (2), leggesi su altre gemme conosciute (3). Sulla parte convessa di grosso scarabeo in pietra serpen (1) ZANGEMEISTER, Corp. inscr. lat., IV, 1819. (2) Op. var., II, p. 125. (3) Ibid, p. 300, 337. tina. La parte piana porta inciso un lupo gradiente. Nel museo di Parma. Le stelle stanno qui come su tante altre pietre a simbolo di prospero e lieto augurio (1). Protome di Serapide nello stile largo e corretto che è proprio dell'epoca alessandrina. Diaspro rosso presso di me. La purezza del profilo, del profilo, e la serena maestà che spira dalla fisionomia del nume accusano il magistero dell' arte greca, mentre l'eccellenza dell' esecuzione, massime l'artificio dei capelli e della barba, attestano l'influsso della scuola egizia che possedeva il segreto di trattar le pietre dure come l'argilla. L'epigrafe accenna ad una dedica od acclamazione da amico ad amico. Sulla parte piana di grosso scarabeo in diaspro verde. Nel museo di Parma. (1) Stellam significare ait Ateius Capito laetum et prosperum. FESTO S. v., P. 351, MÜLLER. L'uso, del resto, di associare figure siderali alle rappresentazioni delle pietre incise è più antico di quanto si creda generalmente. A prescindere dalle pietre di lavoro fenicio, su cui non di rado ricorrono le stelle e la luna, trovansi rappresentazioni di astri perfino in lavori greci di carattere affatto primitivo. Una pietra lenticolare della collezione Rhousopoulos in Atene, con tipo rozzissimo riferito dall' Helbig all' arcaico idolo di Demeter Melaina presso Phigalia (PAUSAN. VIII, 42, 4), già esibisce nel campo due stelle. |