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permittent ipsa bona defuncti capere et accipere Consuli vel Consulibus Janue (1).

Ma qui si tratta più che altro di un rappresentante politico del nostro Comune, come ve ne aveva altrove, e come erano i Visconti nella Soria. Forse il sigillo appartiene invece al Consolato dei mercanti, il quale per privilegio del re Filippo III aveva sede in Nimes (2). Si fatto privilegio reca la data del 1277; e due anni appresso troviamo che i consoli Andrea Boccuccio e Oberto Dattilo acquistavano ivi da un Giuglielmo Burgundio a nome del Comune di Genova un edifizio, il quale non vi ha dubbio che doveva servire all'uopo di casa consolare (3)

L'uffizio di Console de' mercanti genovesi doveva poi essere di grande importanza, segnatamente per l'attivissimo concorso de' nostri alle celebri fiere della Sciampagna; si come lo attestano non pochi rogiti notarili dell' Archivio genovese, per non dire di quella immensa raccolta delle pergamene Courtois, sulla cui genuinità pende ancora incerto il giudizio dei paleografi.

Del resto l'imagine del grifo basterebbe di per sè a farci assegnare al secolo XIII l'età del sigillo, giacchè sembra che questo fantastico animale sia stato assunto come divisa del Comune in un periodo di tempo che può press' a poco determinarsi fra il 1216 e il 1222. Difatti siamo accertati per documenti, che nel primo di tali anni continuava ancora ad usarsi l'antico suggello coll' effigie di san Siro da una parte e il castello dall' altra (4); e al 1222 appartiene un atto, il quale dichiara gli obblighi addossatisi dall'Opera del Duomo verso un maestro Oberto, incaricato per l'ap

(1) Lib. Jurium, I. 909.

(2) Id., I. 1451.

(3) Id., I. 1505.

(4) Id., I. 586; Chartarum, II. 137.

punto di gittare in bronzo un grifone da collocare nella Cattedrale (1).

Allorchè nel 1257 al governo del Podestà fu sostituito quello del Capitano del popolo in persona di Guglielmo Boccanegra, nel sigillo genovese al posto del grifo fu sostituito l'agnello. Ma è mestieri credere che, caduto il Boccanegra, si tornasse alla prisca rappresentazione del simbolico animale. Lo argomento da quanto scrive l'illustre Amari nella Guerra del Vespro Siciliano, laddove cita una lettera di Genova al Re di Francia, priva di data, ma che per la natura de' fatti onde vi si parla dee porsi indubbiamente tra gli anni 1282 e 1284. «È un lungo ruolo di pergamena (egli dice) scritto in carattere del secolo XIII, con suggello in cera verde, pendente da una stretta striscia di pergamena e impresso da un lato solamente. V' ha un grifone alato, chiuso in un poligono ad angoli salienti e rientranti a forma di stella, e fuori il poligono la leggenda: Sigillum Comunis et Populi Janue (2) ». La pergamena si custodisce nell' Archivio Nazionale di Parigi; e il sigillo meriterebbe di venir riprodotto per la variante che presenta nella foggia del campo.

Sarei per credere inoltre che tale suggello durasse in vigore sino al cadere del secolo XIV, allorquando fu sostituito dall'altro colla croce nel centro e i simboli degli evangelisti all'intorno (3); ma se anche non si stimasse di ammetterne una cosi lunga esistenza, niuno potrebbe disconoscere che l'effigie del grifo continuava ad esprimere l'insegna di Genova intorno al 1320 almeno, leggendo sotto quest'anno registrata da Giorgio Stella la coniazione delle monete di bassa lega

(1) Ved. Giornale Ligustico, 1874, pag. 475.

(2) AMARI, La Guerra del Vespro Siciliano, Firenze 1876; vol. I, p. 275. (3) Ved. BELGRANO, I sigilli del Comune di Genova; nella Rivista della Numismatica antica e moderna, vol. I, pag. 74.

dette griffoni, appunto per ciò che sovr' esse ab una parte crux erat et griffus ab alia (1).

Dell' altro sigillo possiede oggidì l'originale in rame l'egregio avv. cav. Antonio Samengo. Appartenne al Collegio dei Giudici, il quale tra noi fu antico assai; anzi l'Isnardi, trattandone ampiamente nella Storia della nostra Università, non crede soverchio il farne risalire le origini al cominciamento del secolo XIII. Un decreto emanato nel 1307 dal Capitano del popolo Opizzino Spinola, riconoscendo ai Giudici di matricola ed ai Collegio dei Giudici le immunità ed i privilegi que habent et habere consueverunt, accenna pure che il Collegio era numeroso e fiorente, e grandi servigi prestava alla Repubblica. Ora, conclude il citato storico, «< per giungere a tanto e conseguire si splendide rimunerazioni, ordinariamente è necessario un lungo periodo di onorate fatiche (2) ».

I Giudici adunavansi annualmente il giorno di san Giovanni nel chiostro di san Domenico, per eleggere il Rettore e i consiglieri del Collegio. Del quale niuno poteva far parte se non era addottorato o licenziato in diritto civile, o se pure non si fosse sottoposto ad un esame avendo prima frequentato per cinque anni interi un qualche studio generale.

Gli statuti del Collegio, che furono raccolti in una nuova redazione e riformati nel 1446, non fanno alcuna menzione del sigillo. Ma bene lo rammentano le Leggi genovesi del 1403, laddove stabiliscono: Collegium Judicum Janue habeat sigillum.... iu cuius circulo.... littere: SIGILLVM COLLEGII JVDICVM; et in ipso sigillo facta sit imago hominis veste et habitu ad modum iudicis decorati sedentis in cathedra et ante se habentis librum

(1) Annal. Genuen., apud MURATORI, S. R. I., XVII. 1040. (2) ISNARDI, Storia della Università di Genova, I. 16, 302.

apertum; quo sigillo sigillari debeant omnia consilia que dantur per ipsum Collegium (1).

Però questo sigillo venne più tardi sostituito da un altro, che è quello appunto serbato dal cav. Samengo. Rappresenta una figura d'uomo stante di fronte, vestito di tunica col mantello sovrapposto e la mozzetta, e in capo il cappuccio alla foggia antica de' cardinali; nella sinistra tiene un libro chiuso, ed è finto dentro una specie di nicchia sorretta da due colonne sulle quali è voltato un archetto a trifoglio, donde s' innalzano due specie di guglie ed al centro il triregno. Nel campo si legge SANCTVS JVO; ciòè sant' Ivone vescovo di Chartres, che fiori nella seconda metà del secolo XI, ed è considerato il patrono de' giurisperiti, siccome quegli che avendo coltivato lo studio dei canoni ne compilò la famosa raccolta conosciuta col nome di Decreto. Ch' ei fosse cardinale non è certo; ma si vede che l'autore del sigillo, o più veramente i Giudici committenti, erano di questa opinione, che in fondo in fondo non guastava nulla, ed innalzando il protettore cresceva lustro anche ai protetti.

La leggenda poi che rinserra il campo, ed è circoscritta da due file di globetti o perline, dice: SIGL. VEN. COLLEGY MM. IVRIS CONSVL. JVDICVM. GENVÆ. I caratteri dell'iscrizione accennano alla fine del secolo XVI, od anche ad epoca più tarda; ma la parte figurativa e ornativa mal risponde alla coltura artistica di codesto tempo. Accuserei senz'altro l'imperizia dell' incisore, se la foggia della nicchia con quell' archetto tanto usitato nelle decorazioni e nelle monete del secolo XV non mi inducesse in sospetto, che all'artista potè essere imposto di riprodurre senza modificazioni sostanziali un vetusto esemplare. L. T. BELGRANO.

(1) POCH, Miscellanee di storia genovese; Mss. della Civico-Beriana, vol. IV, reg. VI, pag. 22.

PASQUALE FAZIO Responsabile.

IL MARCHESE BONIFACIO DI MONFERRATO

E I TROVATORI PROVENZALI ALLA CORTE DI LUI

per C. DESIMONI

Fra le case marchionali che a mezzo il decimo secolo sorsero nell' alta Italia, durò più potente quella de' Marchesi di Monferrato. Discesa da Aleramo, che da piccolo Conte venne stendendo le sue generazioni a signoreggiare dalle fonti del Po fino alla riviera ligustica, la casa di Monferrato si formò il nucleo sul centro della regione che tuttora ne porta il nome fra il Po e il Tanaro, e più su e più giù secondo i tempi e le vicende fortunose. I rami consanguinei ed aleramici di Saluzzo e Busca, d' Incisa, d' Albenga, di Savona, tutti di stirpe salica; e più a levante le case obertenghe i Marchesi Malaspina, di Massa, di Gavi e Parodi di stirpe longobarda, tutti vedeansi di mano in mano assorbiti dai Comuni sorti al loro fianco e già loro vassalli; ma il Marchese Guglielmo di Monferrato pene solus ex Italia Baronibus civitatum effugere potuit imperium, come scrive di lui il contemporaneo, zio di Federico I, Ottone vescovo di Frisinga (1).

Ed in vero la condotta di questo Guglielmo, a giudicarne dai risultati, deve essere stata ardita non meno che destra, in diplomazia come nelle armi: far testa specialmente ad Asti allora assai potente e in genere alla lega lombarda; ravviare leghe contrarie con Pavia, Lodi, Como, coi Conti di Biandrate: e da tale lotta, che tornò funesta all'Impero, uscirne con aumento di signorie confermategli da Federico Barbarossa.

Nè la fama e la rilevanza di questa famiglia si ristrinse entro i confini d'Italia. I Re di Francia e la Casa imperiale di Svevia erano a lei consanguinei. Guglielmo era partito nel

(1) Rer. Italicar. Scriptores, VI. 710.

GIORN, LIGUSTICO, Anno V.

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