Imágenes de páginas
PDF
EPUB

chiudevano in monastero, o ad altre nozze, poco importa se riluttanti, le costringevano.

In questa materia l'jus romano delle XII tavole era in tutta la sua crudezza usato, chè il padre disponeva a suo arbitrio della prole sia vivo che morto, avendosi dei testamenti ove è stabilito quale de' figli e delle figlie debba maritarsi, quale farsi monaca o frate; nè questi atti mancano talora di costituire dei procuratori incaricati della esecuzione delle paterne volontà.

Sino da tempi antichissimi occorrono atti di sponsali fatti da genitori di figli in età infantile; nè rari sono quelli dove è promessa la fanciulla bambina ed ancora lattante, come fece il 24 marzo del 1485, con atto del notaro Cristoforo Rollero, un Giovambattista De Ghirardi per sua figlia Ginevrina di appena un anno, con un Paolo Berardo giovanotto che avea già oltrepassato i venticinque anni, e che perciò all'epoca del matrimonio doveva essere relativamente già vecchio.

In mancanza del padre gli ascendenti od i fratelli disponevano delle sorelle, assegnando, ben s'intende, alle stesse la minor dote possibile; chè le leggi essendo tutte a favore dei maschi, nessun diritto avevano esse di legittima sull' asse paterno.

Quanto si dava per dote ad una fanciulla consideravasi in certo modo come sottratto alla famiglia; e quando in progresso di tempo più equi principii, vincendo gli inveterati pregiudizi, fecero si che nella pratica le doti si accrescessero, le leggi informate alle antiche consuetudini venivano a moderarle, considerando questa tendenza come un abuso donde potea derivare la rovina delle famiglie. Nel 1542 al primo di ottobre era fatto un decreto appunto contro le doti eccessive, e si stabiliva che da chicchessia non potessero costituirsi in somma maggiore di tre mila scudi d'oro del sole da sessantanove soldi per scudo.

Le promesse di matrimonio, ossiano gli sponsali, general

mente si facevano in modo privato. Se di queste trovansene nei rogiti notarili, ciò è per quelle ove il lungo intervallo che doveva correre fra essi ed il matrimonio, o qualche altra particolare circostanza, richiedeva ne constasse per atto pubblico. Quando erano contratti in tal modo vi si stabilivano pure le doti e si fissavano le arre o pene per i mancanti alla data parola.

Abbiamo però esempi ove per questi si fecero due atti separati, come per la Giovannina figlia del Conte di Carmagnola qui fidanzata mentre egli era governatore di Genova pel Duca di Milano. Di essa, con atto del 24 luglio 1424 suo padre faceva promessa a Riccardino de Angosciolis figlio di Giuliano, piacentino, presente all' atto, e che l'accettava promettendo di sposarla. Poi con atto successivo del 14 agosto lo spettabile Isnardo Guarco, che fu il combinatore di questo matrimonio, e che si dice amico comune delle parti al quale entrambe si rimisero, dichiara le doti della fanciulla in due mila cinquecento ducati d'oro, oltre le vesti, le gemme ed il corredo come le parti convennero. Piacemi di citare questi atti, perchè ci danno il nome di una figlia del Carmagnola e ci offrono contezza degli sponsali di lei: nome e sponsali rimasti ignoti finora a tutti i genealogisti.

Per le promesse fatte individualmente dagli sposi bastava, secondo il diritto canonico, che essi avessero compita l'età di anni sette; ed alcune ne abbiamo registrate negli atti dei nostri notari contratte poco dopo di questa età.

Fra le altre accenerò a quelle di Giorgio D'Oria del quondam Gherardo e Pellegrina Doria del quondam Domenico, fatte nel 1478, ove lo sposo avea tredici anni e la sposa nove compiti, celebrate con l' intervento dei rispettivi parenti, essendosi convenuto che si sarebbe effettuato il matrimonio giunti che fossero all'età legale, e fissante le arre in lire due mila, il tutto con l'approvazione del Governo.

Ma la più parte, come sopra dissi, si contraevano privatamente; e così pure quasi sempre privatamente si promettevano le doti, delle quali poi solo constava per l'atto di ricevuta fattane dallo sposo compite le nozze. Oppure, fatti gli sponsali in modo privato, si redigeva dal notaro l'atto di promessa o costituzione della dote. Di questi atti abbiamo un'infinità nei nostri archivi. A modo di curiosità, fra molti accennerò ad alcuni perchè riguardano illustri personaggi e ci possono somministrare qualche notizia finora sconosciuta sopra i medesimi.

Primo sarà quello della nostra S. Caterina, sotto la data del 13 gennaio 1463 in rogito di Oberto Foglietta, concluso nelle vicinanze di S. Lorenzo e precisamente in una casa dei Fieschi posta nel vicoletto del Filo. Intervennero all'atto lo sposo Giovanni Adorno, la madre della sposa, Francesca Di Negro vedova di Giacomo Fiesco, e Giacomo e Giovanni Fieschi fratelli di Caterina, oltre due merciai vicini chiamati per testimoni.

La dote è di un migliaio di lire, di cui l'Adorno promette far istrumento celebrato il matrimonio, assicurandola sopra una sua casa nella contrada di S. Agnese. In essa dote però sono comprese lire ottocento promesse dalla madre della sposa, quattrocento in luoghi di S. Giorgio ed abbigliamenti da soddisfarsi a richiesta, e le altre entro due anni, restando intanto assicurate sopra una casa in detto vico del Filo, dove essa Di Negro ha investito le proprie doti, e dove intanto Giuliano colla moglie e la famiglia potranno recarsi ad abitare per detto tempo.

Come si vede la circonlocuzione dell' atto è abbastanza intricata e confusa; ma chiaro appare che la dote data dalla madre e dai Fieschi era di sole lire ottocento e che l' Adorno prometteva accrescerla di altre dugento.

Il secondo atto concerne Bianchinetta Terrile, sposa del

l'infelice Paolo da Novi, e si legge ne' rogiti di Lorenzo De Costa sotto la data del 26 di marzo 1468, al suo banco notarile posto nel Palazzo del Comune.

Da questo apprendiamo che i tre fratelli Luca, Marco e Giacomo Terrile del fu Marino assegnavano alla promessa sposa del doge futuro, allora tintore in seta, lire trecento novanta, computatevi duecento di un legato paterno, delle quali si obbligavano a pagar subito centosettanta in danari contanti, e centoventi in vesti ed ornamenti della fanciulla, e le rimanenti entro di un anno.

L'ultimo atto che citerò è della moglie del rinomato pittore pavese Francesco Sacchi, della quale finora fu sconosciuto il nome ed il casato. Questo era dei Masenna; ed essa chiamavasi Moisola o Moisetta, figlia di un Giacomo che alla data del contratto, 6 novembre 1510 in notaro Vincenzo de Reggio, già figura come morto, mentre ancor vivo appare il Giovanni Antonio padre del pittore. Ambrogio Masenna, fratello della Moisetta, a suo nome ed a nome di Agostino e di Geronima suoi fratello e sorella ancora minori, assegna le doti in lire seicento formate da una casa nella contrada di S. Ambrogio e da tanto corredo per lire cento. L'atto è conchiuso nella contrada degli Squarciafico, nello studio dello spettabile Giacomo Spinola il quale pure interviene come testimonio.

In nessuno degli atti succitati è notato l'intervento della sposa. Lo stesso era affatto inutile, trattandosi di interessi nei quali essa non poteva interloquire. E per le obbligazioni che contraeva verso di lei il futuro marito accettavano il padre od i congiunti, ed a cautela il notaio come pubblica persona. E così è in tutte le assegnazioni o promesse di dote, eccetto quelle dove è costituita dalla sposa medesima o già maggiore di età e priva di genitori e con patrimonio a se, od in posizione insomma legale per poterlo fare.

Oltre la dote spesso nel contratto si stabiliva anche, come vedemmo, l'ammontare del corredo, delle gioie e dei gingilli, jocalium, secondo la condizione degli sposi; nè qualche volta si ommette una cassettina ornata e pulita corredata più o meno di ori e d'altri adornamenti donneschi.

In atto del notaro Parisola del 26 febbraio 1502, Teodorina vedova De Via promette di dare alla figlia sua capsietam unam a sponsis fulcitam condecenter secundum gradum ipsorum jugalium. Lo stesso è in altro del 1505, nello stesso notaro, pel contratto della figlia di un coltellinaio. con un barbiere, ove nonostante la modesta condizione dei contraenti e la esiguità delle doti, lire 200 fra vesti robbe e denari, non si oblia capsietam unam sponsalem fulcitam.

Oltre a questo poi vi si stabilivano tutti i patti e le condizioni che erano stati combinati, dei quali non farò cenno perchè poco differenziano da quelli dei nostri giorni.

Di uno però, registrato in atti di Cristoforo Rollero sotto la data 10 aprile 1488, non posso tacermi perchè abbastanza stravagante ed in opposizione agli attuali costumi.

Ivi un Domenico Deferrari, fabbro, promette a Giovanni Genzano, fabbro anch'esso, sposo di Teodorina sua figlia, le doti di costei in lire 400, compreso il corredo, le argenterie ed i gingilli da pagarsi dopo quattro anni, intervallo frapposto alla celebrazione del matrimonio. Fin qui nulla di strano; ma dove questo appare si è che il buon genitore si obbliga a tenere insieme con sè sotto lo stesso tetto ed alla stessa mensa i fidanzati per tutti i quattro anni, provvedendo la fanciulla dei necessari abbigliamenti, ed accogliendo anche in bottega il futuro genero, col patto espresso che questi non possa sposare definitivamente la Teodorina prima del termine convenuto, ma debba comportarsi con essa castamente ed onestamente, chè altrimenti, cioè traducendola a nozze od abusando di lei, poteva mandarli via entrambi di casa e bottega,

4

« AnteriorContinuar »